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   Transcoca ( parete nord + parete ovest), 03/07/2014
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  Centrale di Armisa  (1000 m)
Quota attacco  2050 m
Quota arrivo  3050 m
Dislivello della via  1000 m
Difficoltà  AD+ ( pendenza 50° / II in roccia )
Esposizione in salita Nord-Ovest
Rifugio di appoggio  Bivacco Resnati
Attrezzatura consigliata  ramponi • 2 picozze corda
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Visto il successo entusiasmante dell’impresa sulla nord del Fletschorn propongo a Nadir un’altra bella parete, la Nord del nostro amatissimo Pizzo Coca che si nasconde sul versante valtellinese della montagna. Circa un mesetto dopo il 2/7/2014 passo a prenderlo dove abita nel bergamasco e proseguiamo per Lecco Colico e la Valtellina che risaliamo fino a Ponte in Valtellina (località Casacce) dove si svolta a destra su strada stretta in direzione di Arigna (cartello indicatore). Seguire le indicazioni entyrando in val d’Arigna attraversando l'Adda e quindi proseguire lungo la strada principale in salita per qualche km. Non abbiamo pane ma ci dicono, per non stare a tornare indietro che dovremmo comunque trovarne nei paesini o all’ultimo ristorante prima del nulla. Troviamo chiuso ovunque e proseguiamo per un paio di chilometri fino al parcheggio nei pressi della centrale di Armisa 1041 m. Non di solo pane vive l’uomo. Ci adatteremo. Lasciata l'auto alle 17.45, seguiamo la ripida strada cementata fino alle baite della località Foppe 1360 m. poste su un bellissimo e verdeggiante pianoro. Poi continuiamo a salire lungo lo sterrato passando per le baite di Pradaccio 1458 m e Michelini 1499 m. Qui La pista termina e si prosegue su di un sentiero che si inoltra a mezza costa in direzione sud verso la testata della valle fino a raggiungere il torrente Armisa. Guadato il torrente si raggiunge il bivio per il Bivacco Resnati, sulla destra invece la deviazione che porta al Bivacco Corti. Su terreno sempre più arido si continua verso la testata della valle. Alle 19 il cielo grigio fino a quel momento sembra voler scendere a coprirci, ma poco dopo addossato alle rocce riusciamo a vedere il minuscolo puntolino rosso del bivacco, quasi al centro sotto la parete del Dente di Coca. Attraversando cespugli di bassa vegetazione e pietraie di grossi blocchi ci avviciniamo all’enorme masso cui è poggiato per ripararsi la piccola lattina rossa che dopo un’ultimo strappo raggiungiamo due ore dopo la partenza (q. 1920). Ci infiliamo nel bivacco a mangiucchiare la nostra parca cena e dalla porta che lasciamo aperta vediamo la valle che abbiamo risalito scender fino al grande solco della Valtellina che interseca perpendicolarmente. Poi cala la luce, le nostre palpebre anche e infilati vestiti sotto le militari coperte ci abbandoniamo al sonno ristoratore. Sveglia alle 4, preparazione, trasporto dei ramponi fino alla poco distante lingua di neve e alle 4.40 al buio le nostre frontali guizzano sulla neve che si colora di arancioni tondi tremuli. Il buio completo dura poco perché alle 5.10 un poco più alti vediamo già la luce forzare le pareti del Bernina. Che spettacolo incredibile si ripete ogni giorno nella nostra inconsapevolezza. Saliamo su pendenze moderate(30-35°) lateralmente al grande rigolone centrale sempre al buio perché la luce non ci raggiunge ancora. Alle 5.30 è chiaro e Re Disgrazia solitario emerge porporeo dal suo isolamento mentre Regina Bernina si fa bella e rosea co la sua corte di cime che la seguono: Roseg,Scersen,Argient, Zupò e Bellavista. Pochi attimi dopo troviamo un canalino sui 50° e lo risaliamo mentre