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   Fletschorn, Parete NE (via dei Viennesi), 06/06/2014
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Svizzera
Partenza  Rossboden  (1900 m)
Quota attacco  3200 m
Quota arrivo  3993 m
Dislivello della via  750 m
Difficoltà  D ( pendenza 60° / I in roccia )
Esposizione in salita Nord-Est
Rifugio di appoggio  Bivacco Piero de Zen (3015 m)
Attrezzatura consigliata  Normale dotazione per salite su ghiaccio. Non servono protezioni veloci per il misto.
Itinerari collegati  Fletschorn (3993m), Parete NE (via dei Viennesi)
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Partiamo con Ste per la Svizzera il 26/06/2012 con l’intenzione di andare a provare la Nord del Fletschorn. Il viaggio è tragicomico perché la mia C3 sobbalza ripetutamente durante tutto il viaggio e si spegne anche talvolta. Fino a quando dalle parti di Domosossola succede in galleria e da lì complice il buio decide proprio di addormentarsi. La risveglia il carro attrezzi che dopo attimi di panico per uscire incolumi dalla buia galleria, abbiamo chiamato a salvarci. E’ saltata la pompa, devono ordinarla e non sarà un lavoro immediato. Decidiamo di proseguire per il nostro sogno complice il noleggio di un auto ad una vicina concessionaria. Arriviamo a Rosenboden nel tardo pomeriggio e partiamo di corsa per salire in tempo al Bivacco De Zen prima che faccia buio. Saliamo svelti in una corsa contro la luce che si affievolisce sempre più finchè quando arriviamo sul ghiacciaio non si vede praticamente più nulla. Con rammarico Non riusciamo a scorgere il nostro bivacco anche se Ste sostiene di aver visto qualcosa che poteva sembrarlo fra le rocce a sinistra. “Non cominciamo a vedere cose che non ci sono” è la mia risposta diventata ormai battuta dall’avventura sul Disgrazia. Rimaniamo immobili con i piedi nella neve, le pupille dilatate per lo sforzo di vedere e i pensieri che ronzano sul da farsi. Io metto in dubbio che Ste possa realmente aver visto il bivacco ma son disposto a rischiare di salire nella direzione da lui indicata e lascio a lui la scelta. Non se la sente e decidiamo per una più prudente discesa a valle anche se questo significa la rinuncia definitiva al nostro progetto. A malincuore ma lieti di aver scelto convinti, scendiamo a valle alla luce delle frontali. Arriviamo stremati alla macchina alle h 23 e ste si sbatte in macchina a dormire mentre io mi raffreddo ujn poco andando a visitare le poche case del villaggio di Rosemboden dove trovo anche una luce accesa e una coppia che mi saluta allegramente come fosse la cosa più normale del mondo vedere uno in giro al buio a rovistare fra le case. Torno poi all’auto dove Ste se la sta ronfando alla grossa e mi addormento anch’io esausto sui sedili al suo fianco. Il freddo rimane fuori dall’auto e tuttosommato dormo quasi bene. Alle 7 la luce del sole è già alta e quando esco rimango incredulo della bellezza che mi circonda: una vallata di pini verdi precede il grande ghiacciaio seraccato a lato del quale siamo arrivati ieri all’imbrunire e oltre una parete rocciosa emerge il bianco cupolone nevoso del Fletschorn che sostiene un cielo azzurro immacolato. Tutto troppo bello per restare e dico a Ste della mia intenzione di salire a fare un giro. Non lo convinco e riprende a dormire o forse segnare. Io scatto come una molla e alle 7.15 comincio a salire sopra le caratteristiche case di Rossboden che fanno ghruppo abbracciate le une alle altrte con i bei tetti in pietra che rendono fiabesco il villaggio adagiato nel verde. Salgo antiche morene dove la vegetazione sta fiorendo dipingendo di verde la terra marrone e poi la mia attenzione è attratta da un masso gigantesco, grande come un palazzo da Soviet supremo e che trasportato chissà quando è ora sdraiato sul pendio e destinato a rimanerci per l’eternità. Più salgo e più si disvela la meravigliosa