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    Cervino Traversata Cresta del Leone Cresta dell’Hörli 2012, 09/08/2012
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Valle d'Aosta
Partenza  Cervinia (Valtournenche)  (2000 m)
Quota attacco  3581 m
Quota arrivo  4478 m
Dislivello della via  3050 m
Difficoltà  AD ( pendenza 40° / III in roccia )
Esposizione in salita Varia
Rifugio di appoggio  Rifugio Carrel (3830 m)
Attrezzatura consigliata  Piccozza, ramponi, un paio di friends e nuts, qualche rinvio, una vite da ghiaccio, casco
Itinerari collegati  Monte Cervino / Matterhorn (4478m), Traversata Cresta del Leone (SW)–Cresta dell’Hörli (NE)
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Per la serie un’estate da leoni in quella del 2012, puntiamo alla montagna simbolo delle Alpi. La Montagna per eccellenza, perfetta, così come la disegnerebbe un bambino: una freccia dritta contro il cielo, con quattro pareti e quattro creste ideali..... Viaggiamo sull’auto di Filippo con Stefano e arrivati a Courmayeur ci dedichiamo all’acquisto di provviste varie e a cercare di definire meglio i nostri programmi sui quali non abbiamo ancora preso una decisione definitiva( in puro stile Filipp, con i colpi di scena sempre a portata di mano). Abbiamo parlato di quanto sarebbe bello salire dalla parte italiana e scendere da quella svizzera, ma bisognerebbe poi sbattersi o probabilmente spendere parecchio per il ritorno. Ad un certo punto Filippo annuncia di essere incerto sul suo stato di forma fisico e che lui non avrebbe problemi a passare dei giorni di relax in Svizzera ad attendere il nostro arrivo. Restiamo io e Ste tra lo sbigottito e l’incredulo e dopo vari tentativi di convincerlo a cambiare idea e ad accompagnarci, ci arrendiamo alla bellezza dell’opportunità che ci sta concedendo. Salutiamo Filippo col cuore mesto in un mix di sentimenti che provano a mettere insieme delusione e gioia e salutiamo l’amico dopo averlo abbracciato e ringraziato. Col passo di chi è entrato in modalità “azione”, ci dirigiamo verso la funivia, con la testa ancora scossa da questa improvvisa piega che ha preso la nostra gita. Alle 13 sbuchiamo nell’aria frizzante dei 2550 mt. di Plan Maison rimanendo subito ammutoliti dalla visione possente della cresta che dalla Testa del Leone, sale fino in cima alla Gran Becca. Saremo in grado di farcela e sfruttare la grande possibilità che Filippo ci ha concesso? Prendiamo a percorrere il sentiero n°35 che sale al rifugio rifugio privato Oriondè (ex Duca degli Abruzzi) situato ai piedi del Cervino (m.2802, h 14) tagliando da destra a sinistra le morene alla base della parete Sud del Cervino, con la Gobba di Rollin e le punte del Breithorn e del Klein Matterhorn che biancheggianti di neve tolgono un poco di arsura a questo paesaggio brullo e pietroso. Seguiamo il sentiero che sale a sx del rifugio, prima su erba e poi su detriti (ometti di pietre), superando una zona rocciosa più ripida fino a raggiungere poco dopo la Croce Carrel (m.2920), luogo in cui la famosa guida Jean-Antoine Carrel morì di sfinimento dopo aver portato in salvo i suoi compagni. Rimontato il dosso dove è posta la croce, proseguiamo per balze rocciose seguendo qualche sporadico piccolo ometto di pietre, e infine un ripido pendio detritico porta alla base di una serie di canali che solcano una parete rocciosa verticale. Saliamo un canalino roccioso e usciamo su una crestina facile ma esposta (passi di II, qualche masso mobile). Seguiamo il vago crestone caratterizzato da una successione di placche e gradoni coperte da molto detrito instabile, fino al ripido nevaio sotto alla parete terminale della Testa del Leone. Traversiamo a dx in direzione del Colle del Leone, procedere a mezza costa su un pendio detritico di massi instabili (pericolo caduta sassi), oltrepassare un infido canalino che troviamo pressoché ghiacciato (qualche spit) e raggiungiamo il Colle del Leone ( m.3581,h16.30) alla