la luce arancione sfiora le punte del Dente di Coca rianimando la roccia marrone dopo il gelo del sonno. Impressionante il contrasto tra la roccia scaldata che sembra arder del color del fuoco e quella ancora in ombra non accesa. Ora il canalone centrale si apre immenso sopra di noi come un lenzuolo steso verso il cielo e la pendenza si accentua attorno ai 50°. Alle 6.20 usciamo da questo tratto centrale e facciamo una breve pausa su una sorta di pianerottolo ammirando tranquilli e rilassati la possenza del gruppo del Bernina. Ripartiamo ancora su pendenze sostenute ma sempre sicuri per via della neve trasformata, dura ma non ghiacciata, che offre eccezionale presa per le punte dei nostri ramponi. Sappiamo che ad un certo punto dobbiamo prendere a sinistra per uscire al colletto ma probabilmente svoltiamo ad un altro punto. Stà di fatto che alle 7 siamo fuori dal canale, felice sul colletto d’uscita attendo l’arrivo di Nadir che emerge dal vuoto e mi raggiunge. Visione fantastica a pari quota degli arrivi dei canali Tua e Centrale di Scais che ci stanno proprio di fronte e che possiamo ammirare da cima a fondo nel loro disegnarsi fra le pieghe delle rocce che attraversano. Siamo sotto un torrione che ci confonde e Nadir rapidamente lo risale invitandomi a seguirlo. Dall’alto comprendiamo l’errore: abbiamo preso l’uscita a dx! (un pelo più ripida pendenza sui 55°-60° ). Da quassù vediamo l’immacolato e corretto colletto di uscita. Con attenzione disarrampichiamo il torrione e per cresta a sx e traverso in neve recuperiamo l’uscita giusta e alle 7.40 ci abbandoniamo felici alle rotondità comunque esposte del colletto giusto assaporando finalmente la gioia della vittoria dopo la suspence finale e il timore di esserci cacciati nei guai.
Che ambiente selvaggio, esposto e affascinante dove irrompe come un miracolo un incredibile mazzolino di fiorellini rosa che escono dalle rocce a 3020 mt. di quota. Ora tranquilli, guardiamo giù dal canale che avremmo dovuto risalire e vediamo che era un poco meno inclinato. Siamo sulla cresta che divide la val d’Arigna dalla val Morta, poi rimontiamo sul lato Val Morta, l’erta crina nevosa che adduce alla cima Valtellinese(3040m.) con ometto di sassi, già libera dalla neve e poi ci attende un fantastico ed estetico spigolo nevoso che porta all’anticima di Coca. E’ tanta la bellezza di questa muraglia di neve nel vuoto che ci fotografiamo entrambi tra cielo e neve. Pochi passi ancora e per l’affilata cresta di neve, alle 8.20 ci fotografiamo felici ed esausti seduti sotto la croce di vetta a q. 3050 mt, del Re delle Orobie. La giornata è splendida, la luminosità e la profondità di veduta incredibile e il panorama infinito. Scatti a ripetizione a 360° come poche altre volte mi è capitato in tutta tranquillità perché è prestissimo e perché è bello crogiolarsi al sole tra uno sguardo sognante e l’altro, mentre i sensi abbracciano l’infinito. A sud la Presolana imponente e rocciosa, e il poderoso gruppo dell’Arera con le sue fortificazioni( Fop,Secco,Valmora..) si stagliano con le loro forme sui colli che scivolano al piano. A sudest, sotto di noi il Lago del barbellino contorniato dalle meraviglie orobiche della sua conca è circondato dal Cavrel dal Recastello in prima fila, in seconda stanno lo Strinato, il Trobio e il Gleno e il Tre Confini e il Tornello e in terza la catena dell’Adamello fino al Carè alto e poi a destra il Cornone di Blumone e poi il Baldo. E poi ancira il Diavolo di Malgina che precede le Cime di Caronella e il Torena. A nordest oltre le creste dirupate dei Druet e dei Cagamei riempiono il cielo la grande e possente triade del GranZebrù,dello