parete della montagna fin quando da un plateau erboso la posso ammirare in tutta la sua bellezza grandezza e maestosità. La nostra parete nord si alza a destra seminascosta dall’enorme seraccata terminale che esplode sotto di lei. Alle 8.40 metto piede sul nevaio e devo amaramente constatare che Stefano ci aveva visto giusto: il bivacco è rannicchiato tra le rocce con la sua lamiera grigia che brilla al sole proprio dove a lui era sembrato d’intravederlo nel di iersera imbrunire. Salgo il ripido pendio nevoso che lo protegge e alle 9.45 raggiungo le rocce alle quali è ancorato. Ora si vede bene lo scivolo nord, ora appare in tutta la sua magnificienza e splendore. Che voglia di picche, che voglia di provare a salire quell’argentea scala verso il cielo. Fisso la parete con la libertà con cui non si può guardare una bella donna e le prometto di tornare, di aspettarmi e farsi bella per quando sarà il nostro nuovo incontro. Scambio due chiacchere con un atleta svizzero che incrocio mentre scende dalla cima Sendkuppa e che mi riferisce di tempi scandalosi per la sua ascesa ma si vede che è un top. Poi mi dedico alle foto zoomando sulla spettacolare parete, la meravigliosa cresta sommitale e la discesa dalla cresta della normale…e poi via che giù c’è Ste che attende. La seraccata sotto la parete dove nei secoli si va ad accumulare tutto il ghiaccio che scende barcollante verso valle, fa veramente impressione per la sua grandezza e rovinosità. Pochi salti dopo sono nuovamente nel verde a fotografar rosa rododendri e gialli papaveri alpini che splendono fra le erbe che fan loro da tappeto. Alle 11.30 sono nuovamente a Rossboden da dove ricominciamo il viaggio verso l’Italia passando dal Sempione dove domina l’Ospizio, il suo bellissimo laghetto e il possente Monte Leone. Tra una foto e l’altra scendiamo ammirati da questi paesaggi svizzeri : sembra di viaggiare in una cartolina, tutto è a posto,tutto è in ordine, tutto rasenta armonia e perfezione. Ad un certo punto passiamo sotto la grande parete e ci fermiamo per ammirarla con Ste..dall’altra parte come una pinna di squalo occupa il cielo l’incredibile parete della DentBlanche. Ci fermiamo al Sinplon Pass a bere una birra e a scattar foto che sembran poesie. I prati sono lucidi come fossero dipinti coi pennarelli. Poi attraverso le imponenti Gole di Gondo, facciamo ritorno in Italia. Arrivederci Via dei Viennesi. Torneremo. Due anni dopo, venti giorni prima, ci ritorno in compagnia però di Nadir che ho appena conosciuto venti giorni prima all’invernale del Coca dove impossibilitati all’azione per via del vento di burrasca, abbiamo fatto amicizia. E’ mooolto più giovane di me e non abbiamo fai fatto nulla insieme, ma puntiamo sull’entusiasmo reciproco per saltare le tappe intermedie della conoscenza alpinistica e dirigerci verso la grande parete soltanto ammirata da lontano la volta precedente. Viaggiamo dall’Italia alla Svizzera valicando il Sempione e poi sino a (Simplon Dorf) Egga dove seguendo la strada in parte bitumata si sale fino a Rossboden (1939), dove è possibile parcheggiare la vettura (da Domodossola 35 Km circa). La neve è più bassa dell’altra volta e poco dopo la partenza alle 18.15 del 5/6/2014, camminiamo già fra chiazze bianche e cespugli appena liberati dalla coltre. Attraversiamo il torrente, salendo in direzione ovest la valle di Grisserna fra il torrente e la grande morena che delimita il ghiacciaio di Griessernu a quota 2600 metri e fino alla fine della morena stessa in circa 1 ora. Saliamo fra le morene rocciose sgombre di neve o per nevai fra nuvole che si abbassano e ci avvolgono nella loro bambagia. Si vede poco ma la memoria dell’altra volta mi porta ad intuire il percorso e alle 20.45 arriviamo al ghiacciaio di Rossboden dove ci fermammo e traversando in neve alta, cominciamo la risalita, notando anche già alte due figure davanti a noi. Ora si