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   Tranello al Tornello, 27/12/2020
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  VilMaggiorte  (1050 m)
Quota attacco  2400 m
Quota arrivo  2520 m
Dislivello della via  120 m
Difficoltà  PD+ ( pendenza 50° / II in roccia )
Esposizione in salita Sud
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  picca ramponi e bastoncini
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  2 - Moderato
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Dopo qualche tentativo a vuoto per via del meteo di appuntamenti e lavoro forzato for Covid, riesco ad evadere dal grigiore e dall’umido padano e letto su Duemila bergamaschi che la salita vs il Pizzo Tornello è a sud, colà mi dirigo puntando a trovare migliori condizioni d’innevamento. Ho infatti rinunciato agli sci e salirò con le ciaspe che mi permettono un confronto più aspro e avvincente nella lotta con la neve che prevedo sarà titanica. Sveglia alle 5 del 22 dicembre 2020 ultimo giorno libero prima del lockdown natalizio e partenza per Vilmaggiore all’inizio della val di Scalve. Alle 8.10 imbocco il sentiero 432 che inizia proprio dalla strada oltre la chiesa del borgo. 10 min dopo sono già nella neve in mezzo al bosco e il bivio mi spinge vs il 412 a dx. Mezz’ora dopo un altro bivio sempre a dx in un bel bosco d’abeti dove cominciano i problemi perché la neve parzialmente sgelata ha coperto in modo omogeneo il fondo e non si distingue la traccia del sentiero. Salgo lento con passo compassato attento a non perder segni che mi aiutino nell’orientamento. Circa un’ora dopo mi affaccio fuori dal bosco e la neve è salita decisamente di spessore tanto che decido di mettere le ciaspe. Ah quanti ricordi di beati momenti e di beata fatica…avevo bisogno di ritrovarmi fra le braccia di sorella neve, immerso nel suo amore possessivo che ti succhia le energie fino all’ultima. E’ bello galleggiare con gli sci, ma oggi volevo l’immersione nella Natura, la libertà che mi procura muovermi sopra sotto e in mezzo alla neve che a volte ti circonda ovunque quando cadi o sprofondi in qualche buco. Era tempo che non la provavo: colpa degli sci ma anche degli ultimi inverni poco nevosi. Procedo come un naufrago disperso nell’oceano bianco e alle 9.30 un canalone svalangato interrompe la mia deriva. Lo osservo perplesso per il grande numero di blocchi di neve che arrotondati dal tempo sembrano una grandinata gigantesca. Mi levo le ciaspe e comincio la risalita resa insidiosa in alcuni punti perché l’erba gelata che calpesto mi promette solenni scivolate verso il dirupo se non sto più che attento. Lo risalgo per circa 50 metri e torno ad intersecare una traccia di sentiero su cui svelto mi riporto. Alle 10 intravedo una casupola in pietra sommersa letteralmente dalla neve: ce n’è così tanta che non ho neanche voglia di percorrere la decina di metri che mi divide da essa e punto il finire di quest’altro tratto di bosco che mi promette visioni di campi aperti. E’ così ma la lieve depressione che stavo seguendo termina su pendii che devo traversare e che sono completamente immacolati. Ormai devo viaggiare ad occhio e rimettere le ciaspe perché sprofondo completamente nel bianco. Salendo e tendendo vs sx, alle 10.40 mi trovo ad attraversare il torrente Tino e risalire poi il vallone dall’altra parte che nella parte superiore è stato ripulito da un altro svalangamento che fra poco raggiungerò e a cui sto puntando. Alle 11.20, mi levo un’altra volta le ciaspe per poter attraversare la marea di blocchi accatastati l’uno sull’altro e dopo 20 minuti di dansa ndemuniada esco dal canalone su pendii ripidi e vergini. Altra fermata per rimetter le ciaspe e via stanco come non mai. In effetti sto benissimo di testa, entusiasta, ma sento che le gambe sono un poco cotte. Sull’altro versante della valle ( a dx) vedo quello che probabilmente potrebbe essere un ometto gigante, ma raggiungerlo ora non ha più senso. Quando arriverò in cresta capirò meglio la situazione e magari la correggerò. Nel frattempo mossi altri passi vs l’alto su pendenza notevole mi piomba addosso una fatica incredibile e mi trovo a boccheggiare dopo pochi passi. non c’ è niente da fare, sono proprio cotto e mi chiedo dove voglio andare con questo passo himalayano. Sono le 12.15 e un grosso masso rompe il biancore del pendio che sale vs la linea di cresta che promette d’esser l’ultima. Lo raggiungerò penso,e poi morirò la. Mi siedo esausto, mangio o bevo del latte condensato e mi siedo su zainetto e ciaspe creando una sorta di sedia nella neve. Poi poggio la testa al sasso e smetto di pensare. Percepisco il timido calore del sole e il freddo che sale dal basso. Mi piace il contrasto e lo assaporo in silenzio. Riapro gli occhi una ventina di minuti dopo, scatto qualche foto,rimetto le ciaspe e decido di arrivare almeno al Lago di Varro. Il pendio è molto ripido ed è veramente faticoso con così tanta neve che aumenta il peso delle ciaspe da sollevare per guadagnare pochi cm e a volte riperderli quando la pendenza è superiore alla loro tenuta..ma salgo …lento… ma meglio di prima. Alle 13 vedo la forma nuova della Cima di Cornalta e mezz’ora dopo raggiungo entusiasta il lago…anche se capisco quasi subito consultando la carta che questo