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“IO, ISTRUTTORE”

 
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GAMBADELEGN



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Messaggi: 156
Residenza: ovunque il mondo non sia piatto

MessaggioInviato: Sab Gen 08, 2011 7:23 am    Oggetto: “IO, ISTRUTTORE” Rispondi citando

(Un racconto a puntate liberamente non ispirato da Isaac Asimov)





Crepi l’avarizia: tirerò fuori ‘sti duecentocinquanta euri! Crepi anche il dubbio di avere fatto la scelta giusta.

Crepino le perplessità e la paura di cimentarsi in una nuova disciplina, in qualcosa di più pericoloso dell’arrampicata in sé.

Muoia Sansone con tutti i filistei.

E già che ci siamo, visto che siamo in argomento, schiatti anche quel simpatico figlio di una pescatrice di uomini che è il mio vicino di casa: che settimana scorsa mi ha gibollato la golf-serie-primigenia-anno-zero, facendo manovra nel parcheggio.
(Beh… schiatti magari è troppo come augurio … ma almeno, gli venga la diarrea per un anno).

Insomma, dicevamo: crepi l’avarizia. Quest’anno mi iscriverò al corso di arrampicata su cascate di ghiaccio.

Chissenefrega che costi un quarto del mio stipendio! Chissenefrega che tutti mi dicano che prima di andare a fare cascate di ghiaccio, magari dovrei sapere arrampicare dignitosamente su roccia.

Ormai ho deciso. E non c’è moglie terrorizzata che mi prega di desistere che saprà convincermi. Non c’è consiglio saggio che la mia mente bacata accoglierà.

La mia voglia di avventura e di nuove esperienze prevale. Sono o non sono demente fino in fondo? Ho una dignità, un nome, un onore da cocciuto mulo irremovibile da difendere?

Bene! Quindi, ho deciso! Così sia. Amen. Kyrie Eleison.

Ad arrampicare su ghiaccio ci ho provato una volta sola finora: con l’amico Ste, che mi ha portato in Val Malenco a provare un tiro-giusto-un-tiro della bella cascata di San Giuseppe.

Per il vero, quel tiro quel giorno l’ho salito tante di quelle volte che della cascata, a mezzogiorno, restava davvero poco. Qualche candeletta qua e là. Qualche funghetto, uno o due cavolfiori … praticamente un’insalata mista …

Il resto, un ammasso di cubetti di ghiaccio delle dimensioni di un dado da gioco, provenienti dal mio lavoro di martello: tutti precipitati in parte alla base della cascata, in parte dentro il fiume sottostante.

Cubetti che ancora oggi i baristi della valle utilizzano per i cocktails ed i gelatai locali, per le granite.

Quella bellissima creazione della natura che era la cascata ghiacciata di San Giuseppe, che ci avrà messo almeno due o tre settimane a formarsi: scomparsa. Abbattuta come da un colpo di bazooka.
Tutta tritata dalla mia finezza.

In un due o tre ore di massacro barbarico: un esercito di Unni arrapati in un convento di vergini sarebbe stata meno devastante.

Se nessuno ha più trovato la cascata di San Giuseppe quell’anno: colpa mia. Lo ammetto e chiedo scusa.

Incapace di ripetere i movimenti aggraziati del “maestro” che – pur pesando un buon mezzo quintale più di me – saliva aggraziato e leggero come una farfalla, io ho arrampicato pestando all’impazzata con picche e ramponi, con la stessa delicatezza con cui un fabbro medioevale forgiava i ferri di cavallo sull’incudine.

Forza bruta in sostituzione della tecnica. Come se pestando di più, avessi la sensazione di rimanere meglio agganciato all’effimera solidità del ghiaccio.

Le mie prime picche da arrampicata sono durate solo quell’uscita: a dimostrazione che non devo avere arrampicato proprio correttamente. A sera, guardando quel che rimaneva degli attrezzi, non capivo più da che parte fosse la massa battente, da che parte il manico e da che parte la becca. Sformate che sembravano due manganelli della polizia.

Di qui, la decisione di imparare ad arrampicare sul ghiaccio.

Non ho fatto alcun corso con il CAI, finora: ho sempre avuto la fortuna di amici maestri quasi sempre d’esempio (in positivo o in negativo).
Gente paziente e coraggiosa, che mi ha portato con sé in montagna.
Oppure gente sconsiderata da cui imparare per opposto: facendo l’esatto contrario di quello che loro facevano, giusto per sopravvivere …

Ma sul ghiaccio si riduce per me la possibilità di trovare degli amici anche solo disposti a cimentarsi con un neofita quale sono.

Se davvero ci tengo a sperimentare un ambiente nuovo ed una nuova esperienza (e magari, se ci tengo anche un po’ di più alla natura ed alla salvaguardia delle cascate dell’arco alpino … che se continuo a farle come la prima, scompariranno dopo il mio passaggio) – forse è meglio se mi butto dentro un corso.

Così da avere accanto a me compagni nella mia stessa (o simile) situazione di (in)esperienza e (in)capacità e altra gente invece, gli istruttori, più esperti e competenti, ad insegnarmi come muovermi.

Così è deciso: l’udienza è tolta.

La moglie pretende che io scriva un testamento e si informa intanto sulla copertura della mia polizza vita. Ho così l’ok … o meglio … un silenzio-assenso a partecipare al corso cascate e a diventare un ghiacciatore principiante.

All’iscrizione al corso scopro che saremo in sei allievi e centoottantacinque istruttori.
La cosa mi conforta e mi rassicura. Praticamente un rapporto di un istruttore per ogni cellula celebrale di ciascun allievo.

Gli allievi non li conosco perché io sono del CAI di Como e loro sono del CAI di Como … sezione di Dongo: ovvero, a un ora e venti di macchina da casa mia. Ma fa niente: meglio! Conoscerò gente nuova, che è sempre un piacere per me!

Organizzazione del corso: lezioni teoriche … dove la maggioranza degli allievi si concentra, com’è giusto che sia … quindi: in alto lago, a Dongo.

