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   Avventure(e disavventure) invernali attorno alla ferrata Fiamme Gialle, 28/02/2007
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Veneto
Partenza  Bastiani  (1000 m)
Quota attacco  1500 m
Quota arrivo  2500 m
Dislivello della via  500 m
Difficoltà  D- ( pendenza 45° / III in roccia )
Esposizione in salita Nord-Ovest
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  imbrago cordino e ramponi con picca
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  2 - Moderato
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Come spesso accadeva in quegli anni, anche nel 2006, mi trovo in Dolomiti nell’idilliaco paese di Caprile ai piedi della Civetta a trascorrere le vacanza natalizie con figli, moglie e i nonni a fare da supporto. Il 5 gennaio mi prendo un giorno libero e parto con l’intenzione vista la tantissima neve che c’è in giro di andare a percorrere la ferrata Fiamme Gialle che sale al crinale del Pelsa nel favoloso gruppo del Civetta. Spero che la verticalità mi permetta di salire ad onta della neve caduta e la possibilità di assicurarmi dovrebbe garantire sicurezza. Scendo in auto fino a Cencenighe e poi risalgo a Bastiani da dove parto alle 8.30. Raggiungo il bosco di Pian Grant alle 9 e mezz’ora dopo al bivio col sentiero 570, la neve è così alta che non riesco più a seguire il sentiero e navigo nella neve alla deriva cercando di intuire se la direzione è quella giusta o meno. Dopo aver girato a vuoto per quasi due ore e aver setacciato diverse possibili soluzioni, finalmente riesco a trovare qualche fune che ogni tanto emerge dalla neve, e mi rassicurano sulla direzione. Alle 13 sono all’attacco di un bellissimo canyon- canale il cui centro è percorso da uno scivolo nevoso che promette un’entusiasmante salita. Ci sarà pane per la mia piccozza anche se la profondità della neve ne vanifica l’uso per la progressione. Quando esco dal canalone un tratto di presumibile ghiaione mi mette a dura prova perché sprofondo nella neve per quasi un metro e avanzo letteralmente nuotando verso la parete verticale che chiude la montagna e dove dovrei salire visto che la verticalità non ha permesso alla neve di accumularsi. Ma la parete è smaltata di ghiaccio, coperta nel suo simulacro gelido e pendono stalattiti ovunque. Sono le 14.15, l’altimetro segna 1760 mt, e dopo aver girato per tre quarti d’ora cercando di trovare segni della ferrata o per intuire qualche punto debole della parete, mi arrendo alla fatica e allo scoramento. Ogni sforzo è vano e reso disperato dalla neve accumulata alla base dalle frequenti slavine di polvere e ormai è troppo tardi per proseguire nel mio surreale tentativo. Scendo e di saltone in saltone e buttandomi a pesce nel mare di neve nuoto fino a valle dove arrivo alle 17.
Circa un anno dopo il 28/02/07 mi ripresento da quelle parti. Quando ho i miei piccoli progetti alpinistici, mi piace portarli a termine e come li avevo pensati, per cui ci ritorno ancora d’ inverno. Caprile, Cencenighe-Agordino, indi si sale alla frazione Bastiani-971mt. dove parte il sentiero n.562 (con indicazioni via ferrata). In un freddo intenso comincio a camminare poco dopo le 6. 10 minuti prima delle 7 e 10 min dopo, passo dai bei boschi del Pian Grant e di Ial de le Pile a q.ta 1400,guadagnando rapidamente quota. Un cielo livido regala comunque qualche pennellata di luce sulle Pale di San Lucano e raggiungo il bivio fra la ferrata e il canalone dei Sech. L’ambiente è selvaggio da viaz dei camorz e la neve ancora poca. Campeggia la Marmolada con la sua catena che si spinge attraverso le Cime d’Ombretta, fino a Cima dell’Uomo. Alle 8 raggiungo l’attacco della ferrata a 1450 mt di quota: è impressionante il confronto e la velocità con cui i muovo oggi rispetto ad un anno fa in cui nuotavo letteralmente nella neve. Dopo aver superato il canalone in cui ho cominciato a trovare neve, arrivo alle 10 alla base della parete che mi aveva bloccato l’anno passato. E’ severa e ripida ma non incute il timore reverenziale della volta precedente quando appariva completamente smaltata di ghiaccio e io vi arrivai sepolto da metri di neve. Pochi metri dopo in un tratto in cui la parete si abbatte, ma comunque troppo esposto sul salto sottostante, vedo il cavo a cui sono assicurato sparire sotto un nevaio. Mi chiedo cosa fare perché superare quel tratto non assicurato, è impensabile. Non mi rimane che armarmi di pazienza e provare a disseppellire il cavo ma anche stando attento a che la massa di neve soprastante non mi precipiti addosso. Assicurato al cavo comincio allora il mio lavoro di disgaggio e brandendo infuriato la picca colpisco continuamente la massa nevosa riuscendo piano piano ad ottenere cedimenti incoraggianti e controllati…perché se tutto il seracco dovesse collassare contemporaneamente