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   Vallone del Salto, 09/03/2023
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  Fiumenero  (800 m)
Quota attacco  1800 m
Quota arrivo  2000 m
Dislivello della via  200 m
Difficoltà  PD- ( pendenza 50° / I in roccia )
Esposizione in salita Sud-Ovest
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  picca e ramponi
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Finalmente la telefonata di Fil mi toglie dall’impaccio di dover organizzare una gita alpestre in mezzo agli impegni di lavoro domestico,ospedaliero e la cura del grande Gregghi. Dice che non ne può più della mancanza di montagna e vuole sfogarsi facendo fatica. In contemporanea stavo proponendo ad Ale un medico del mio reparto una gita alpina e allora coincidendo proposta e turno libero ci organizziamo in anticipo per domenica 5 marzo. Ale poco convinto e motivato desiste e allora la sera del sabato vado a prelevare Fil a casa sua (non ha ancora la patente!) e lo porto da me a dormire in previsione della levataccia e per non perdere un’ora di tempo nel passare a prenderlo. Le previsioni annunciano una giornata bella e la luna piena ce ne da conferma. Abbandoniamo Fiumenero (q.800) alle 6.30 mentre il paese dorme ancora. Saliamo per l’ampio sentiero evidentemente allargato nel primo tratto e poco dopo le 7 guadiamo il Rio Valsecca con l’omonima valle che stretta sale verso la luce del sole che bacia in alto le sue rocce facendole arrossire. Traversiamo 10 minuti dopo il grande ponte in legno e ferro che ci fa guadagnare la sinistra orografica della valle e cominciamo a salire per gli ampi tornanti che ci fanno guadagnare quota più rapidamente rispetto al primo tratto più pianeggiante. Alle 7.30 il sole illumina in fronte a noi le torri del Pizzo Grò e quella Bocchetta della Foppa circondata a sinistra dai Pizzi Cavrin e a destra dalla cima Soliva che proprio con Fil raggiungemmo dalla Valtellina l’estate scorsa. Un bello stambecco maschio ci fissa dall’erba pochi metri sopra di noi, passiamo la marmitta ghiacciata e alle 8 ci affacciamo sul Pian dell’Aser a quota 1700 m. circa dove un vecchio pezzo di legno indica la deviazione a sinistra con la scritta Pian Campo. Intanto illuminate dal sole splendono le vette che vorremmo raggiungere: da sinistra dominano i Diavoli con i torrioni di cresta e poi discosto il Pizzo dell’Omo e quello del Salto che solo da qua si vedono contemporaneamente. Abbandoniamo dunque il sentiero per entrare nella piana alluvionale seguendo una traccia a dire il vero abbastanza evidente ma che sparisce subito sotto la coltre di neve. Tracce di passaggio sono evidenti e le seguiamo come pure si vedono bolli gialli e rossi sui massi. Raggiunto il sole ci fermiamo su un masso a fare colazione guardando a sinistra la linea di cresta dove occhieggia il puntolino rosso del Bivacco Frattini indicando il pendio dove, stento a crederlo raccontandoglielo, scendemmo con il Mot tanti anni fa sotto la tormenta. A destrainvece vediamo il solco della Valle del Salto che dovremo provare a seguire. Ripartiamo alzandoci un poco sul fondo del piano e percorrendo il crinale che virando a destra ci immette nel nostro vallone e seguendo il sentiero che si snoda fra mughi che sono abituato a vedere nelle mie Dolomiti e meno qua sul Bergamasco. Poco dopo tocchiamo il fondo del vallone e confortati dalla presenza di due segni siamo certi che questo sia il punto dove dobbiamo portarci traversando il torrente in destra orografica. Solo che la neve ora copre tutto e non si vedono ne segni ne le tracce di passaggio che proprio qua s’interrompono. Ci fermiamo a guardare e decidiamo, probabilmente