base della cresta Sud Ovest del Cervino. La capanna Carrel, è ormai visibile arroccata sulla cresta della Gran Becca e noi ci sentiamo ormai “dentro “ la montagna. Traversato qualche metro sulla dx, saliamo dei gradoni di roccia rossastra e poi raggiungiamo una zona di placche a gradoni caratterizzate da striature orizzontali bianche e gialle. Superiamo i gradoni sulla sx (II) e raggiungiamo la base di una serie di placche fessurate molto abbattute (placche Seiler II+, chiodi e corde). Superate le placche incontriamo una serie di gradoni ed un breve diedrino (corde fisse), fino alla base del famoso diedro verticale di 12 metri denominato la Cheminèe(crollato interamente nell'estate del 2003 pochi giorni dopo che lo salimmo con mio fratello in un tentativo precedente). Scaliamo il muro leggermente strapiombante attrezzato con canapone e 3 gradini di staffa (molto faticoso). Per un diedro abbattuto e poi un breve canalino guadagnamo l’aereo terrazzo dove è costruita come un nido d’aquila la Capanna Carrel(m.3830, h.18) posizionata sul marcato crestone alla base della struttura rocciosa denominata Grande Tour. Il bivacco è dotato di 50 posti letto (su 3 piani), cucina con gas e pentole. La confusione regna sovrana in una babele di lingue e gruppi diverse e riusciamo a mala pena a trovare 2 cuccette libere per provare a tentar di passare una notte decente. Occupati i posti facciamo due passi verso la Gran Tour e prendiamo in mano la corda che domattina bruscamente ci risveglierà permettendoci di passare oltre l’impegnativo passaggio. Poi facciamo una cena frugale coi pasticci che abbiamo nello zaino e andiamo a letto. Passeremo una brutta notte fra rumori, arrivi dalla montagna a tutte le ore, gente che sta male, che scoreggia che rutta, che si muove insonne, e che poi prestissimo comincia a partire. Sonno a spezzatino, unico conforto che non sto male e che non vedo l’ora che suoni la sveglia puntata per le 4.30 che infine col suo squillo ci libera dalla prigionia della branda. Confusione: sembra di essere sulla metropolitana con gente indaffarata che va a destra e sinistra. Per un momento rimpiango i miei risvegli solitari e il silenzio che s’impadronisce dei tuoi sensi ma siamo sul Cervino e non devo avere la puzza sotto il naso. Alle 4.50 fotografo Ste che ha una faccia che è un programma. Usciamo nel buio in cerca di salvezza, con l’ansia di allontanarci veloci dal caos e trovarci finalmente in montagna. E andiamo verso la Gran Tour. Sulla corda della sveglia (III+) c’è già qualcuno che fa da tappo ma assicurandoci poco riusciamo con faticose sbracciate sul cordone a superare l’ostico passaggio. Sbuffiamo come mantici ma ne siamo fuori e ora possiamo rimodulare il nostro respiro affannoso. Superiamo una serie di gradoni, poi piccole cenge esposte aggirando la Grande Tour sul versante meridionale (dx) e arriviamo nel Vallon de Glaçons (II+, neve e vetrato) dove saliamo un ripido canalino innevato per qualche metro, e raggiunto il canapone proseguiamo per una serie di placche portano alla base di un canalino che ci riporta in cresta a monte della Grande Tour (Crête du Coq). Ci manteniamo sul lato meridionale della cresta (dx) collegando una serie di facili cenge. Intanto è spuntato il sole annunciando una giornata meravigliosa, ma saliamo tesi, affaticati dalla quota e dal percorso che non è mai semplice. Poco dopo le 6 arriviamo al Mauvais Pas (III) superando una stretta cengia molto esposta che ci porta ai piedi di una placca denominata Rocher des Ecritures dove sono ancora visibili le incisioni che riportano le iniziali di Jean-Antoine Carrel e Whymper. Saliamo il pendio vagamente innevato(ciò che resta del Linceul) fino ad un gradone roccioso dove termina il cavo metallico. Lo sguardo si distende per un attimo verso la luce che proviene da sinistra dove il Cervino proietta la sua immensa ombra grigia in direzione del Monte Bianco, imprimendola sullo sfondo d’arancione