rischierei davvero di finire schiacciato. Non avendo alternative, lavoro di buona lena e con piccoli ma continui progressi. Dopo un lungo e faticoso quarto d’ora, vinco infine la mia battaglia e posso contemplare quasi interamente il cavo semi libero davanti a me. Riesco comunque a scavalcare il pezzo sepolto e passare sulla neve compatta e poco inclinata. Mi fermo un poco a contemplare il severo aspetto invernale delle pale e del Monte San lucano che striati di neve e ghiaccio stanno massicci a rubare spazio al cielo grigio. Dietro, sbuca scura la testa dell’Agner. Verso le 11 e 30 mi avvio vs l’uscita della ferrata e la cima del Pelsa si eleva alla mia sx. Affronto il bel canalino finale innevato e senza bisogno di assicurarmi sbuco sulla linea di cresta della Palazza Alta a quota 2255 mt. E’ mezzogiorno e passo da un universo che si chiudeva pochi palmi oltre il mio naso ad una visuale libera e maestosa che spazia dalla Moiazza al Civetta, con in primo piano le torri Venezia e Trieste, e già questo mi ripaga dalla fatica della salita. Sono su un terrazzo nevoso con la vista sulle montagne più belle del mondo. Quale scegliere? Il Civetta? che qui presenta il suo fianco massiccio, ma che si apre sul grande labirinto roccioso dei cantoni di Pelsa e sul solco della misteriosa e primitiva Valle dei Cantoni e che va poi a spegnersi nel grandioso circo alto del ghiacciaio di Tomè, racchiuso nell’abbraccio delle canne d’organo che sorreggono la Piccola Civetta. E con le vette slanciate verso il cielo della Cima de Gasperi a sx e del Castello della Busazza a dx che come guardie armate ne sorvegliano minacciose l’accesso. O le Torri Venezia e Trieste che qui un poco nascoste dallo sfondo roccioso lanciano comunque la loro sfida celeste inerpicandosi su per il cielo in un miracolo di pietroso e dolomitico equilibrio gravitazionale? Oppure le creste delle Moiazze che fanno da sfondo a tanta bellezza e scendono verso sud? Oppure l’Agner che oppone dall’altro lato della valle il suo fisico massiccio ma slanciato con eleganza a bucare il cielo scuro e precipita come un fulmine vs valle lo spigolo chilometrico dei miei sogni? Sono contento nel mio giardino dell’Eden e mi risuonano le parole del grande Aste che diceva come le montagne sarebbero sassi se non fossimo noi alpinisti in grado di dar loro un’anima. Fotografo felice l’universo di pietra che mi riscalda nel suo abbraccio e commosso ne sento l’amore. Poi, mi muovo vs l’antistante cima della Palazza e da lì comincio a muovermi in direzione della cresta che innevata per le feste la congiunge alla cima del Monte Alto di Pelsa più alta elevazione di questo angolo paradisiaco. Dopo un poco di discesa, risale per qualche centinaio di metri dolcemente verso i 2420 metri della cima che raggiungo alle 13.40 e dove fra cumuli di neve mi siedo sullo zaino a contemplare la bellezza degli immensi prati che ora innevati assumono l’ aspetto di magnifici altopiani. I monti del Sole, di là del cordevole, osservano come loro solito in silenzio attenti solo a non esser disturbati nel loro secolare isolamento. Anche la Lastia più a sx rivendica attenzione con la sua prua triangolare lanciata vs Agordo. Da questo pulpito, le piatte innevate e bianche calotte sommitali delle Pale di San Lucano fanno da tappeto steso all’elevarsi solenne di Re Agner che come seduto sul bianco trono scaglia le sue creste ardite vs il cielo. Vs nord invece, solo neve che ora illuminata dal sole splende sotto un cielo diventato da quella parte improvvisamente azzurro e luminoso e tanto bianco che come un lenzuolo steso fra terra e cielo mi fa sognare di poter volare. Camminandoci sopra, ne violenterò il candore e l’innocenza ma chiederò scusa e al vento di cancellare la mia colpa. L’azzurro abbraccia il bianco e l’emozionante armonia di colori come una danza magica s’impossessa di me e mi trasporta lontano, in un viaggio senza partenza. Man mano che mi muovo in direzione nord sugli ampi prati di cresta, gialli e secchi dove il vento di quota ha spazzato la neve farinosa, il Civetta cambia forma e ora illuminato dal sole e su sfondo azzurro è di una bellezza sconvolgente. Le torri Venezia e Trieste si distinguono dallo sfondo e assumono sembianze individuali, quelle forme eleganti che le hanno rese celebri e protagoniste di tante copertine. Veglia su di loro come una matrigna ,solenne e innevata, la Cima delle Sasse attenta che le due sorelle non si montino la testa. In altri tratti il vento ha modellato la neve come sastrugi che brillano sotto il sole e l’azzurro che contiene il loro splendore. Onde di neve che sembrano muoversi spinte dal vento. Arrivo ad essere laterale alla Val Civetta che percorre tutto il basamento roccioso nordovest del Civetta e vedo la sua striscia bianca sostenere la parete più bella del mondo che da qua non vedo per via della