Che gioia! … Pensare di andare alla sera, dopo cena, in piena fase digestiva, a fare lezione di tecniche e materiali, topografia e orientamento, tecnica di arrampicata su ghiaccio, tecnica di arrampicata e basta, tecnica, disegno ornato, pronto soccorso, taglio e cucito, ed anche un po’ di economia domestica e cucina che non ci sta mai male … a 50 km di curve da casa mia …

Ma la montagna è questo, no? Per una gioia transeunte, uno sbattimento permanente.

Eccomi allora: sono il servo del(le) signore. Sia fatto di me quello che è giusto.
Mi armo di pazienza e di centinaia di lattine di Red Bull che occuperanno per tre settimane il posto passeggero della mia golf gibollata e mi metto di buona lena a frequentare il corso.

I compagni allievi sembrano tutti ragazzi affabili e simpatici.
Gli istruttori, come sempre agli occhi di un allievo anche se non più di dieci anni, sono degli esseri mitologici dotati di esperienza millenaria nella segreta arte della spada … ops … della picca … e mi incutono un vago senso di rispetto, misto ad invidia e soggezione.

In sostanza, sono a mio agio: qui, tra questa gente dell’alto lago che crede che al di sotto di Camerlata il mondo finisca in un enorme voragine tipo maelström norvegese e che chiamano terroni i cittadini di Como perché abitanti della parte più meridionale del mondo conosciuto. Ho faticato non poco a convincerli quando ho detto loro che esistono terre, al di là: terre abitate, mondi da scoprire e dai quali io provengo!

Le lezioni teoriche finiscono presto – per fortuna mia e con enorme rammarico della ditta della Red Bull che aveva aumentato le vendite incredibilmente nel periodo invernale – e si arriva ai tre weekend di fila di PRATICA!
Figata! Si passa dal libro al ghiaccio: ho già le braccia che fremono all’idea di martellare, pestare, agganciare, ruzzare e bestemmiare.

Forse un ricorso inconscio della prima devastante esperienza sulla cascata di San Giuseppe, che ancora adesso non si riforma più completamente per la paura che torni io ad abbatterla: poveretta!

Peccato soltanto che quest’anno sia stato l’anno più nevoso degli ultimi quindici … e che quindi le cascate, se esistono, sono sommerse da metrate di neve.

Così, proprio per questa ragione, la prima uscita si trasforma in un documentario sull’assurdità della vita terrestre: attualmente trasmesso su tutte le reti televisive del mondo alieno.

Lassù – marziani e vesuviani – grazie alle repliche su tutte le reti osservano ancora il gruppo del Corso Cascate CAI di Como mentre con una scopa pulisce dalla neve che la sommerge la cascata Cinese.

Per salirla e ridiscenderla: decine di volte.
Ciascuno aspettando il proprio turno.
Patendo il freddo.
Prendendo in testa il ghiaccio staccato da chi sta salendo sopra.

Me li immagino proprio gli extraterrestri: in prima serata, seduti sul divano in famiglia a guardare noi che facciamo queste cose assurde, davanti all’equivalente extraterrestre di “Passaggio a Nord Ovest”, in cui comunque – questo è sicuro – ci sarà un conduttore figlio illegittimo di Piero Angela.

Loro – gli alieni – da lassù ci osservano e dicono ai figli: “Guarda là sul pianeta Terra, che strane usanze gli umani! Guarda i capibranco che insegnano al resto del gruppo come salire e scendere sul ghiaccio! Non si capisce per cosa lo facciano, però! Per il cibo? Per riprodursi? Deve essere un rituale di corteggiamento! Ma dove sono le femmine allora? … Boh! … Com’è strano l’universo! Com’è affascinante!”

E noi sei pirla lì, intanto.
Ad imparare come salire una cascata di ghiaccio: con stile e relativa sicurezza.

A divertirci nel mentre ci congeliamo. A congelarci, mentre ci divertiamo.

Poi, dopo una prima uscita, per così dire … di approccio, si finisce a fare sul serio.
A salire cascate degne del nome: con il loro bel III grado o III grado superiore.

Che bei ricordi, a ripensarci ora: negli occhi, le immagini di me e dei compagni completamente ibernati.

Durante l’ascensione della prima cascata degna di memoria, fa così freddo che il barcaiolo, il nodo barcaiolo che so fare non solo con la destra ma anche con la sinistra, bendato, alcolizzato, sotto effetto di barbiturici, con le dita dei piedi, con i denti, con le orecchie e sono sicuro che se mi impegnassi un po’, riuscirei a tirarlo fuori anche col pisello … fa così freddo che il barcaiolo non solo non esce dalle mie mani, ma neppure dai miei pensieri.

Sto lì: guardo la corda. Chiedendomi cosa devo fare e nulla: neppure l’idea del barcaiolo per mettersi in sosta mi viene.

L’istruttore, poveretto, mi guarda, dentro di sé pensando sicuramente: “Ma questo a me chi me lo ha dato? Il corso cascate non è mica un corso avanzato? Il corso base questo dove lo ha fatto? Col CAI di Paperopoli? Neanche il barcaiolo sa fare!”

Poi, commosso dalla scena di me con una corda in mano e la stessa espressione di uno dei protagonisti del Pianeta delle Scimmie, mi suggerisce come assicurarmi e io cerco anche di annuire con la testa.

Visto che sto tremando dal gelo, non so se il muovere la testa su e giù per dire “Sì” sembri quello che vorrei o sembra invece una convulsione spastica del genere degli attacchi epilettici.

Fa niente: tanto ormai mi sono giocato ogni credibilità e l’istruttore i prossimi tiri li salirà in autoassicurazione che è meglio: “Chi si fida di uno che non sa fare il barcaiolo!”.

Intanto, le piccozze – questa nuova realtà che si frappone tra me e l’arrampicata – dal freddo che fa ed a cui non sono abituato, sono diventate parte di me come le forbici di Edward mani di forbice.

Piuttosto che mollarle, per aprire le mani, faccio tutto con le picche in mano: mi gratto la testa, mi allaccio il casco, chiudo ed apro la lampo della giacca a vento, svito il termos de the caldo, mi scaccolo il naso. E sarei pronto anche a guidare la macchina, lavorare al computer, prepararmi la cena con ancora incollate le buone Salewa!

Per finire questa splendida esperienza, prima di tornare al rifugio e di tornare ad una temperatura corporea tra i 36 ed i 37°C, cosa c’è di meglio di una bella doppia su Abalakov?