è il Lago di Cornalta e non quello di Varro. Ma non c’è spazio per la delusione perché un infinito bianco si apre davanti a me e le cime alte che pensavo di salire sono ora davanti ai miei occhi. Il lago è dipinto sulla neve e le sue rive sono indefinite: vorrei attraversarlo ma ho paura per le temperature che sono elevate e se dovesse collassare, lì ci rimango per davvero. Ora sto meglio e decido di percorrerne i bordi e puntare vs il Lago di Varro che non vedo ancora ma che è un poco più su e quando ci arriverò deciderò se tentare anche la salita al Tornello che domina il mio orizzonte oltre i bianchi colli che come fantasmi ne sorreggono le rocce sommitali. Cammino su neve soffice come nube e sovente mi giro a scattar foto al lago che ora illuminato dal sole sembra una sposa il giorno delle nozze. C’è felicità in questo amplesso fra il sole e la bianca e accogliente piana che seducente l’accoglie. Ma volgo lo sguardo e continuo a pestar neve e come un frangi ghiaccio russo al polo avanzo imperterrito lasciando la mia scia come firma nel candore, cicatrice che mutila la perfezione dell’ordine costituito. cammino e mi giro, cammino e mi giro attirato dalla striscia che dietro di me si fa sempre più lunga e racconta come fiaba la mia storia sul foglio bianco. Alle 14 gli occhi velati dalla poesia e dalla fatica(complice anche una luce resa piatta dalle velature che hanno offuscato il sole), fotografo il Lago di Varro che distinguo a malapena in tutto quel bianco confuso. Son tornato grintoso e affronto deciso il pendio che sale vs la spalla del Tornello e che mi porterà sotto a quello che sembra il tratto più impegnativo dell’ascesa per consegnarmi alla parte conclusiva della scalata. Come in Himalaja decido che se arrivo in cima entro le 16, rischierò altrimenti tornerò prima. Chi ci pensava più alla cima? Risalgo con energie nuove e fino a poco fa insospettabili e alle 14.45 sono sotto l’inizio del pendio che sale vs il cielo sempre più inclinato e che nasconde ora la cima. Sembra un poco il collo di bottiglia al k2. Levo ancora le ciaspe e le lascio con quello che non mi serve più per salire leggero. La neve è discretamente assestata e salgo sicuro fino ad una decina di metri dalle roccette che devo raggiungere perché ho escluso di salire il tratto troppo ripido e a rischio valanga che sale alla loro sinistra. Perdo sicurezza perché entro troppo nella neve e mi prende il timore che possa partire il pendio…mi fermerei dove la pendenza diminuisce o sarei schiacciato dalla massa che precipita? Muovo passi decisi con i sensi attenti alla voce della neve..pochi passi ancora e il peggio è passato…un paio di passi ancora e afferro con il guantone la roccia che mi tende la mano. Mi ci isso sopra per riprendermi dal fiatone e dallo spavento. Guardo verso l’alto e decido di aggirare la prua rocciosa sopra di me e aggirarla tramite un canalino erboso e roccioso che a fatica risalgo non essendo stabili le rocce e gelate le erbe dove poggio i miei scarponi rigidi ma senza ramponi. Pochi metri di tensione,e riguadagno la neve superiore chiazzata d’erbe perché il vento l’ha spinta via. Ancora qualche passo di apprensione e poi il manto torna accogliente e porto sicuro. Riguadagno la posizione eretta, mi rilasso evitando il pensiero della discesa per dove sono appena salito, mi entusiasmo vedendo la cima così vicina e poi….guardando a valle ….ma come si fa a non mettersi a ridere? Vedo il lago di Varro orriiiiibilmente quadrato sotto di me e d’incanto tutto mi è chiaro. Osservo divertito la mia scia qualche centinaio di metri più in basso passare a fianco di una depressione nevosa che io ho confuso col lago e poi percorrere la costa che mi divideva dal vero lago e quindi è chiaro che io sono a 2500 mt di quota sulla montagna sbagliata( quote 2585) e che il vero Tornello è quello che sta laggiù separato dal Tornone dal passo a quota 2512. Dalle prospettive precedenti appariva decisamente minore rispetto alla cima su cui sono salito e ciò mi ha tratto in inganno dalla possibilità di riconoscerlo. Un bel tranello. Faccio qualche passo in traverso vs le bifide cime che ho davanti ma decido immediatamente di tornare perché avanti sembra dura senza ramponi e avrò già il mio bel da fare a scendere, e poi verrà anche il buio. Sono le 15.15 e dopo aver scattato delle belle foto vs tutto l’arco orobico che si estende dalla Presolana fino al Coca che maestoso precede la corona di Scais, visibile fino allo Scotes, e alla zona del Pizzo Tornello finalmente ben visibile, muovo il primo passo vs il basso. Mi blocco immediatamente a metter via i bastoncini artigliati e li ripomgo nello zainettto prendendo la piccozza che mi servirà da sicura. Affronto con cautela l’ulitima parte di pendio che s’inclina vs il salto e dove gli scarponi poggiano pericolosamente sulla poca neve rimasta e poi dopo aver visto che neanche a dx si può scendere riaffronto il canalino erboso e le roccette. Scendo viso a monte e pianto con forza la picca nel terreno gelato e quando il colpo è ben assestato, faccio i passi di disarrampicata. Arrivo così alla fine delle roccette e con un poco di timore affondo nel profondo manto nevoso già deturpato salendo e pensando che ora dovrebbe essere più improbabile far partire la valanga.