prospettiva laterale. Volgendomi vedo la Torre Venezia che ora è distinta dalle rocce e assume la sua caratteristica forma di sfinge. Fantastica, scatto foto che non dimenticherò mai, come dichiarazioni d’amore in trepida attesa di risposta. Poi attraverso onde di neve dura come alabastro e scolpite dai venti furiosi che come scultori hanno disegnato le loro opere consegnate alle stelle. Alle 15.30 arrivo alla Sella di Pelsa dove i cartelli indicano il segnavia 567 per Cencenighe. Felice m’incammino vs la Forcella Col di Mandro anche se non c’è traccia. La raggiungo alle 16 ma ora non che vedo una direzione logica o una cresta da seguire l’assenza di segni è un bel problema; so solo che devo scendere, ma per dove in questo paesaggio sconfinato di neve abete e pini mughi che si rincorrono su e giù per valli e vallette? Vago sempre più stanco e disperato nella neve che qui si è accumulata e rende complicatissimo il mio incedere nelle terre alte mentre il sole si abbassa e la luce è assorbita dalla terra. Prendo dopo circa 1 ora di inutile girovagare su e giù, ormai disperso, l’unica decisione possibile: ritornare alla forcella. Arrancando ne riguadagno la sella lottando con le ultime energie nella neve che sommerge impietosa le mie intenzioni e alle 17.30 mi ritrovo dov’ero giunto 2 ore prime con ben altro stato d’animo. Però non posso non ringraziare il cielo perché il sole sta dipingendo di luce i pinnacoli del Civetta e io mi sento piccolo di fronte a questo dono inaspettato. Fino alle 18 cammino ad occhio in direzione della Val Civetta distratto dai giochi di luce meravigliosa che dipingono il cielo e le rocce sopra di me. La roccia par prender fuoco e cangiante assume tutte le tonalità tra il giallo e l’arancione. Mamma mia che spettacolo, che dono. Alle 18 raggiungo il cartello che avevo visto dall’alto e che mi indica Rif. Vazzoler da una parte e Tissi dall’altra. Punto al Vazzoler, verso valle. No segni, no tracce, solo un universo bianco immacolato da percorrere nella speranza di avere una vaga che mi permetta di trovare il rifugio che ben conosco. Il civetta dietro brucia i suoi ultimi fuochi poi spegne la luce e un quarto d’ora dopo fotografo la luna piena che sorge nell’intaglio della Torre Venezia. Ma che giornata è oggi? Vado di meraviglia in meraviglia. Poi la poesia finisce, affonda nel buio degli inciampi fra la neve alta, nel freddo che mi scuote di brividi, nella speranza che si fa sempre più lieve una volta che il bosco scuro ha avvolto i miei riferimenti geografici, di trovare il calore del rifugio. Vago fra dune immense di neve e mi ribalto spesso fra rami e buchi. Non scatto più foto, ho freddo perché il sudore della giornata si è congelato in me e non mi muovo sufficentemente rapido per sviluppare calore. Ho seriamente paura di passare la notte all’aperto e di non poter più comunicare coi miei che mi attendono. Decido comunque di continuare a scendere e che mal che vada camminerò fino a notte fonda per tornare a valle. Devo stare a sinistra. Sono sulle montagne russe, continuo a cadere o a dover affrontare montagne di neve farinosa che mi bagnano completamente infiltrandosi dappertutto. La notte è fonda ormai per cui il bagliore improvviso di una luce che tremula perfora la selva d’abeti ridesta i miei sensi intorpiditi: cerco una ragionevole speranza tentando di decifrarne la distanza. Mi muovo con ritrovata energia. E’ vicina. Dopo una decina di minuti di speranza e paura la sagoma più scura della notte del Rif. Vazzoler mi compare davanti. Entro nel locale invernale con la furia di chi stia sfuggendo da una tempesta di neve. Ma ne devo avere l’aspetto perché un ragazzo lì presente prima si spaventa per l’irruzione improvvisa e violenta e poi capita la situazione si prodiga in mille modi per aiutarmi. Sono solo le 19 ma sono in mezzo alla neve da stamattina alle 6. Gli chiedo un telefono e avverto casa, poi su sua insistenza comunico che scenderò domattina: nella foga di avvertire e tornare,non ci avevo pensato ed è una decisione meravigliosa che immediatamente calma i miei nervi scossi dalla battaglia nella neve e allontana la stanchezza accumulata. Paolo si prende cura di me e si rimette a cucinare wurstel che così buoni non ne mangerò mai più e tanto tè caldo che bevo come se non ci fosse un domani. Dopo mezz’ora di trattamento De Luxe, sto bene e gli racconto della mia avventura odierna. Ci corichiamo sotto le coperte spesse, gelate ed infeltrite raccontandoci del nostro amore per la montagna selvaggia e ricordo il nostro volume abbassarsi fino a diventare un sussurro. Gelido e silenzioso come il parlar fra stelle. Al mattino fantastica colazione : aveva di tutto Paolo Femia nel suo zaino enorme e alle 8.30 gli scatto una foto mentre dalla porta del rifugio, saluta il mio ritorno a valle. Grazie Paolo, grazie veramente.