vede un filo meglio e la nuvolaglia ve il colletto, si tinge di porpora. Alle 21 le nebbie si sono dissolte e vediamo il tanto sospirato bivacco incastonato sul colle. Ci tranquillizziamo definitivamente e con un’ultima tirata sul ripido scivolo nevoso lo raggiungiamo un quarto d’ora dopo(q.3015), poco prima che scendano le tenebre. Ma noi siamo già al coperto ad ascoltare il sibilo della fiamma che scalda le nostre minestrine che a loro volta trametteranno poi a noi il loro calore. I due tedeschi hanno altri programmi per cui saremo soli domattina sotto la parete. Alle 22 esco a guardarla di profilo: brilla tenue illuminata dal chiaror delle stelle. Sveglia alle 3.30,colazione con the caldo e brioche. Il fornellino lo lasciamo a riposare ancora e alle 4 tremolante appare il bivacco De Zenel buio appena rotto da una lieve striscia d’alba alle sue spalle. Che bella la sferzata di gelo che ci accoglie nell’aria gelida dei 3000 metri. Giriamo a sinistra in silenzio seguendo tracce antiche già scritte nei nostri cuori ardenti di alpinisti pronti alla sfida. Alla luce delle frontali e del riverbero lunare sulla neve che scricchiola ma non durissima. Alle 4.45 siamo quasi di fronte alla parete che debolmente illuminata dal chiarore stellare, riflette tutta la sua gelida e austera bellezza. Camminiamo sempre in silenzio per non disturbare il riposo della vita che aspetta il sole per iniziare e mezz’ora dopo siamo sotto la crepacciata che segna l’inizio. E’ un momento emozionante, la luce ormai sufficiente ci mostra tutto il grandioso scivolo che sale fino in cielo col bellissimo cupolone nevoso che bonario sembra volerci invitare a raggiungerlo. Risaliamo questo primo tratto su tracce di slavine vecchie e neve a blocchetti mentre la linea gialla dell’alba dipinge l’oriente, oltre il Mattwaldhorn, e ammirazione per il Maestro che dirige la Meraviglia. Ora s’inizia a far sul serio e abbandonati i bastoncini tiriam fuori le picche e cominciamo a salire su pendenze attorno ai 40° dirigendoci verso il centro della parete e l’isola rocciosa che spezza in due lo scivolo nevoso. Alle 5.30 alzo gli occhi verso nadir che mi precede e mi vien da piangere. Gli enormi riccioli nevosi che saldano la nostra via al cielo sono diventati arancione e risaltano sulla neve che li sostiene ancora in ombra. L’emozione mi soppraffà e urlo a Nadir la mia gioia: capisci perché amo essere quaaaaa? Non riusciamo a scollare gli occhi dal pennello ionvisibile che colora con toni sempre più forti le nevi sommitali. Momento indimenticabile, fra i più belli mai vissuti in montagna. Pochi momenti dopo la cupola è letteralmente in fiamme e a malincuore abbassiamo lo sguardo per vedere dove poggiare il piede e continuare la progressione. Nel frattempo quattro puntini hanno animato il ghiacciaio alla base, sotto di noi e improvvisamente il calore della luce che stava scendendoci incontro scivolando dall’alto, c’investe colpendoci alle spalle. Sono le 5.30 e tutto s’indora di luce e d’entusiasmo per la bellezza che ci circonda e s’impossessa di noi. Raggiungiamo l’isolotto verso le 6 e la pendenza aumenta attorno ai 50°. Ora la parete è in piena luce eil blu del cielo crea un contrasto indescrivibile. Stiamo salendo per andare a prenderlo in un ambiente alpino fantastico con le creste della montagna che stiamo salendo che precipitano in un mare infinito di nubi che riempiono lo spazio fino all’orizzonte dove si velano di giallo. Alle 6.30, ci concediamo una pausa in un piccolo pianoro proprio sotto il seraccone che sostiene il cupolone sommitale. Che posto. Riprendiamo subito a salire su pendenze che si accentuano man mano che saliamo verso il bordo di sutura fra bianco e blu e che ormai vediamo distintamente sopra di noi. Il punto d’uscita resta un poco a sx, fra il cupolone e le rocce di dx. Due svizzeri con gli sci in spalla ci superano e ne segue immediatamente