Durante le spiegazioni teoriche sull’affidabile tenuta dell’Abalakov: nessuno aveva da obiettare niente. Tutti ingegneri e fisici accademici, di fronte alla spiegazione di come fare sta benedetta clessidretta di giaccio.

Anche io a perorare la causa della scienza, di fronte allo scetticismo dei più dubbiosi: “Se hanno dimostrato che tiene come e più di un chiodo da ghiaccio, non vedo la ragione per non crederci o non fidarsi!”.

Me lo vengano a dire adesso, davanti a sta colonnina di ghiaccio tirata fuori con due viti!

Adesso che mi devo appendere lì e mi devo anche calare per trenta metri verticali! Prima di buttare in fuori il culo dalla sosta e di appendermi a questo misero trabiccolo, estraggo tutto il necessario per la calata: piastrina, fettuccia, kevlar per il Machard, moschettoni, rosario in madreperla e la boccetta monouso di acquasanta dei Padri Barnabiti del convento di Campello.

Poi, l’istruttore mi dice: “Vai tu, adesso: io resto appeso alla sosta coi chiodi e mi calo dopo di te”.

Lo so che in questa espressione c’è la logica: “Vai tu, che almeno la tua calata resta assicurata oltre che sull’Abalakov anche sui chiodi da ghiaccio della sosta”…

Ma per il vero, lì per lì la logica cede il passo al sentimento.

E il sentimento è un misto tra il terrore negli occhi del procione della scena iniziale di Ace Ventura e la rassegnazione al martirio di Giovanna d’Arco sul rogo. Guardo in basso, sotto di me: verso quelle rocce laggiù sulle quali dovrò calarmi. Non schiantarmi: ca-lar-mi.

Guardo in su: verso il cielo da quale il mio angelo custode ride e mi fa la stecca (bastardo … !): dico un paio di preghiere e calandomi sperimento la scienza applicata alla pratica. Misuro l’efficacia dell’Abalakov sulla mia pelle.

Una calata delicatissima. Neppure uno strappetto. E in una mezzoretta sono alla sosta sottostante: finalmente coi piedi su roccia! Solida roccia.

L’istruttore lassù sente il mio barbarico grido di gioia per essere arrivato a terra, che stacca un paio di slavine sul versante opposto della valle.

Forse il grido lo risveglia dal torpore in cui la mezz’ora di attesa lo ha precipitato: si scongela e scende anche lui (io intanto mi tolgo da sotto, che se l’Abalakov non tenesse la seconda calata …).

Che bei ricordi! Il mio corso di arrampicata su ghiaccio: primo e unico corso CAI, fatto dalla prospettiva dell’allievo!

Un corso utile, per chi come me non aveva un socio a cui affidarsi per apprendere l’arrampicata su ghiaccio.
Tanta esperienza: tanta teoria e tanta pratica. Tanti amici conosciuti: tanti contatti allacciati. Nuovi posti visitati. Tanta gratitudine per la pazienza ricevuta da chi mi ha insegnato ed accompagnato.

Poi, da quella esperienza e dal corso ne abbiamo fatta di strada!

Non sono passati mille anni, da allora: ma già l’anno successivo, nella sola stagione di ghiaccio seguente, proprio con i compagni incontrati al corso – con gli altri allievi ed anche, talvolta, con gli stessi istruttori – abbiamo salito 16 cascate, di cui alcune tra le più belle delle nostre montagne: da Durango alla cascata della Merdarola; dal Couloir di Pontresina al Salto del Nido in Val Febbraro …

Da quella prima cascata Cinese, altra venti metri ed impolverata di neve: liberata a ramazzate con la scopa di saggina, il ghiaccio salito si è fatto più verticale, più impegnativo, più appassionante. Gli Abalakov, le colonnine di ghiaccio da cui calarsi sono diventati amici fidati e preziose risorse. Le viti da ghiaccio sono diventate una voce di spesa costante nell’economia domestica della famiglia, al pari della pastasciutta e della benzina per la macchina.

Ma da quella esperienza è derivato anche qualcos’altro. Un impegno più grande: una conseguenza inattesa e coinvolgente.

Cena di fine corso.

Scontato che dopo i tre weekend passati tutti insieme, per salutarsi, si dovesse organizzare una bella rimpatriata tutti insieme con le morose: davanti a qualche piatto di pizzoccheri e a del buon vino rosso sincero.

Così, finita la cena, il sommo sacerdote della Scuola CAI … ops … il Direttore, mi chiama in disparte, mi guarda in faccia e mi butta lì sta proposta indecente: “Visto e considerato che anche tu come gli altri durante il corso ti sei comportato bene, dimostrando partecipazione e buoni risultati, ti andrebbe di entrare nell’organico della scuola coma aspirante istruttore?”

Anche io lo guardo negli occhi, un po’ sorpreso e un po’ stupefatto. Poi mi giro un attimo e vedo che dietro di me c’è il cane dei proprietari del ristorante: forse il Mega Direttore sta parlando con lui. Molto probabile, visto che quel cane lì in falesia fa il 6° grado molto meglio di me e per giunta slegato.

Poi mi rigiro e in realtà il Super Presidente sta guardando ancora me (Fido dietro, infatti, si è spostato: non ho dubbi. Sta parlando con me).

Ripenso al mio barcaiolo congelato nel cervello. Alle mie lacrime cristallizzate a -20°C sulla prima doppia su Abalakov; alle piccozze ghiacciate nelle mani … mi chiedo se se ne fossero accorti, di tutti questi miei limiti. Poi ovviamente la risposta non può essere che sì: certo che lo sanno! Anche perché accanto a Sua Eccellenza il Direttore della Scuola c’è proprio l’istruttore che mi ha sbrogliato il barcaiolo dalle mani quella famosa volta: è lì, che mi porge la stessa proposta di partecipazione. Che mi invita anche lui a diventare aspirante istruttore.

Come sempre, una proposta del genere ha due effetti: da un lato solletica l’amor proprio e l’orgoglio.
Stuzzica la voglia di partecipazione: l’ambizione del poppante quale sono, che si vede lusingato da un riconoscimento implicito (per quanto poco fondato, date le premesse …).

Dall’altro lato, si attacca al senso di responsabilità di chi come me è abituato ad andare in montagna da qualche anno e a vedere ogni sorta di minchiata messa in atto da alpinisti improvvisati di tutte le specie e di tutte le razze.