sbagliando di proseguire sul fondovalle anche perché dall’altra parte un canalino molto nevoso sembrava prometterci di affondare abbondantemente. Cominciamo ravanamenti fra cumuli nevosi, rocce lisciate e scivolose perché bagnate e massi impervi da superare. Proviamo e riproviamo in vari punti fino a quando riusciamo a superare gli ostacoli e trovarci poco più in alto a chiederci nuovamente dove andare. A destra il Canyon sembra chiudersi e immediatamente a sinistra i pendii appaiono troppo ripidi da risalire con una sola picca e per Filippo che non si è mai cimentato in pendenze oltre i 50° e di cui mi sento responsabile. Anche se comporta un aggiramento e una parziale retromarcia, decido dunque di risalire i pendii a sinistra per vedere se riusciamo a raggiungere la zona più in alto dove probabilmente passa il sentiero. Facciamo un’altra pausa per montare i ramponi e adattarli ai nostri scarponi e poi alle 11 scendiamo sul fondo del canalone e ne risaliamo i facili pendii nevosi di neve abbastanza molle con pendenze attorno ai 50° che stanno dall’altra parte. Mando avanti Filippo che ne ha più di me e batte dunque traccia mentre io lo guido da dietro sulla direzione da prendere. Con due svolte ed evitando l’uscita ghiacciata e troppo ripida, superiamo il costone roccioso per una serie di rampe e tre quarti d’ora dopo ritroviamo i segni su due massi al sole e guadagniamo il plateau superiore da dove s’intuisce probabilmente la linea del sentiero coperta dalla neve. Ora dobbiamo salire ancora ma siamo in una zona più aperta e appoggiata proprio sotto le torri della cresta del Diavolo di tenda che si elevano sopra di noi a bucare il cielo blu. Saliamo ora tranquilli ma la fatica comincia a farsi sentire perché il sole ha scaldato la neve e affondiamo spesso nella coltre morbida e bagnata. Ci troviamo poco dopo davanti al dubbio se tagliare il pendio nevoso e arrivare più bassi al canyon o risalire l’ennesima rampa nevosa per arrivarci più dall’alto. Scegliamo la seconda proponendoci di scendere eventualmente dopo ma quando affioriamo di sopra una costa erbosa mostra dopo l’osservazione una traccia di sentiero e d avvicinandoci abbiamo anche il conforto di vedere un segno e la certezza quindi nel nostro continuo peregrinare a vista, di essere perlomeno vicini a dove dovremmo essere. Ora ci siamo alzati e a fianco dell’immensa parete nord del Redorta, si è affiancata la scogliera di Scais con le sue punte che raccontano di vecchie altre avventure. Scavalliamo un crinale di neve e ci troviamo improvvisamente sulla valle nevosa del vallone del salto esattamente dopo il termine del canyon roccioso di cui si vede l’inizio dello sprofondamento. Sono le 13.30 e un bel canale nevoso sale vs l’alto. E’ tardi e ancora lunga la via del rientro e ci fermiamo all’ombra a mangiar qualcosa covando nel frattempo intendimenti diversi. Fil vuol salire ancora un poco a veder dietro la quinta rocciosa oltre la quale il canale sembra virare a sinistra mentre a me il gelo e la convinzione che salire sarebbe comunque per poco mi fa propendere per riguadagnare il sole e valutare se sia il caso di ritornare seguendo il sentiero che più solatio si dirige verso il Rif. Brunone. Mi convince anche l’errata interpretazione della relazione (con la neve non avevamo mai punti di riferimento) per cui ci sarebbe voluto solo poco più di un oretta. Trasporto tutti i miei bagagli al sole che sparisce dietro le creste delle torri del Diavolo e mi costringe a nuovi rialzi e intanto mi libero del materiale e dell’imbrago guardando Fil che risale e accorgendomi che in realtà dovrebbe salire tantissimo per vedere qualcosa di nuovo(raggiungere