le tracce nei buchi che lasciano al loro passaggio. Finora abbiamo trovato Condizioni eccellenti con la via ancora molto carica di neve e che quindi si risale veramente senza difficoltà. Tengo il passo degli elvetici sfruttando le loro impronte e quando mi giro per vedere Nadir, non posso resistere dal scattare una foto incredibile vista la pendenza e la visione della parete fino alla base. Non posso non pensare ad una scivolata che ci farebbe terminare sul ghiacciaio alla base ma per ora è tutto ok anche se le pendenze sono ormai prossime ai 60°. Salgo ancora un poco e quando ormai sono pronto ad affrontare il tratto finale( h 7.30), lo strato di neve si assottiglia ed emerge ghiaccio vivo a tratti. Lo vedo scolpito dalle punte dei ramponi svizzeri che son saliti come fulmini. Io invece mi fermo e perdo in decisione. Non voglio rischiare visto che siamo cos’ vicini all’uscita e chiedo a Nadir come sta. Mi risponde che non ha problemi ad andare avanti e allora gli chiedo se possiamo usare la corda, che tanto basta un tiro. Gentilmente acconsente e così mi ancoro alla neve con le due picche e lo guardo affrontare l’ultimo ripido. Parte deciso, mette una vite dopo 30 metri, mi recupera e poi riparte uscendo dal labbro finale della Via dei Viennesi (h8.15) rotto precedentemente dal passaggio dei due svizzeri che chissà dove sono già adesso. L’uscita, perlomeno all’estrema destra dove siam passati noi, presenta 10 cm di neve destinati a sparire che ricoprono ghiaccio vivo per una decina di metri e per singoli piccoli tratti. Dopo averlo raggiunto lo trovo in preda ad una crisi di freddo soprattutto alle mani. Tira un vento fortissimo e riposto il materiale, velocemente ripartiamo sul dolce crinale che ci porta verso il cocuzzolo nevoso e accogliente della Cima del Fletschorn(q. 3986,h9.15). Vento ancora micidiale e la gioia di essere quassù è gustata interiormente ma il corpo spinge a spostarsi da questa bufera che a 4000 metri, ci fa soffrire per il gelo che strappa a morsi il calore dai nostri corpi. Ci abbracciamo sorridenti. Ci guardiamo attorno quasi increduli, un mare di nubi copre l’est, direzione verso la quale dovremo scendere seguendo la cresta chiamata Bleitloibgrat. Ma bisogna pur fare qualche foto al resto dell’arco alpino che invece svetta dagli altri lati. Emergono a sud il vicino Lagginhorn unito dalla cresta alla nostra cima e che anticipa la Weissmies che con le cime sopracitate compone il Trittico del Sempione. Dietro ancora il Piz d’Andolla. A destra del Lagginhorn le infinite punte del Monte Rosa, i Breithorn e l’Alphubel. A ovest la fantastica catena dei Dom e il Weisshorn. Dietro di loro, lontani ma ben visibili, la Dent blanche e il Monte Bianco. A nord fra miriadi di cime, spiccano il Balmhorn, l’incredibile stele appuntita del Bietschorn e più a destra Aletschorn, Jungfrau, Monch, Eiger, fino all’altra grande piramide del Finsteraarhorn. Una foto alla parete che da qua sembra anche meno ripida nella vista un poco laterale, foto a noi e poi via vs l’anticima o Cima Orientale. Alle 10.30 dopo ricerche per mancanza di tracce (non scendiamo subito dopo il colletto e l’anticima ma sbagliando seguiamo la cresta sommitale fino al suo termine), iniziamo la discesa della cresta Breitloibgrat lungo un pendio attorno ai 40°(h 10.30) faccia a monte, in neve fresca e abbondante, e in cui sprofondiamo a tutta gamba. Mezz’ora dopo dall’alto fotografo Nadir su un ampio falsopiano nevoso della cresta e sopra un mare di nubi. Scatto eccezionale in cui lui appare come fosse sulla punta di un aeroplano. Fisso anche il pendio disceso che ci ha portato proprio sotto dei cornicioni che ci salutano dal blu del cielo. Contraccambiamo ma ci leviamo di mezzo fino a raggiungere una zona riparata da eventuali distacchi. Il percorso si svolge comunque in un ambiente impressionante, selvaggio e solitario con nessuna indicazione