Zebrù e dell’Ortles e poi il gruppo Cevedale Vioz con il biancheggiante Palon de le Mare. A nord domina la scena l’imperioso e altissimo di cime gruppo del Bernina e un’altra bella triade composta dalla Cima Viola e dalle Cima de Piazzi con in mezzo il Pizzo Dosdè. A nordovest il solitario regno del Disgrazia, precede quello ineccepilmente estetico e scultoreo dei grandi lastroni di granito di Badile e sudditi. A nordovest la discesa della scogliera di scais nel Pizzo Scotes, Punta degli Uomoni e Rodes, anticipa le meraviglie d’oltralpe fra cui si distinguono lontane le vette dell’Aletschorn, eiger, Finsteraarhorn. A Ovest infine, è eccezionalmente remunerativo il panorama sulla scogliera Scais Redorta. Lontano ma possente l’enorme Rosa alla cui destra spunta perfino il Cervino e poi le terre elvetiche dominate dai Dom e a seguire la triade Weissmies Lagginhorn e Fletschorn. Mamma mia quante montagne e quante terre abbracciano i nostri sguardi estasiati mentre ci crogiolamo al sole in questa quasi calda mattina straordinariamente limpida che sostiene un cielo che più terso non si può. Noi immersi nel bianco, depositati nel blu. Scrivo sulla neve e fotografo i saluti per dani e tutti i bimbi. Poi prima che il sonno ci colga alle 9 esco dal dolce torpore e convinco Nadir ( visto che è presto) a non scendere dal canale ma a farlo per la parete ovest e quindi compiere un grandioso giro ad anello di tutta la montagna. Nadir,un grande, accetta e allora via, giù all’avventura. La vista si perde verso il basso per quasi un migliaio di metri, la neve resta sempre dura e le pendenze attorno ai 50 per cui perdiamo quota con cautela e attenzione, sempre viso a monte. Dopo una cinquantina di metri, mi fermo a fotografare Nadir che scende e sopra di me le nostre tracce che risalgono al cielo perdendovisi. Troviamo un tratto di neve traslucida e gelata che c’impegna un poco e poi la mia attenzione è catturata dal profilo del Dente di Coca oltre cui svetta la Cima di Scotes. Poi il pendio si fa più ampio e cala un poco la tensione: sono le 9.30 e tutto vabene. Entriamo poi nell’ennesimo canale ghiacciato e ad un certo punto battendo il rampone sul pendio, lo sento aprirsi e poi rotolare sotto di me , passando accanto a Nadir. Rimango interdetto, e mi ancoro usando le picche con violenza: il problema è che la neve è troppo dura per bucarla con lo scarpone e quindi resto con un solo appoggio. Resto comunque tranquillo e chiedo a Nadir di risalire . Lui si assicura con 2 viti e mi lancia la corda quando la gamba destra cominciava a tremolare un poco per lo sforzo di sostenere tutto il corpo e per la paura che cominciava ad affiorare. Mi recupera poi su un canalino ghiacciato laterale alla parete rocciosa:lo scarpone scivola come un anguilla ma trovo un sasso stabile sul quale appoggiarmi e fasciarmi con del nastro rosa il rampone allo scarpone. Si complimenta con me perché sono rimasto tranquillo e io con lui perché è stato rapido, veloce e sicuro a salvarmi. Il rampone incerottato regge ma non mi da sicurezza e allora Nadir si assicura come può e mi cala per 2/3 tiri di 30 mt, cercando di non stare nel centro del canale. Trovo incredibilmente su una roccia il pezzo del rampone ( la linguetta che unisce la parte anteriore a quella posteriore ) che si è staccato e me lo metto in tasca per cercare a casa di capire cosa sia successo. Intanto, siamo chiaramente fuori via e ad un certo punto, troviamo un anello di calata non sufficiente a calarci dal salto con la nostra corda da 30 mt ma fortunatamente a dx trovo un pendio sfasciumato che pare potermi permettere di raggiungereun sottostante pendio