Dopo avere frequentato la montagna anche solo per qualche anno e dopo avere visto ogni sorta di abominio della sicurezza, mi sento chiamato in causa.

Dopo avere visto con questi occhi gente assicurata in cordata su ghiacciaio con la fettuccia per le tapparelle legata in vita.
Dopo avere litigato con cordate legate da corde statiche per ancorare le barche ai moli, su vie di centinaia di metri.
Dopo avere fotografato in parete coppie di quindicenni impegnate con la scodella da motorino in testa sulle vie del Medale.

Dopo avere aiutato alpinisti con trent’anni di attività ad assicurarsi in sosta non con il nodo delle scarpe ma con il barcaiolo: dopo tutto questo, dopo avere visto cose che voi umani non potreste neanche immaginare: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione… e i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser … mi viene offerta la possibilità di aiutare. Di prevenire.

Di rimediare.

Di partecipare a formare nuove generazioni di aspiranti alpinisti che almeno vadano in montagna con la base delle regole di sicurezza in testa. Di regole che, se non possono essere dogmi di verità assoluta poiché il CAI non è il depositario della verità divina in terra, almeno vanno conosciute – con i loro limiti – per evitare di trovarsi in imbarazzanti pericoli, per il vero facilmente evitabili.

La scelta che devo fare è immediata.

Devo rispondere non subito, ma entro pochi giorni.

Do una disponibilità di massima: con entusiasmo. Riservandomi comunque di rifletterci qualche momento in più a casa, per arrivare a ponderare quale delle due motivazioni prevarrebbe su di me: se il becero orgoglio personale o se invece lo spirito di servizio ed il senso di responsabilità e l’approccio didattico.

Quando dico alla moglie che mi hanno proposto di fare l’istruttore, lei esplode in una manifestazione di gioia spontanea analoga a quella che dovette esprimere il presidente della Polonia nel 1939: quando venne a sapere che – 16 giorni dopo i nazisti – anche i russi stavano invadendo il suo paese.

I giorni successivi alla richiesta sono tormentati: sarò anche un cazzone, ma ho un briciolo di coscienza e i dubbi mi vengono.

Sono di fronte al dilemma interiore: se accettassi la proposta, parteciperei per la falsa aspirazione della patacca da istruttore, per quanto aspirante, per quanto sezionale (o sezionabile? non ho ancora capito …!) … oppure parteciperei per vero spirito di servizio?

Devo guardarmi dentro: in fondo, e devo comprendermi.

Chiedo anche agli amici: tra i quali ho la fortuna di avere anche navigati istruttori del CAI, persino ex direttori della Scuola: ai quali devo i primi solidi rudimenti della mia formazione di pseudo-alpinista/arrampicatore. Sento ancora rimbombare gli schiaffoni sul casco quando sbagliavo il nodo in sosta: che momenti formativi!

Così, lì chiamo: li sento per e-mail e raccolgo tante opinioni e tanti consigli.

Il più assennato di questi, più o meno, mi dice così:
“Un istruttore, secondo la mia opinione, deve avere non solo passione ma anche e soprattutto un’esperienza sufficiente da trasmettere e da utilizzare per tirare fuori da una potenziale situazione di difficoltà non solo l’istruttore stesso, ma anche un allievo principiante al seguito. Un’esperienza, questa, che anche persone con decenni di attività alle spalle – di attività vera, su vie vere e severe – può non avere maturato. Ho visto istruttori con questa esperienza, soccorsi durante il corso base perché intrappolati in un passaggio più duro del normale, con all’altro capo della corda un allievo incapace di andare avanti o di tornare indietro, bloccato dal panico più totale. Ti senti in grado di affrontare situazioni del genere?”.

Il vecchio lupo che mi pone questa domanda, sa benissimo che è una domanda retorica.

Che non sarei in grado di risolvere una situazione del genere. Io non ho fatto la nord del Cervino.
Non ho fatto la Solleder-Lettenbauer al Civetta ... Che sicurezza potrei infondere ad un allievo impanicato che mi si impantanasse su un 4° grado, 40 mt sotto di me?

Ma poi un'altra prospettiva mi persuade.

È vero: sono una mezza schifezza, alpinisticamente parlando.
Non son degno neppure di dirmi aspirante alpinista: figuriamoci aspirante istruttore!

Però, guardo dentro la scuola. Non vedo neppure lì, salvo importanti e – per fortuna numerose – eccezioni una schiera di discendenti di Comici e di Bonatti, che abbiano consacrato la loro vita alla montagna, vinti dal sacro fuoco dell’alpinismo e illuminati dalla genuina passione per la didattica.

Vedo un buon gruppo di discreti montanari e arrampicatori (di certo migliori di me! … Ma ci vuole davvero poco!) che con passione e dedizione, offrono parte del loro tempo agli allievi dei corsi.

Vedo gente con la quale ho già arrampicato e che in certi casi ha avuto difficoltà a farmi da secondo di cordata: figuriamoci il livello, quindi, se il primo ero io!

Ragazzi e uomini, anche amici adesso, che però in altri ambiti dell’alpinismo hanno conoscenze ed esperienza da vendere: al cui confronto la mia è del tutto insufficiente.

E vedo, dall’altra parte, una schiera davvero grande di persone che chiedono formazione.

Che si cimentano in avventure in montagna che richiederebbero una buona formazione, senza invece la minima conoscenza.

Oggi, la montagna è diventata di moda: ci sono in falesia orde di arrampicatori che salgono i 7b dopo due mesi di iniziazione ma che ancora fanno il nodo a otto in venti minuti (in altri venti minuti lo ricontrollano, chiedendo anche consiglio ai vicini ed ai parenti a casa e se glielo si concede, anche giocando l’aiuto del pubblico e il “50 e 50”). Ragazzini che calpestano le proprie e le altrui corde, trascinandole in giro nella terra e sui piedi altrui, senza il minimo riguardo, come fossero appendici del loro pisello.

Ci sono rifugi pieni di gente che sale sul ghiaccio in cordate da 10 persone legate ad una corda da 30 mt … che se è dinamica è già un grosso risultato. Che si lega fuori dal rifugio con nodi che ancora non compaiono nei manuali: non solo di alpinismo, ma neppure di nautica, di carpenteria o di cucito e ricamo.