e ci mette a dura prova oltre che per la scelta del dove passare, anche per le condizioni di neve abbondante che copre un terreno scabroso e spesso precipite da entrambi i lati. Praticamente non camminiamo mai ma disarrampichiamo sempre per aumentare il coefficiente di sicurezza su questo terreno imprevedibile e scabroso che ci impegna per 4 ore (niente tracce, neve paccosa e alta che crea zoccoli assurdi e in cui sfondiamo in continuazione, gendarmi difficili da superare arrampicando coi ramponi, scivoli nevosi per continui aggiramenti della cresta che spesso nascondono tratti ghiacciati o lastre di granito su cui i ramponi scivolano via). Usiamo a tratti la corda per improbabili sicure e insomma nelle condizioni in cui l’abbiamo trovata è stata decisamente più impegnativa la discesa che la salita!! In vari momenti dissuado anche ai limiti della lite Nadir dal voler scendere alla cieca i pendii alla nostra sinistra, troppo carichi e ripidi e secondo me quindi trappole rischiose. Solo una volta ci ritenta ma una provvidenziale scivolata che riesce ad arrestare lo riporta sulla via maestra. E’ allora che mi parla del figlio e della voglia che ha di riabbracciarlo se ne usciamo vivi. Gli dico di star tranquillo che ce la facciamo…basta stare calmi e avere pazienza, senza cercare pericolose scorciatoie. In buone condizioni non credo sia così impegnativa questa cresta ma oggi ne usciamo alle 14.30 veramente provati. Nell’ultimo tratto Nadir ha preferito tagliare dritto sul ghiacciaio su pendenze attorno ai 60° su neve sfondosa: l’ho seguito divertendomi a sprofondare e senza timore di ruzzolare a valle visto che ci saremmo fermati di sotto rotolanti come palle di neve da cartone animato. Mi ha un poco distanziato e mi piace osservare dall’alto il suo incedere lento, formichina nera in un immenso deserto bianco che dovremo traversare diagonalmente. La ciliegia sulla torta è stato il percorso ad arco sul ghiacciaio sotto un sole cocente, himalayano e dentro in neve marcia fino al ginocchio. Gradite quindi le soste sotto la grande parete salita questa mattina e che ora lucente sfoggia tutta la sua luccicante bellezza capace di rapire il cuore agli amanti della bellezza alpina. Che soddisfazione guardarla e sapere di averla salita. Fotografo anche la da qui poco inclinata ed apparentemente innocua cresta da cui siamo scesi…ma che sappiamo noi quanta tensione e fatica ci è costata. Possiamo abbracciare con lo sguardo l’incredibile giro ad anello che abbiamo compiuto. Da esaurimento nervoso o nevoso il pianeggiante tratto finale per raggiungere il bivacco in cui, in neve acquosa, sfondavamo fino all’inguine. Che fatica e che disperazione vedere il bivacco e non raggiungerlo mai come fosse il miraggio dell’oasi nel deserto. Poi quando lo fotografo come per avvicinarlo stagliarsi davanti al grande profilo dell’Aletschorn, manca veramente poco e le energie sembrano tornare per sollevare gli ultimi passi dalla neve pesante e avanzare fino a raggiungerlo spossati alle 16. Ci abbracciamo sfiniti, mangiamo qualcosa ricordandoci di non averlo più fatto dalla colazione del mattino e poi mezz’ora dopo recuperato quanto lasciato al bivacco e dato un ultimo abbraccio alla montagna, la salutiamo congiungendo con linee colorate i nostri percorsi su e giù per la sua parete, la sua cresta e il suo ghiacciaio. Mossi pochi passi oltre il colletto sul quale è posto il bivacco, la montagna sparisce alla nostra vista e penetra nel mondo dei ricordi. Ci rimarrà parecchio! Poi giù a rotta di collo in neve fino all’auto parcheggiata a Rossboden. Che avventura, che bellezza. Grazie Nadir per aver condiviso queste giornate meravigliose e la prima volta insieme in montagna. Se il buon giorno si vede dall’inizio….. Foto1 cupolone on fiamme Foto2 Nadir e 700 mt di parete Foto 3 Fletshorn parete nord

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