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   Pizzo di Petto, 22/02/2009
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  Malga Polzone  (1500 m)
Quota attacco  2000 m
Quota arrivo  2270 m
Dislivello della via  270 m
Difficoltà  F+ ( pendenza 30° )
Esposizione in salita Sud
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  ciaspe e ramponi e piccozza
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  2 - Moderato
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Nel 2009 durante il solito corso sci per i ragazzi a Colere, sposto la mia attenzione alla Val Conchetta, laterale al Monte Ferrante o dove termina la cresta che dalla montagna succitata scende al Vigna Vaga (2330), alla bifida cima del Pizzo di Petto(2270) e infine alla Croce di Pizzo Petto(2130) posta su un’elevazione della lunga dorsale della cima stessa ma a una quota inferiore. Faccio un primo tentativo l’1 di febbraio, partendo alle 11 in una giornata di nuvole basse e neve, ma tantè sempre meglio che starsene a far niente al caldo del bar. Entrato nel bosco seguo una traccia in un vago chiarore crepuscolare che rende comunque il paesaggio affascinante: neve alta soffice, alberi stracolmi, sembra di stare in klondike durante una bufera. Quando un’ora dopo esco dal bosco, perdo ogni punto di riferimento. Senza gli alberi perdo completamente il senso della profondità e non si vede più niente: è tutto bianco sopra e sotto e la mole del ferrante qualcosa che impegna l’orizzonte di vagamente più scuro. Le foto che scatto sembrano tutte sovraesposte e ad un certo punto mi fa piacere mettere a fuoco la vista su un cartello che emerge dalla neve e che indica per la Croce di Pizzo Petto. Alle 13.30 sono su delle cornici che danno sul vuoto,con visibilità praticamente nulla e in mezzo a meringhe che mi sembrano aspettare solo che qualcuno le calpesti per crollare. No buono…e me ne torno sulle tracce dell’andata senza sapere mai dove esattamente sono arrivato. Ritornando, la visibilità nel bosco migliora e senza problemi rientro per le 15. Tre settimane dopo il 22/02 riparto alle 11.30 e dalla stazione intermedia della seggiovia, a Polzone (1570 m.) procedo sull’estremità destra risalendo un tratto di pista e sfrutto il passaggio alternativo oltre la rete di protezione: percorso che permette di non rientrare più in pista. E mi sembra di essere da un’altra parte: dopo un’ora circa di cammino vedo già la mia meta. E’ finalmente una bella giornata e anche se dovrò scendere nella Val Conchetta, pestare tanta neve con le mie ciaspe e poi risalire dall’altra parte, il poter vedere sapere dove sto andando, mi sembra un dono impagabile …come un cieco a cui è stata ridonata la vista. Ad un certo punto sotto di me vedo la neve aver formato una cresta tipo punk sul profilo di una collinetta e non resisto alla tentazione di passarci sopra. In bilico attraverso il fine crinale finchè mi devo fermare prima di precipitare al suo termine. Ritorno dalla mia escursione fuori programma e riprendo a salire vs la mia meta. Ora vedo la corona orobica occupare il mio orizzonte e incontro una baita completamente sommersa (forse Malga Conchetta 1790 m.) sotto almeno due metri di neve e di avvallamento in avvallamento mi avvicino fino ad arrivare poco prima delle 14 sotto la salita conclusiva che noto subito presentare una bella frattura da distacco nevoso che occupa tutto il fronte di salita e che cerco di evitare stando il più a dx possibile. Venti minuti dopo sono sotto la cima dell’elevazione di dx (la più alta ) e salendo quasi in cima mi trovo ad affrontare una stranissima condizione in cui lo strato di neve alto oltre il metro si è completamente fissurato e frastagliato in enormi blocchi che si sono accatastati l’uno sull’altro come se fosse passata una nave a dividerli e separarli. Molto probabilmente il pendio è collassato ma anziché formare la valanga e scendere tutto insieme, si è semplicemente fratturato e diviso e io salgo fra gli spazi di prato liberati zigzagando finchè riesco e scavalcando poi i blocchi che m’impediscono la progressione verso la cresta finale che raggiungo alle 14.45 con vista diretta su Coca e Redorta, Diavoli, Arera, Ferrante che appare completamente meringato come fosse uscito da un coiffeur, la Presolana e soprattutto le creste laterali alla mia cima che colme e cariche di neve assunono aspetti veramente severi e minacciosi. E poi dall’altra parte oltre il noto e sempre bello Pizzo Camino si stende l’Adamelo e tutto l’arco alpino dietro. Zoomo sulle 6 cime di cui mi piacerebbe un giorno fare l’intera traversata e che singolarmente ormai non hanno quasi più segreti...e poi torno a valle da dove sono venuto.
Foto 1 ecco la meta Foto 2 in vetta Foto 3 SuperFerrante
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