il ramo di sinistra del canale che si diparte verso il Passo e il Pizzo dell’Omo). Glielo grido e pare capire perché dopo un poco lo vedo iniziare a scendere. Alle 14.30 mi raggiunge, lo aiuto a sistemare il materiale e prendiamo a seguire in leggera salita il sentiero che appare sgombro di neve. La leggera salita ma costante incide sulla nostra fatica e sul nostro morale tanto che il Brunone appare più lontano del previsto e fa sorgere dubbi sulla decisione di non esser tornati da dove eravam venuti. Traversiamo frequenti vallonamenti nevosi o canaloni dove il manto bianco è rimasto per fortuna trovandoli quasi tutti di neve morbida e non pericolosa. Mi giro spesso indietro a fotografare la quasi indecifrabile sequenza di punte e torri che si sormontano in questa spettacolare zona alpina ai margini della frequentazione escursionistica e anche alpinistica. Alzandosi e allontanandoci si vede sempre meglio l’altro grande canalone che sale all’ora ben evidente Passo dell’Omo e che mi fa pensare al bel concatenamento Salto-Omo salendo da un canale e scendendo dall’altro…vedremo fra un mese….! Di svolta in svolta di vallone in vallone continuiamo a faticare, a salire, a non arrivare mai. Il Redorta che appare e scompare fra le nubi sembra il Nanga Parbat e sembra in effetti di stare in Nepal per il grande contrasto di colori fra le terre alte, bianche e blu e quelle basse dove prevale l’ocra dell’erba bruciata dall’inverno o il marrone scuro delle rocce libere dalla neve. Ad un certo punto un bel prato sgombro di neve c’induce alla pausa e ci sediamo sull’erba. Salgono le nebbie dal basso e in brevissimo tempo non si vede più niente..mi preoccupo perché ora la neve è tornata e senza prospettiva, rischiamo seriamente di perderci e far notte. Mi alzo per rimettermi in moto a cercare la via ma come son venute le nubi scompaiono e quando dopo il piano immacolato che stiamo traversando a vista, rivedo il sentiero , capisco che ormai è fatta e me ne rallegro. Scatto una foto a Fil che nelle nebbie che ancora galleggiano davanti all’immensa parete del Nanga Redorta pare proprio stare in Himalaya e poi finalmente l’ultima svolta erbosa ci concede al vallone finale da risalire fino al Brunone ma siamo esausti e non ci sembra vero di essere finalmente arrivati al meraviglioso sasso che ci indica di scendere verso Fiumenero(q.2200, h 16.30). Fotografo il rifugio che avevo pensato di passare a salutare come un vecchio amico che non si vede da tempo. Quanto ci metteremo così provati a scendere l’immensa discesa e i 1600 mt di dislivello che ci aspettano prima di poter smettere di camminare? Invece i primi passi in discesa ci mettono le ali ai piedi e scendiamo a buon ritmo. Incrociamo una famiglia di stambecchi che fanno la passeggiata serale facendo saltellare da ogni parte i numerosi cuccioli e controllo la bianca distesa del Pian dell’Aser che si avvicina sempre di più e segnerà anche la fine del sentiero pietroso e l’inizio di quello un poco più boscoso. Ci arriviamo alle 17.45 e poi discorrendo del mondo che cambia, della sessualità fluida, della genitorialità omosessuale alle 19 buttiamo esausti gli zaini a fianco dell’auto. Niente male come prima gita seria dell’anno. Grazie Fil alla prossima….pensando già a tornare per completare l’ardito giro pensato e cioè dopo aver risalito il vallone del salto arrivare al passo e poi per cresta al Pizzo omonimi, infine traversare al Pizzo Omo, al passo omonimo e ridiscendere dal canalone omonimo a ricongiungersi al vallone del Salto. Foto1 canyon valle del salto Foto2 Fil risale Foto 3 dal Pizzo Poris al Pizzo Salto
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