nevoso che non sembra tanto inclinato e che pare scendere senza soluzione di continuità fino all’accogliente nevaio della Conca dei Giganti. E’ tanta la voglia di arrivare giù che disarrampico veloce questo tratto e quando arrivo giù battezzo quello che ho davanti come il Nevaio della Salvezza e lo urlo a Nadir che è ancora appollaiato sopra il salto. Scendiiiii è fattaaaa! Sono le 13 e le ultime due ore sono volate senza foto, col cuore in gola e l’unico pensiero di riuscire a scendere sani e salvi, io per la paura di scivolare e lui per quella di esser da me trascinato. La neve è ancora dura ma che scendiamo (io con un solo rampone) anche quest’ultimo tratto con la pendenza che pian piano decresce e mi aiuta a sciogliere la preoccupazione. Alle 13.30 due stambecchi che circospetti si muovono sulle pietre a fianco mi danno un‘incredibile carica di energia e vitalità. Mi sembra che la montagna fino a questo punto fredda e animata, prenda vita e mi rincuori: i due stambecchi sono messaggeri di vita e li accolgo felice a placare i miei nervi evidentemente ancora scossi. Ormai siamo giù, sono salvo e finalmente alle 14 entriamo nel porto sicuro e accogliente della Conca dei giganti. Il laghetto di Coca, con la sua pupilla blu circondata dall’iride bianca e innevata è un'altra immagine di amena serenità che però no raggiungeremo se non con il cuore perché la nostra direzione è quella di riprendere a salire verso il Passo di Coca per poi scendere di nuovo vs la Valtellina. Prendiamo a risalire su neve ancora abbastanza dura con ramponi stanchi di sole fatica e tensione. L’inversione si fa subito sentire e il corpo mal si adatta al cambiamento. Poi la mente prende il sopravvento e ordina al somaro di non lamentarsi che a tutto c’è una fine. Provato alle 15 .15 raggiungo i 2650mt. del passo, il termine ultimo delle nostre fatiche quotidiane,anche se la discesa sarà ancora parecchio lunga. Mentre aspetto Nadir che si è seduto poco sotto sfinito, fotografo il Porola,la Cima del Lupo,quelle di Caronno e lo Scotes che da qua si fanno ammirare nella loro lunga cresta di collegamento che non vedo l’ora di affrontare. Un quarto d’ora dopo immortalo Nadir con lo sfondo del Dente: due giganti dritti verso il cielo. Nadir ha la faccia scottata dal sole e dalla fatica, una faccia da eroe. Dopo breve sosta, ci buttiamo giù per la vedretta del Lupo, un poco preoccupati per l’inclinazione che potrebbe avere la terminale dove va a saldarsi con le rocce sottostanti. Passiamo sotto al Bivacco Corti che se ne sta all’asciutto su rocce assolate solo lambito dalle lingue di neve che non lo raggiungono, camminando su neve molle scaldata dal sole con noi in maglietta e che camminiamo tranquillamente lasciando cadere i nostri corpi spossati verso il basso a seguire la lieve inclinazione del pendio, in attesa della svolta verso destra che ci chiarirà come procedere. Alle 16 passiamo accanto ad un crepo che arriva fino al fondo e che ci permette di valutare l’altezza del manto nevoso: un paio di metri! Poi dopo la svolta mi sembra d’intuire il passaggio lasciando a destra la lingua di neve che collassa troppo ripida sulle placche lisce che per tanto tempo l’hanno sostenuta. Alle 16.30, spostandoci verso sinistra, vediamo finalmente il puntolino rosso del bivacco salutarci dal basso. Purtroppo per raggiungerlo c’è ancora del dislivello le cui difficoltà non riusciamo ancora a valutare. Mi sposto ancora a sinistra per vedere meglio il salto roccioso da disarrampicare e fra due cascate trovo la paretina che mi permette la discesa fino al morbido nevaio sottostante da cui fotografo Nadir in una bella foto che disarrampica