C’è gente che sale ghiacciai crepacciatissimi con le racchettine da trekking, slegati e magari partendo alle 10 di mattina da rifugio: “Che i ponti di neve a me mi fanno un baffo!”.

Gente che si cimenta in ferrate con intorno alla vita una cordino in canapa, prolungato con due cordini (o erano lacci delle scarpe? …) e un solo moschettone. “Dissipatore? Ma dissipatore lo dici a tua madre!”.

Ho visto davvero, in una palestra indoor, un ragazzo che dopo essersi assicurato con il moschettone al porta materiali dell’imbrago, è precipitato accanto a me di schiena da 6 metri, non appena appesosi per la calata. D’altronde, l’anello porta materiali è progettato per portare 5 kg di peso: non riesce a tenere il peso di 60 kg di coglionaggine che, salita la via, si appende per scendere. Un ragazzo che, grazie al suo angelo custode, è ancora vivo e sano. Non se arrampichi ancora: io in giro non l’ho più visto.

Dopo tutto questo mi dico: non potrò – al pari di molti altri istruttori – venire fuori da situazioni impreviste.

Non ne ho l’esperienza, ahimè.
Ma qualcosa posso fare, comunque.

Difficilmente potrò fare peggio della totale inesperienza che regna sovrana!

Posso aiutare: con i miei limiti, a superare limiti ancora maggiori: e se saprò essere modesto abbastanza da non illudere un allievo di potersi affidare a me in tutto e per tutto, di potere trovare in me la “Verità” … riuscirò a fare tutto sommato del bene. Magari, a formare un po’ più di sicurezza. Un po’ più di coscienza.

E poi, è tanto che vorrei fare del volontariato e questa partecipazione, del tutto gratuita ed anche impegnativa (dato che porterà via libertà al mio tempo per la montagna, già prezioso e ridotto) è volontariato, con una punta di divertimento: il che, non guasta.

Infine, tra gli argomenti a favore, c’è anche il fatto che, per essere in grado di insegnare qualcosa, sarò costretto a tenermi aggiornato: ad analizzare le mie conoscenze con senso critico ed a mettermi in gioco, per confermare e consolidare quello che so, confrontandomi con i risultati più recenti dei test e delle ricerche sul campo.

Sono stato scelto per cooptazione: come nell’antica Roma venivano scelti i Feziali. Sono stato scelto per entrare a far parte di un gruppo, da parte del gruppo stesso. Confido nel fatto che un briciolo di giudizio sulle mie potenzialità, se non sulle mia capacità, sia stato fatto!

Ok. Sono deciso: accetterò la proposta. Entrerò nella scuola come Aspirante Distruttore … ops … Istruttore sezionabile … sezionale.


Ora che sono un aspirante istruttore, forse è meglio che mi dedichi un po’ ad approfondire quello che dovrò insegnare.

Sono un genio: lo so! L'ho sempre saputo!

Adesso ho trovato la scusa ideale per andare ad arrampicare e a far montagna il doppio di prima: un po’ per il piacere personale, un altro po’ con la scuola.

Dico alla donna: “Sai: ora devo tenermi aggiornato! Non vorrai mica che mi trovi ad insegnare a qualche allievo cose sbagliate? Studio, pratica, confronto con i “colleghi”. Cosa vuoi … mi tocca! Ho un gran senso del dovere!”.

Forse la moglie per un millisecondo ci crede anche. Il millisecondo successivo, però, mi manda cordialmente a cagare.

E forse, per un millisecondo ci credo pure io! Il millisecondo successivo, devo dare ragione alla moglie: donna impareggiabile per saggezza e pazienza.

Fino all’inizio del primo corso base di alpinismo, in effetti, mi godo qualche mese di “intensa pratica formativa a carattere personale”. In pratica, mi faccio i cazzacci miei tutti i sabati e tutte le domeniche (ed anche qualche giorno infrasettimanale, che le ferie per cose ce le ho altrimenti?!).

Non ho ancora iniziato a fare l’istruttore e mi è già venuta l’ansia da sacrificio del tempo libero che dovrò dedicare alle lezioni durante i weekend.

E poi – dopo 8 settimane di grasso godimento alpinistico: dopo 8 sabati ed 8 domeniche passati senza dedicare un minuto all’amata e pazientissima consorte – il corso base arriva.

In un battibaleno, siamo già alle lezioni teoriche ed in teoria, potrei anche non partecipare come la maggior parte dei 1000 istruttori della scuola fa.

Ma non ho frequentato il corso base come allievo: sia la curiosità, sia la logica mi portano a seguire le lezioni (per fortuna questa volta a Como e non in alto lago!).

Se si deve fare parte di una scuola, infatti, ha senso che ciò che andrò a spiegare agli allievi sia uniforme a quello che gli altri istruttori insegneranno: che le manovre, laddove possano avere delle varianti, siano insegnate nello stesso modo; che le regole di sicurezza e le legature siano per tutti gli istruttori e per tutti gli allievi, le stesse.

Partecipare, quindi, è più di una facoltà: è un dovere, ritengo. Almeno per una volta.

Il primo approccio con gli allievi del corso, che finora non ho conosciuto, mi fa una certa impressione.

Non so per quale ragione, ma dentro di me c’era la convinzione che gli allievi di un corso base dovessero essere tutti ragazzini alle prime armi con la montagna. Invece, mi trovo di fronte – nei circa 25 allievi – oltre a qualche ragazza e qualche ragazzo (non certo “… ino”) di 25/30 anni, anche signore e signori che se per l’età che hanno non potrebbero essere mia nonna e mio nonno, almeno sembrano mio padre e mia madre.

Alla fine mi rassegno alla constatazione che non c’era nessuna logica, nell’idea che gli allievi debbano essere dei giovincelli: quindi, razionalizzo la novità e accetto il fatto di dovere legare dall’altra parte della mia corda, non solo qualche coetaneo ma anche il Signore e la Signora Brambilla … o magari … il Dottore e la Dottoressa Riva … o magari il mio vecchio professore di matematica del liceo.