dorato della luce nascente. Proseguiamo poi per rocce fino alla base di un diedro verticale di 30 metri attrezzato con una catena( Grande Corde o Corda Tyndall (III+, molto faticoso) che supera anche qualche breve tratto strapiombante e ci riporta in cresta (quota 4080 m, h 6.45) su lastre di roccia inclinata un poco innevate, e che ci costringono a qualche tratto di misto aggirando le difficoltà sul lato svizzero (sx). Arriviamo così alla Cravate e superiamo la larga cengia orizzontale parzialmente innevata sul versante italiano e proseguendo sul filo di cresta, raggiungiamo la sommità del Pic Tyndall (q.4241, h 8.15). Affrontiamo ora la Cresta Tyndall che corre pressochè orizzontale per circa 200 metri fino ad salto roccioso di circa 10 metri (calata attrezzata) che conduce ad un profondo intaglio alla base della Testa del Cervino: l’Enjambèe: scendiamo quindi nell'intaglio utilizzando un vecchio cordone. Ora con una piccola ma diventata famosa “sgambata”, ci portiamo sulla parte opposta dell'intaglio alla base della parte terminale della cresta. Risaliamo un canalino di fino ad un ampia cengia alla base di un salto verticale che aggiriamo traversando a dx per un diedrino abbattuto, un gradone di roccia grigia, e infine una fessura che ci porta ad un terrazzino denominato Colle Fèlicitè dove parte l'ultima serie di corde fisse. Sfruttando il canapone saliamo un breve diedrino, poi su in direzione del canapone successivo per superare una placca verticale di circa 10 metri, e uscire su un piccolo terrazzino inclinato (soste attrezzate). Traversiamo 2 metri a destra e raggiungiamo il primo dei dodici gradini in legno della Scala Jordan poco prima delle 11. Sono sopraffatto dall’emozione perché ormai nonostante la stanchezza accumulata e che negli ultimi ripidi passaggi , si è fatta sentire, so che la cima ormai non ci scappa più . Respiro affannosamente e mi fermo un attimo a riprender fiato contento di vedere Stefano decisamente più in forma di me. E così è lui a salire per primo la scala superando un tratto leggermente strapiombante ed uscendo alla base di una placca attrezzata con un canapone, dove arrivo anch’io veramente provato da questo tirarsi verso l’alto sui gradini dondolanti. Ma ormai siamo alti, ormai il cielo vira al blu e si sente aria di cresta. Affrontiamo una placca attrezzata( Corda Pirovano), superiamo un breve saltino faticoso ed uscire su una placca liscia di colore grigio molto inclinata alla base di un muro strapiombante: la Gite Wentworth. Seguiamo il canapone traversarsando a sinistra su placca fino ad uno spigolo esposto e guadagniamo la cresta. Come una bomba esplode davanti ai miei occhi la visione della cima svizzera e un urlo silenzioso riempie i miei polmoni: cimaaaaaaaaa e lo urlo a Stefano che mi segue poco più in basso. Lo aspetto per vedere insieme quello che sta riempiendo di emozione il mio cuore: siamo in vetta al Cervino! Una cresta nevosa davanti a noi e poi la vetta svizzera dall’altra parte con un omino a definire le proporzioni sullo sfondo di un cielo blu cobalto e tanti picchi nevosi a decorarlo. Arriva Ste e mi sento come a Natale quando si aspettava il via per aprire i pacchi. Ora dobbiamo solo partire, pestare la neve e scendere qualche metro per raggiungere l’insellatura fra le due cime dove è posta la famosa croce di ferro ( q.4476, h 11.30). Si sente la quota e ora anche Ste è provato dalla fatica mentre io mi sono ripreso alla grande e non vedo l’ora di proseguire verso l’altra cima. Facciamo 2 foto e Ste mi chiede di andare e poi assicurarlo. Abbiamo già i ramponi ai piedi e mi muovo leggero e felice come galleggiassi nell’aria entrando in Svizzera dalla frontiera più alta. La neve è sicura e recupero Ste che forse per la quota o per la fatica patisce un poco l’esposizione e siamo sul punto più alto del Cervino, la vetta svizzera (m.4478, h12) che si trova 60 metri ad Est, e 2 più in alto di quella italiana. Grazie alla