L’estate successiva, il 19 luglio 2008 ritorno ancora per concludere l’anello che la neve troppo alta mi aveva impedito di chiudere e curioso anche di capire dove passava il sentiero che tanto sotto la neve avevo cercato. Parto da Bastiani alle 6.15 in una giornata bellissima mite e serena e mi entusiasma il tratto di percorso roccioso che simile ad un sentiero da mohicani porta verso le rocce dove attacca la ferrata a piombo sul paese di Cencenighe. Alle 7.30 sono all’inizio della ferrata e in poco più di un ‘ora la percorro tutta. Fotografo il raro e bello raponzolo di montagna e uno stupendo e solitario larice cresciuto completamente sul vuoto,evidentemente privo di vertigini che vengono a me guardandolo. La ferrata è bella,verticale su ottima roccia e mi gusto l’arrampicata veloce in libera fino ad uscire dal canalino finale e arrivare al poggio finale che oggi ammiro nel verde e non più nel bianco. I prati dei pascoli sopra il Vazzoler verdeggiano luminosi interrotti solo da poche macchie verde scuro di probabili colonizzazioni di pini mughi. Scatto una foto policromatica al calcare bianchissimo che su sfondo azzurro cielo terso sostiene rossi rododendri, gialli fiori, ciuffi di verde chiara erba e verde scuri rami di mugo. Purtroppo oggi la vista vs il Civetta è coperta dalle nubi di umidità che hanno già cominciato la loro risalita preparatoria al probabile temporale pomeridiano. le torri celeberrime fanno capolino e rapide spariscono inghiottite dalle nebbie. vedo il Giazzer, il mitico e quasi invisibile ghiacciaio della Val dei Cantoni che oggi emerge come l’unica macchia bianca del panorama e poi l’obiettivo cattura il più bel mazzo di stelle alpine che abbia mai visto. Risalgo le sue verdi pendici e alle 11.15 sono in cima al Monte Alto di Pelsa dove noto l’ometto col crocifisso incorporato che l’anno scorso era completamente coperto dalla neve. nell’autoscatto di vetta, ho le gambe segnate da vistosissime piaghe rosse( i ricordi delle ustioni da contatto con la ruta del Medale…). Fotografo la massiccia prua della cima De Gasperi che esce come un siluro dalle nubi e dall’altra parte la Torre Venezia che con uno scossone energico si è liberata dall’abbraccio delle nubi, non sopportando di star coperta,così bella, alla vista. Un altro bel mazzo di stelle alpine si crogiola al sole e mi accompagna il suo ricordo mentre a balzi scende felice vs la Val Civetta indicata da un improbabile cartello piazzato solitario in un prato non calpestato da alcuno. Alle 12.15 sono alla Sella di Pelsa come l’annoscorso e salgo a F.lla Col di Mandro: senza neve ci impiego solo un quarto d’ora ma soprattutto una volta arrivato è evidente il sentiero che corre alto rispetto alla direzione da me seguita l’anno scorso nella neve. Alle 13 sono già al bel bivacco che in realtà è una piccola ma stupenda baita a quota 1850 mt. con bella vista sulla val cordevole che sarà il mio punto d’atterraggio. Scendo sotto i salti rocciosi del Monte Alto e poi come da programma,quando incrocio il bivio relativo alle 14.30 per i salti dirupati del canalone detto de “I Sech” , che in realtà è il corso asciutto di quello che era probabilmente un tempo un torrente. Costringe a tratti ad arrampicare in discesa su passaggi di II grado senza alcuna protezione. Poco dopo le 16 comunque, termino il mio anello ritornando all’auto posteggiata nel borgo di Bastiani.
Foto 1 il canyon durante il primo tentativo Foto 2 io durante il secondo tentativo
Foto 3 lavori di disgaggio nevoso


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