Che figata sarebbe se ci fosse davvero, tra questi allievi!
Adesso che devi arrampicare e che io ti devo recuperare qui in sosta, appeso all’altro capo della corda: prova a dirmi adesso che non capisco un cazzo di sistemi e funzioni! … Che sarebbe meglio se mi dedicassi all’agricoltura o all’astrologia babilonese! E la sicura si farebbe sempre più lasca …

Esco dal sogno momentaneo e torno sulla terra.

Decido di sedermi, anche se non so ancora bene dove: sono allievo istruttore.

Mi metto tra gli allievi o tra gli istruttori? Facciamo che mi metto qui: a metà strada, che è meglio.
Di lato, davanti alla “cattedra” e davanti anche alle sedie degli allievi. In disparte. Sembro un intruso.

E mi immergo in una appassionante lezione sulle attrezzature ed i materiali da montagna (la seconda in due mesi, anche se al corso ghiaccio si parlava di attrezzature diverse). Circa un’ora dopo mi sveglia qualcuno con un calcio negli stinchi. Mi stropiccio gli occhi: che sonno! Mi riprendo immediatamente e assumo un’espressione di viva partecipazione e di interesse: ma ormai mi sono giocato la credibilità sia della platea che del palco.

In effetti, la lezione è finita.
Io non ce l’ho fatta a farmi spiegare ancora una volta a cosa servono e quanto tengono le fettucce ed i cordini in kevlar.

Per il vero, non tanto perché ne so già abbastanza: quanto per evitare di fare brutte sorprese!

Del tipo che i kevlar non tengono, come io credo, otto milioni di kg e resistono in eterno ad ogni tipo di stress, al fuoco e ad ogni sollecitazione. Io, che uso i cordini anche per appendere i panni bagnati sopra la stufa o il caminetto in rifugio o per trainare fuori la macchina scivolata nella riva ghiacciata a bordo strada.

Non voglio sapere che i kevlar hanno dei limiti. Potrebbero crollare tutte le mie convinzioni!

Così, di lezione in lezione, di appuntamento in appuntamento, (di pisolino in pisolino: ma non ditelo a nessuno, visto che durante il corso ho imparato a dormire con gli occhi aperti e sbarrati e con l’espressione da studente universitario intelligente!) … di gioia in gioia, si arriva alle uscite pratiche.

La prima, sarà alla falesia di Scarenna: a testare i risultati dei nostri sforzi nella spiegazione della calata in corda doppia.

A verificare che anche la Sciura Giovanna di turno – che alle lezioni credeva che Machard fosse il mio cognome e che la calata in corda doppia fosse un modo di scendere molto più a lungo perché “se si fa la corda doppia con la corda da 60 metri , vuol dire che si arriva 120 metri più in basso, vero?” – che anche lei abbia capito tutto, tanto da saperlo mettere in pratica.

Ad alcuni di noi istruttori “volontari”, spetta il fausto compito di salire in cima al tiro di corda e appenderci lì, per aspettare che i vari allievi a turno salgano e per assisterli nella preparazione della doppia.

In sostanza, mi toccherà passare un pomeriggio appeso in sosta (per fortuna con comoda cengia).

Per ingannare il tempo, mi sono portato una confezione di pistacchi secchi: che dopo 3 ore di doppie, ho mangiato tutti.

Non ho mai fatto così tante doppie nella mia vita, senza peraltro muovermi di un solo millimetro dalla prima sosta. Un pomeriggio ad aiutare gli allievi ad assicurarsi alla sosta, a prepararsi il nodo Machard (“Ma va? Non sei tu Matteo Machard? Peeeeensa! E io che ero proprio convinta!”), a buttarsi in fuori per la prima volta nella loro esperienza e a testare la teoria finora appresa in aula.

C’è chi compie questa prima operazione con estrema sicurezza perché – mi dice – “ieri ho provato a calarmi dal balcone di casa al 3 piano. Tutto bene a parte il vicino che ha chiamato i vigili credendo che fossi un ladro!” – e c’è chi invece si affida anche troppo all’aiuto dell’istruttore.

Ma come biasimare chi è insicuro?
Mi ricordo ancora la mia prima doppia, dal fungo in Grignetta. Un esperienza mistica che ancora mi fa venire i brividi: record del mondo di avemarie in velocità sui 15 mt, ancora imbattuto!

I pistacchi cominciano a fare effetto: salati com’erano, mi hanno fatto venire una sete mostruosa, del genere attraversamento del deserto dei Gobi senz’acqua.

E soprattutto, il loro effetto collaterale principale – una altrettanto mostruosa e pericolosissima miscela di meteorismo, aerofagia e flatulenza – rischia di trasformare questa mia permanenza in sosta in non memorabile tentativo di auto-soffocamento. Ora ho i capelli biondi a meches e lo stesso profumo di un veterinario che ha condotto il parto gemellare di una vacca scozzese.

Per fortuna finiscono gli allievi: e mi calo io, finalmente.

Arrivato allo zaino, ingollo un litro e mezzo d’acqua tutta di filato e riprendo l’uso della lingua, attaccata al palato causa pistacchi, ed anche l’uso della parola: le ultime doppie agli ultimi sfortunati allievi le ho spiegate col linguaggio dei segni.

La prima lezione finisce così: gloriosamente.

Comunque, è stato uno spasso vedere le espressioni degli allievi alle prese con la loro prima doppia.

Qualcosa che non dimenticherò più: gli occhi della Sciura Giovanna in preda ad un delirio da tensione, sbarrati prima di mollare gli ormeggi dalla sosta.
Tanto tesa, poveretta, che credo che la calata in corda doppia l’abbia fatta scendendo a mano sulla corda, peraltro vincendo anche la resistenza del nodo di sicurezza, che non si è degnata di smollare.

O invece l’espressione di malcelato timore del ragazzo fino a poco prima così temerario e sbruffone: che alle prese con il Machard, chiede a me di controllarlo per la ventottesima volta prima di staccare il moschettone e appendersi per la discesa.

Lo so: sono un sadico bastardo … ma non più sadico e non più bastardo dei soci che mi hanno guardato ridendo mentre sudavo sulla prima doppia del fungo in Grignetta!
Un sabato senza arrampicata, benché tutto il giorno appeso ad una parete. Un sabato indimenticabile.