posizione isolata rispetto a tutte le altre vette che lo circondano, la vista che si gode dalla vetta del Cervino è assolutamente invidiabile a 360°. E´ un vero balcone naturale sul vicino massiccio del Rosa, verso SE, di cui si riconoscono facilmente tutte le vette, dal Breithorn alla più distante punta Gnifetti sulla quale si nota benissimo la scura sagoma della Capanna Margherita. In lontananza verso S si riconosce la triangolare forma del MonViso. Scorrendo verso W appare ben delineata e candida la sagoma del massiccio del Gran Paradiso e della rocciosa Grivola, un largo spazio di cime irriconoscibili e si giunge ad ammirare la tozza sagoma del monte Bianco che antecede il più vicino Gran Combin. Più in basso sempre nella stessa direzione ammiriamo la rocciosa cresta di vetta della Dent d´Herens che sovrasta il lungo vallone glaciale che scende sino sotto il versante N del Cervino. Sempre bella la perfetta forma della Dent Blanche posta verso N e più bassa di circa 100 metri. Verso E si succedono quindi le diverse vette svizzere a quota 4000, dal Bishorn alla Weisshorn sino al Zinalrothorn e le altre cime del Mischabel che ci permettono di ricongiungerci nuovamente col massiccio del Rosa. Terminato il visivo tour panoramico rientrriamo dagli spazi alti nei nostri corpi e subito siamo alle prese con una situazione inverosimile: avevamo già notato traversando la goffa figura che ora armeggia con una matassa di corda di cui pare non conoscere le modalità d’uso. Si chiama Peter, è da solo e non ha mai fatto una doppia in vita sua. Io preferisco scendere disarrampicando con la picozza sui pendii di neve dura rivolti all’inizio a nord e poi nordest inclinati attorno ai 40/45° all’inizio e poi meno. ma soprattutto tenermi lontano dai guai che potrebbero accadere con Peter. Stefano invece trova l’occasione per approffitare della lunga corda( noi abbiamo solo uno spezzone da 30 mt.) e inizia a scendere con lui, aiutandolo e mostrandogli l’uso corretto del discensore. Ma il bello arriva quando li attendo al primo ferro: Peter non ha neanche idea che dopo averlo liberato dalle corde, deve assicurarsi alla sosta, cosa che gli spieghiamo e che facciamo in sua vece. Ribadisco a Ste che io non voglio avere niente a che fare con lui perché la discesa è infinita e non possiamo permetterci di consumare il nostro tempo con un corso base di roccia e manovre di corda. Ste mi dice che non possiamo neanche abbandonarlo così e continua a scendere con lui, ed io ad aspettarli ad ogni nuovo ferro di calata. Dopo 3/4 calate anche Ste conviene che non possiamo scendere il Cervino a quella velocità e a malincuore, si accomiata dalla corda e salutato Peter, cui auguriamo buona fortuna e di stare attento, comincia a scendere anche lui seguendomi, ed essendo un poco calata la pendenza e l’innevamento man mano che procediamo verso lo spigolo con la parete est. Per non sbagliare,non bisogna discostarsi mai troppo dal filo di cresta e tenersi in prossimità del filo, senza mai avventurarsi più di tanto nella parete Est col rischio di perdervisi. Ad un certo punto sentiamo voci italiane sopra di noi e arrivano come fulmini gli amici friulani che col sistema a bambolina scendono velocemente e adottano stefano che preferisce le doppie alla disarrampicata. Riprendiamo così a scendere: loro tre con le doppie e io che li precedo e aspetto disarrampicando. Fino alle Placche Moseley superiori(III°), scese le quali (canapone) arriviamo alla Capanna Solvay(m 4000,h 18) che è quanto di meno svizzero ci si potrebbe attendere da un loro rifugio: l’interno è fatiscente con materassi distrutti e un puzzo di urina incredibile. Sembra una baracca metropolitana abbandonata da dei clochard. Solo il panorama esterno è incredibilmente sublime con la meravigliosa vista sui 4000 del vallese. Una rapida occhiata e poi procediamo nel solito schema con loro tre che si calano sulle placche sottostanti direttamente dal balconcino della