Mi muovo leggero più che riesco e quando il pendio perde inclinazione sento i nervi stendersi e salire dalla pancia la soddisfazione del pericolo mancato. Percepisco i sensi ancora all’erta, il pericolo alle spalle…poi torno ad immergermi nella visione meravigliosa della catena alpina che mette abiti da sera per il tramonto che s’avvicina. La Presolana è la regina impareggiabile per bellezza perché cinta d’oro ma anche il resto delle Orobie alla sua dx fa di tutto per non sfigurare. Poco prima delle 16 recupero le ciaspe e l’altro poco di materiale lasciato e mi volgo ad osservare e salutare il collo di bottiglia che immobile ha osservato dall’alto la mia discesa. Un freddo vento m’induce a non trattenermi ed è solo il bisogno di fotografare che mi costringe a brevi soste. Ho rimesso le ciaspe e un’emozione particolare mi prende quando vedo la mia traccia svoltare a dx e scendere allegra vs il lago e segnare nel sole la via da seguire vs le valli che sono già nell’ombra. Poco prima del lago entro nell’ombra a contemplare la luce radente del tramonto colorare l’arco di cime da cui sono appena sceso: che meraviglia, che gioia indescrivibile essere l’unico invitato per cui viene allestito un palco così solenne. Ripercorro il bordo del lago e poi precipito in Val di Tino rendendomi conto di quanto è ripido questo versante: con le ciaspe faccio una fatica bestia a scendere ma levarle sarebbe peggio. Giustifico in parte la crisi che qua mi colse al mattino. Poii raggi del sole lievi come solo loro sanno esserlo nelle ore finali della giornata carezzano le nevi del Pizzo camino e dei più lontani Cornone di Blumone e Frerone ,rendendole leggermente arancioni. L’arco alpino brucia nella sera che arriva e a cui vien steso questo tappeto d’oro. Pochi minuti e delicatamente tutto si spegne e le tonalità azzurre della sera avvolgono e quietano la festa e le luci accese delle cime. Il cielo diventa da applausi e nubi rosse e carminio si rincorrono dietro il Pizzo Camino. Sono le 17, il tempo passa ma non ci riesco a non fermarmi a far foto quando il cuore è affascinato da tanta bellezza. Un quarto d’ora dopo una magnifica luna passeggia per il cielo che vira verso il blu e l’incendio divampa oltre la Presolana che come una gigantesca mamma sembra accudire Vilminore tutto illuminato nella notte del fondovalle. Oh mamma che bello. Io nel frattempo cerco di rimanere concentrato e fare quanta più strada possibile prima di dover accendere la frontale. Levo le ciaspe, affronto il cono di valanga; mi telefona max preoccupato per l’orario e dolcemente m’investe d’insulti. Lo rassicuro e dopo averlo salutato vivo qualche brutto momento perché ho chiaramente perso le tracce nel dedalo di blocchi e non trovo più il punto d’uscita. Giro a vuoto qualche minuto cercando i solchi del mattino. Comincio a preoccuparmi ma poi noto il lieve disegno che le ciaspe hanno lasciato al mattino sulla neve allora ancora gelata. Accendo la frontale e come novello Pollicino mi faccio guidare dal filo magico. Riattraverso tratti dalla neve profonda ma non ho più voglia di rimetter le ciaspe. L’incredibile disgelo di questa giornata di Dicembre mi fa quasi bagnare nelle acque del Tino che gorgoglia molto più stasera, quando lo attraverso sprofondando nei cumuli di neve che stamattina facevano da ponte. Poi la baita, il bosco,il buio nero, qualche occasionale smarrimento, un sentierino nuovo percorso e alle 18.20 illumino il cartello che mi dice 30 minuti a Vilmaggiore. Bosco uguale, traccia lieve, attenzione a non sbagliare all’ultimo e alle 18.45 sono all’auto. Ritorno in auto con dolori allucinanti ai pollici del piede che stretti troppo negli scarponi riprendono la circolazione mentre io provo a rimanere indifferente e cerco di guidare vs casa. Evviva.
Foto 1 vs il collo di bottiglia Foto 2 la bifida cima di quota 2585 Foto 3 quota 2585, Tornello e Tornone
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