Solo per questo dovrei essere grato alla scuola CAI a cui ancora … diciamo … non appartenevo “del tutto”: ancora “aspirante” istruttore! Aspiravo ad istruire: non “istruivo” ancora. Una giornata gratificante ed emozionante (… in un modo tutto particolare … ) come altre vissute con l’imbrago addosso.

Ed altre me ne ha regalate di emozioni, questa esperienza ancora in corso. Altri ricordi ed altre risate che mi si dipingono sulla faccia ancora, quando ritornano in mente le vicende passate con le uscite CAI.

Mica è facile dimenticarsi certe esperienze da thriller: che se ci fosse stata una telecamera a filmarci, al confronto il video di Micheal Jackson sarebbe stata una sciacqueria!

Che immagini! Se ripenso alla prima vietta di un certo rilievo salita con all’altro capo delle mezze, un allievo fresco fresco.

L’uscita “seria” su calcare di quell’anno finisce in Grignetta.

Parcheggione dei Resinelli: c’è lo smistamento dei pani e dei pesci (ovvero delle allieve e … degli allievi).

Da buona ultima ruota del carro quale sono, le allieve non le vedo neanche col binocolo: sono assegnate in ordine di grado, anzianità e forza bruta agli istruttori già tali. Quelli che non aspirano più!

Che se ne sbattono altamente quando devono a salire la Scalinatella ai Denti della Vecchia (che alpinisticamente parlando … non dà grossissime soddisfazioni).

Ma vogliamo mettere la soddisfazione compensativa di accompagnare una giovane pulzella che, tremante, sale recuperata a verricello, fino ad una strettissima e scomodissima sosta?

La gioia del macho istruttore i cui puzzolenti effluvi di sudore – lì in quella sosta scomoda ma … intimissima – vengono temperati nel mescolarsi con la freschezza all’acqua di rose … della Sciura Giovanna: no dai!!! … di una giovane allieva!

Un premio inarrivabile! Al quale ancora io non posso ambire, neppure lontanamente.

E simmetricamente, le istruttrici della scuola … per quanto (e per fortuna!) non mi è dato di confermare, forse si giocano i maschietti migliori, o forse no ... forse siamo solo noi uomini ad essere mossi da questi istinti animalescamente sinceri.

Siamo lì, al parcheggione dei Resinelli.

Se non posso ambire a qualche bella allieva vergine … alpinisticamente parlando: si intende! … allora ambisco con le unghie e con i denti ad un allievo tra i più bravi, in base alle risultanze delle uscite precedenti segnate nei libretti dagli altri istruttori.

Ad ogni allievo un libretto, ad ogni uscita un giudizio: come all’università. Prendi in mano il libretto e più o meno sai cos’hai davanti, con chi vai ad arrampicare.

In teoria …

Così, a questo giro, me ne andrò a fare una vietta carina e più soddisfacente della normale ai Magnaghi.

Andata!

Ho il nulla osta del Supremo Direttore per la Gandini ai Magnaghi. Un bel V° grado: con una ragazzino che è tra i migliori del corso. Parto, con la benedizione del diretur e con la carica di chi ha Voglia di arrampicare, oggi: proprio Voglia di fare una bella vietta.

Partiamo io ed il fidato allievo, gasatissimo più di me di andare a fare una vietta interessante, finalmente fuori dalle angustie della falesia. Ce ne partiamo in gruppone stile Giro d’Italia: con tutti gli altri istruttori ed allievi diretti per varie salite alla zona dei Magnaghi.

Siamo praticamente duecentocinquanta persone. La Sciura Giovanna con il diretur ed altre 248 presone circa che credo vogliano fare la prima assoluta tramite piramide umana alla normale ai Magnaghi: tutti uno sopra l’altro, fino all’ultima sosta!

Sarà che siamo più gasati noi di chi andrà a salire la Normale per la sessantaseiesima volta nella propria carriera, fatto sta che arriviamo primissimi: lì, di fronte all’attacco della nostra vietta. Prima anche dell’altra cordata della scuola che farà, come noi, la stessa Gandini.

Disfiamo le corde. Ci leghiamo su. Controllatina ai nodi. Materiale.

Guardo negli occhi il giovanissimo socio col quale non ho mai arrampicato e mi spaventa un po’ l’espressione che ha: sembra “Doc” Emmett Brown, lo scienziato di Ritorno al Futuro.

Anche i capelli, a guardarlo bene … a parte il bianco …

Sono un po’ inquietato dall’esaltazione che traspare dal suo sguardo: se non fossimo nell’istante prima di partire per qualcosa di “avventuroso”, sarei più preoccupato e magari gli chiederei che droghe usa, che ai tempi miei, alla sua età …!.

Ma qui, in questo contesto, prendiamola sul positivo: vorrà dire che ha tanta voglia di arrampicare anche lui come me e che non lo spaventa una via più impegnativa del solito. (O vorrà dire che sto per andare ad arrampicare con un piccolo pazzo psicopatico esaltato? … mmmmm … perplessità …)

Esclusa la seconda opzione, più per speranza che per conoscenza, parto.

Arrivato alla prima sosta, noto con immenso piacere che la corda con cui dovrei essere “assicurato” penzola molle davanti al mio socio-allievo per tre-quattro metri. Noto che lui invece di guardare me, ammira il panorama e parla con il primo di un’altra cordata lì in sosta con lui: “Sì è la mia prima via che faccio in Grignetta: che bello! Sono con il CAI: sì, quello sopra è l’istruttore!”

Mi assicuro alla sosta. Mi giro: “Vuoi che sia la prima e l’ultima via che fai?”

… Ho richiamato l’attenzione dell’imberbe allievo, che mi guarda con la faccia a punto interrogativo.

Immediatamente dopo, faccio partire un cazziatone verbale al poveretto che risuona dolce come un discorso al pubblico di Adolf Hitler allo stadio.

Un ruggito da leone in calore: GROAR !!! L’ululato di un lupo nella steppa: AUUUUUUUUUUUUUU!!!!!!!!!!!

Tutte le cordate della parete si girano a guardarmi.

Gli animali della valle tacciono. I bambini che salgono i sentieri iniziano a piangere.

Giù ai Resinelli, causa onda d’urto, sono partiti anche un paio di allarmi di auto parcheggiate.

Forse ho esagerato un po’… Anzi no! Non ho esagerato …!