Capanna e io che le aggiro disarrampicando con l’aiuto della corda (Placche Moseley inferiori,III°). Scendiamo ancora un poco insieme proseguendo lungo tracce di passaggio per cenge, canalini e tratti di arrampicata in traverso , poi le complessità della via e i vari intoppi o la scelta di dove scendere in doppia o meno, ci ridividono dai due friulani, che ad un certo punto vediamo poco sopra di noi alle prese con una cordata piuttosto anziana. Abbiamo appena disceso un muretto in doppia che sento qualcosa di moto simile ad un bestemmione in dialetto friulano. Alzando gli occhi preoccupato vedo e sento Renzo imprecare in un mix di inglese e friulano contro la coppia. Fuori di sé gli dice che non ne può più della loro lentezza e che la situazione per le loro condizioni di stanchezza, è diventata troppo pericolosa e li invita a chiamare l’elicottero. Non capisco neanche, perché è una cinquantina di metri sopra di noi se lo dice seriamente o solo per sfogarsi. Sta di fatto che solo una decina di minuti dopo un rombo possente scuote la tranquillità della montagna e il rumore assordante delle pale precede di poco la comparsa di un elicottero sopra le nostre teste. Un’onda di vento e di tensione ci scuote catapultandoci in una scena da film d’azione. Con una rapidità dettata probabilmente dall’abitudine a queste manovre i due anziani vengono evacuati dalla parete e spariscono in cielo fra il nostro misto di stupore e terrore per la velocità con cui tutto si è svolto. Renzo ci racconterà dopo che sono stati i due anziani a chiamare l’SOS convinti (o spaventati) dalle sue urla. Da allora ci riuniamo e attraverso placche,canali detritici e qualche saltello in doppia perdiamo più rapidamente quota su un terreno che diventa meno insidioso ed esposto ma in cui è anche più difficile orientarsi perché ci sono svariate vie o segni che portano un poco ovunque. Poi quando ormai si sta facendo buio arriviamo in fondo alla montagna e calatici da un muro di una quindicina di metri attrezzato con corda fissa raggiungiamo il sentiero che si avvia verso i 3260 metri della Hörnlihutte che raggiungiamo al buio alle 21.30. Che felicità! E che angoscia girarsi verso la montagna e vederla costellata di luci ancora altissime..ma che fine faranno? a che ora scenderanno? passeranno la notte fra le rocce? E Peter? ma quanti incidenti accadranno? Vivo un mix d’ansia e di gioia per essere ormai al sicuro e tranquillo. Niente cena , neanche un pezzo di pane perché cucina is closed e gli orari svizzeri sono INFLESSIBILI. Almeno la camera ce la danno e sembra nella sua lignea semplicità una reggia. Dormiamo come sassi e alle 7 ci tiriamo già in piedi inondati di luce che entra da tutte le parti.Quando usciamo assistiamo ad una giornata strepitose con l’immensa parete Est del Cervino che domina sopra di noi e il massiccio del Rosa che domina la scena davanti al balcone della Capanna. Nordend Dufour, Lyskamme e Breithorn si rincorrono nell’aria fresca e tersa del mattino brillando di nevi baciate dai raggi. Ci facciamo una bellissima foto incastonati nella roccia della Est e poi dopo la colazione iniziamo dolcemente a scendere verso Zermatt col Cervino alle nostre spalle che diventa sempre più bello ogni volta che ci giriamo andando piano piano ad ad assumere la forma perfetta di quando lo si guarda dalla cittadina svizzera. Alle 11 riabbracciamo Filippo nella casetta dove ha passato queste giornate aspettando il nostro ritorno, felice come noi della nostra impresa. Una gioia che ogni mattino per tante mattine mi accompagnerà all’ingresso di una nuova giornata. Mamma mia è proprio vero : abbiamo scalato il Cervino. La Montagna per eccellenza, perfetta, così come la disegnerebbe un bambino: una freccia dritta contro il cielo. Grazie Ste, ma soprattutto grazie grazie grazie Fil. Foto1 Ste sulla cresta vs la Svizzera Foto2 seconda calata dalla vetta Foto3 il Cervino
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