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   Pacokeuta, parete sud, 02/03/2024
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Onicer  Zeno   
Regione  Altro
Partenza  Valle del Jachcha Jahuira  (4700 m)
Quota attacco  5000 m
Quota arrivo  5589 m
Dislivello della via  550 m
Difficoltà  PD+ ( pendenza 50° )
Esposizione in salita Sud
Rifugio di appoggio  Nessuno
Attrezzatura consigliata  Normale attrezzatura da alpinismo classico su ghiacciaio.
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Il Pacokeuta è una cima di 5589 m che si trova nel settore centrale cella Cordillera Reál. Si vede bene da Peñas ed è una delle cime preferite del mio amico Asso che l’ha salita ben ventisei volte aprendo molti nuovi itinerari insieme ai ragazzi della parrocchia che si preparavano per il corso guide.
Partiamo il venerdì pomeriggio dalla parrocchia risalendo la valle del rio Jachcha Jahuira: siamo in otto sul leggendario Land Cruiser guidato con destrezza da Asqui.
Ci accampiamo in un prato vicino all’auto e accendiamo un fuocherello con un po’ di legna preparata previdentemente da Asso (accendere il fuoco a quasi cinquemila metri di quota si rivela non facile e divertente). Ceniamo e organizzando la logistica per il giorno successivo; Asso e Asqui si fermeranno a lavorare per derivare un corso d’acqua con un tubo e preparare delle cascate di ghiaccio in vista della stagione fredda mentre a salire alla vetta saremo in due cordate: una composta da Lia, Edwin, Franz e l’altra da Jhon, Ronald ed io.
Alle tre di mattina ci svegliamo, facciamo una ricca colazione e ci avviamo seguendo gli ometti preparati sempre da Asso e Asqui negli anni precedenti. Si cammina su morene impreziosite da due splendidi laghetti di circo. Io interrogo un po’ i ragazzi su temi geomorfologici trovandoli molto preparati (sono stati qui negli anni scorsi alcune persone del Servizio Glaciologico Lombardo che hanno fatto anche un po’ di scuola sul tema).
Quando ormai è l’alba arriviamo al ghiacciaio e ci incordiamo. E’ un momento bello: mi gusto la neve che crocchia sotto i ramponi, guardo l’altra cordata ben legata che apre la via tra i piccoli crepacci e mi crogiolo nel sole caldo del mattino. La via di salita è molto lineare perché si segue interamente la lingua glaciale che forma la parete sud della montagna. All’inizio si sale per blande pendenze, si evita poi una seraccata passando alla sua sinistra (faccia a monte) e si affronta al finale una ripida pala di neve a picco sui seracchi. In quest’ultima parte sono un po’ preoccupato perché è la prima volta per Lia e Ronald con i ramponi ai piedi e la neve è ben dura. In realtà tutto fila liscio e verso le nove siamo in vetta felicissimi. Ammiriamo le montagne circostanti seguendo con gli occhi ed il desiderio creste e pareti. Mangiamo, preghiamo e cantiamo la canzone ispirata alla poesia di Battistino Bonali: “Gracias montaña porque hundido en tu silencio / he probado el gozo de llegar a la cumbre, / he descubierto en mi el deseo de verdad”.
La discesa si svolge alla grande: Franz ed Edwin attrezzano con maestria due ancoraggi con corpi morti e facciamo due calate da 120 metri (giuntando le corde) per discendere la parte più ripida. Nella parte finale si sfonda un po’ nella neve ma ridendo e barcollando raggiungiamo la morena e quindi Asqui e Asso che stanno giusto finendo di lavorare. Pranziamo e ritorniamo in parrocchia dove festeggiamo con un secondo pranzo a base di pollo fritto (causa della mia sofferenza gastro-intestinale dei due giorni successivi…).

Che bello l’andinismo, l’amicizia e la vita quando la intendiamo come un dono.

Mola mia, leù!
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