Eccheccaz…volo: stavo arrampicando praticamente senza assicurazione! E se devo insegnargli, questa è la prima lezione! Recupero il socio-allievo che sale praticamente senza mani: cammina sulla parete, tanto lo sto recuperando incazzato!

Quando arriva in sosta ha uno sguardo diverso: adesso – sempre per restare al film Ritorno al Futuro – sembra George McFly da giovane.

È lì: tutto mesto e timoroso a causa del mio sfogo.

Non parlo: gli tiro in faccia un ruggito (o era un rutto … ? Boh! ) che gli sbiadisce leggermente i capelli.

Poi abbasso i toni e gli dico, pacatamente: “MACOMECAZZOSTAVIASSICURANDOMI?MACOSATIABBIAMOINSEGNATOALCORSO?INFALESIA?MACOMELATENEVILACORDA?VOLEVIVEDERMIFRANTUMATOALSUOLO?PROVAANCORAATENERMICOSìETISTRAPPOTUTTIICAPELLICONUNAPINZETTAPERLECIGLIA!!!!”

Poi abbasso i toni ulteriormente – di un’ottava ancora – e gli ribadisco: “Ti prego, carissimo, di rivedere la tua modalità di farmi sicura in quanto, con il lasco che stai forse tuo malgrado concedendomi, qualora fossi malauguratamente precipitato, avrei finora rischiato di sfracellarmi al suolo. Nella certezza che il concetto non ti sfuggirà ulteriormente, mi accingo quindi a proseguire l’arrampicata confidando nella tua maggiore attenzione. Cordiali saluti.”.

Il povero allievo trema ancora. Lo fermo. Ripenso ai giudizi sul libretto e li maledico un po’: ma fa niente.

Io riparto. Lui stavolta mi assicura che sembra uno degli omini disegnati del manuale del CAI: perfetto.

La tecnica didattica degli antichi maestri funziona sempre: a cazzata, cazziatone!

E ridendo e scherzando, arriva anche il tiretto succoso: il V che è un piacere. Tra tettini e strapiombetti mica-da-ridere.

Un tiretto che farei in un sol boccone, se a tenermi ci fosse il buon vecchio Mauro o qualche altro socio della solita combriccola. Un tiretto che diventa invece un ottavo grado, psicologicamente: a pensare che a farmi sicurezza, là sotto, c’è un ragazzino che finora ha usato il mezzo barcaiolo 4 o 5 volte nella sua vita, ma sempre in falesia o giù di lì. Che cinque minuti fa mi faceva sicura senza la minima sicurezza. Una nuova scoperta: l’emozione del primo di cordata fatto così!

TO BE CONTINUED ...
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Kliff 62



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MessaggioInviato: Sab Gen 08, 2011 12:29 pm    Oggetto: Rispondi citando

Very Happy Aspetto la prossima puntata..... Wink
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Peggy



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MessaggioInviato: Sab Gen 08, 2011 6:20 pm    Oggetto: Rispondi citando

Letto d'un sol fiato ed ovviamente...
Kliff 62 ha scritto:
Very Happy Aspetto la prossima puntata..... Wink
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Domonice
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MessaggioInviato: Dom Gen 09, 2011 4:37 pm    Oggetto: Rispondi citando

Citazione:
Sto lì: guardo la corda. Chiedendomi cosa devo fare e nulla: neppure l’idea del barcaiolo per mettersi in sosta mi viene.

L’istruttore, poveretto, mi guarda, dentro di sé pensando sicuramente: “Ma questo a me chi me lo ha dato? Il corso cascate non è mica un corso avanzato? Il corso base questo dove lo ha fatto? Col CAI di Paperopoli? Neanche il barcaiolo sa fare!”

Poi, commosso dalla scena di me con una corda in mano e la stessa espressione di uno dei protagonisti del Pianeta delle Scimmie, mi suggerisce come assicurarmi e io cerco anche di annuire con la testa.

Visto che sto tremando dal gelo, non so se il muovere la testa su e giù per dire “Sì” sembri quello che vorrei o sembra invece una convulsione spastica del genere degli attacchi epilettici.

Fa niente: tanto ormai mi sono giocato ogni credibilità e l’istruttore i prossimi tiri li salirà in autoassicurazione che è meglio: “Chi si fida di uno che non sa fare il barcaiolo!”.

Intanto, le piccozze – questa nuova realtà che si frappone tra me e l’arrampicata – dal freddo che fa ed a cui non sono abituato, sono diventate parte di me come le forbici di Edward mani di forbice.

Piuttosto che mollarle, per aprire le mani, faccio tutto con le picche in mano: mi gratto la testa, mi allaccio il casco, chiudo ed apro la lampo della giacca a vento, svito il termos de the caldo, mi scaccolo il naso. E sarei pronto anche a guidare la macchina, lavorare al computer, prepararmi la cena con ancora incollate le buone Salewa!


ma tu sei quello del "veterano" vero? Very Happy
il breve passaggio di cui sopra serve solo per invogliare alla lettura....
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paolo grisa



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MessaggioInviato: Dom Gen 09, 2011 9:28 pm    Oggetto: Rispondi citando

pura poesia.................
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paolo75



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MessaggioInviato: Dom Gen 09, 2011 9:34 pm    Oggetto: Rispondi citando

Ci vuole un attimo, ma come tutti gli altri tuoi scritti ne vale davvero la pena Laughing Laughing

Aspetto anch'io il seguito Wink
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darioalpago



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MessaggioInviato: Lun Gen 10, 2011 11:31 am    Oggetto: Rispondi citando

Bello e vero...Vogliamo il seguito...
Wink
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La montagna � maestra di vita...nel suo abbraccio scopro tutta la sua bellezza..la verit��.
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airborne



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MessaggioInviato: Lun Gen 10, 2011 3:52 pm    Oggetto: Rispondi citando

paolo grisa ha scritto:
pura poesia.................


tu sei di parte Laughing
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Audaces fortuna iuvat

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leo



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MessaggioInviato: Mar Gen 11, 2011 12:33 am    Oggetto: Rispondi citando

Sempre bello, attendo anch'io allora Wink

airborne ha scritto:
paolo grisa ha scritto:
pura poesia.................


tu sei di parte Laughing


CAIANO Laughing Laughing
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