fra le due cascatelle. Un altro salto roccioso sempre scabroso ma non difficile, ci permette infine di raggiungere il pendio sottostante, nel vallone di Marovin, dove in traverso semplicemente raggiungiamo il rosso bivacco, nido abbandonato stanotte, alle 17.30. Ci concediamo il tempo della merenda ammirando dalla porta aperta sulla valle che scende il panorama verso il Gruppo del Bernina che emerge oltre il Pizzo Painale e la Vetta di Ron,chiudendo il nostro orizzonte. Riordiniamo bivacco e materiale, rifocillati di quel poco che abbiamo e tranquilli abbandoniamo il bivacco alle 18.15 salutandolo col masso che lo sostiene e questa valle cha da ambo le due vedrette salite e discese (di Marovin a sx e del Lupo a dx) ci ha regalato emozioni indimenticabili. Scendendo ci vien naturale voltarci vs il nostro percorso e la vista si apre man mano sul canale salito stanotte fino a renderne evidente la parte superiore e la sua duplice uscita: quella a sinistra e giusta e quella di destra(la nostra). Ormai non c’è più neve e l’erba brilla verde e luccicante spruzzata di sole ed è una meraviglia guardare il Dente di Coca avvolto come in uno scialle dal cielo blu e incoronato dalla pallida luna che diafana emerge sopra la sua punta. Alle 19.15 entriamo nella vegetazione del fondovalle e per l’ultima volta guardiamo l’immensa testata della Val d’Arigna e la possente parete nord del Coca ripercorrendo come in sogno i nostri tragitti per queste quinte e volte rocciose e per questi lenzuoli di neve appesi dagli dei delle montagne ad asciugare fra le pareti. Pochi minuti dopo siamo alle Baite Michelini prima intrusione della civiltà in questa valle selvatica e primordiale. Ora le ombre lunghe della sera ci hanno raggiunto ed è meraviglioso il contrasto guardando le pareti che ancora luccicano di luce e sole splendendo per contrasto ancor di più. Baite Pedraccio e giù nel verde sempre più rigoglioso e accogliente fin quando finalmente alle 20 (dopo 16 ore di odissea) siamo all’auto alla centrale di Armisa. Ripartiamo e la fame morde gli stomaci quasi vuoti( ho il pensiero fisso in testa di un toast al formaggio e prosciutto). Quando vedo aperta la trattoria solitaria che all’andata trovammo chiusa per la nostra delusione ( svanì così l’ultima speranza di procurarci qualcosina in più da mangiare) freno bruscamente sul ciglio della strada e scesi dall’auto, avanziamo baldanzosi e carichi di appetito verso la porta d’ingresso. Sognando il toast e un’altra Coca( da bere stavolta), un “Ciao ragazzi” proveniente da sinistra frena il mio incedere e quando mi volto verso la voce comincio balbettante per la fame per la stanchezza e per la sorpresa a dire…tu sei…tu sei….Maurizia Paradiso mi risponde l’elegante signora che ci ha chiamato. Passiamo con lei 10 incredibili minuti..uno show di battutacce e porcate dette però con ironia e simpatia che ci fanno sbellicare dalle risate. E poi la foto ricordo dopo che lei sollevando completamente la maglietta mi chiede se la voglio così. Rosso per il sole e l’imbarazzo mi accontento di una foto da poter mostrare anche a mia moglie Dani. Che dire..siamo passati da un Paradiso…all’altro! 5 minuti di spasso inenarrabili dopo 16 ore di pathos…ma come si fa a non amare la Vita e la sua capacità di sorprenderci sempre? Seconda uscita col buon Nadir (wildlife) e seconda epopea anche se la menzione speciale di questa gita va per il nastro rosa che tenendo insieme il mio rampone mi ha permesso di scrivere di questa avventura! Foto 1 Nadir sul ripido finale Foto 2 io tra neve e cielo sull’anticima Foto3 Coca parete nord
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