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   Gran Zebrù, 30/06/2006
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  rifugio Forni  (2150 m)
Quota attacco  3300 m
Quota arrivo  3850 m
Dislivello della via  550 m
Difficoltà  PD ( pendenza 45° / I in roccia )
Esposizione in salita Varia
Rifugio di appoggio  pizzini
Attrezzatura consigliata  corda ramponi e picca
Itinerari collegati  nessuno
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Ci sarebbe da piangere se non fosse che non ci riuscivamo per il troppo ridere!
Comincia così questa avventura del fortissimo trio(composto dai fratelli Villa più Robi Tosca) che avrebbe meritato gli onori delle cronache prima dei poi famosi 4 sass baloss. Robi e Walter risalgono dal cremasco e con un po’ di vergogna dopo aver salutato Vincenzo che stà lavorando a casa nostra e con loro che mi fanno il culo ricordandomelo ogni 5 minuti( dovrei vergognarmi, loro sarebbero stati a casa al mio posto, non hai proprio coscienza…) imbocchiamo l’autostrada felici per la nostra evasione estiva. Al bivio stiamo ridendo come al solito e io dico Bologna o Milano? La risposta è sommersa dalle risate di scherno e così ci troviamo infilati vs il mare con loro incazzati con me e io con loro perché ridono e basta. Decido di non voler più guidare con loro che sfottono in continuazione e quindi cedo a loro la guida e io mi metto dietro tranquillo. Recuperato il senno della ragione, deviamo vs Cremona per poi tornare vs brescia.Prima di poter esultare per la prima cosa giusta della giornata, la macchina(una golf mia recuperata a 1000 euro) comincia a mandare preoccupanti segnali d’allarme con la spia dell’acqua che lampeggia. Un improvviso botto, e fumo da tutte le parti. Loro aprono le portiere e fuggono lontani mentre io sono chiuso dentro impossibilitato ad alzare il sedile che mi blocca. Continuando a ridere accorrono in mio aiuto e ci troviamo ad assistere a distanza di sicurezza alla nostra auto intenta a mandare segnali di fumo. Vedo a distanza una cascina e non potendo contare sui due ridolini, scavalco la rete dell’autostrada e mi metto a correre attraverso i prati nella speranza di poter recuperare una tanica d’acqua. Quando mi ripresento trionfante con in mano la soluzione ai nostri problemi, li irrido e con modi pomposi verso il prezioso liquido nel radiatore: la macchina si riempie d’acqua e i due amici si rotolano in terra dalle risate..ora mi tocca pure di riportare l’inutile tanica dal contadino. Ritorno e proviamo comunque ad accendere la macchina che perfino parte per qualche km fino a spegnersi definitivamente insieme alle nostre speranze. Chiamiamo il carro attrezzi e mentre viaggiamo vs Castelvetro Piacentino io in auto, loro dal acmion li vedo che mi indicano e continuano a ridere.
Arriviamo dal meccanico che sta chiudendo per la pausa e che non ne vuole sapere di buttare un occhio nel nostro cofano. E qui parte la scena madre con io che quasi piango parlandogli della mia casa famiglia, degli impegni continui, che ci siamo appena sposati ed è la prima gita,dell’impossibilità di andare in montagna…non possiamo perdere questa unica occasione.
S’impietosisce e mi dice che nel pomeriggio la guarda. Io esulto e mi arrabbio con i due idioti che mentre io parlavo giocavano con una pallina rischiando di rovinare tutto. Il meccanico sistema provvisoriamente il tubo rotto con un manicotto d’emergenza e ci augura buona fortuna, non garantendo sulla sua tenuta.
Ripartiamo nel tardo pomeriggio e poco dopo chiama Mara la moglie di Robi che vuol sapere se siamo già al rifugio e quando lui le risponde dove siamo, ridendo, lei lo manda a cagare. Comunque, aDio piacendo, arriviamo a Santa Caterina Valfurva e imbocchiamo la strada che, dopo 6 chilometri conduce all’ampio parcheggio (2150 Mt.) posto nei pressi del rifugio Ghiacciaio dei Forni, dove arriviamo alle 20.15.
Da qui seguiamo la stradina che, dopo due ripidi tornanti, s'inoltra nella Valle di Cedèc e in un'ora incazzati per aver passato tutta la giornata in auto al caldo sbraniamo il sentiero verso il Rif. Pizzini (2700 mt.).
A cena faccio loro la predica per stare leggeri e per dare l’esempio, ordino minestra di verdure. Loro capiscono e ordinano spezzatino e patate. Termino la minestrina e imploro qualcosa di solido, ma loro ironizzano sulla mia scelta salutista e con ampi commenti sulla bontà delle loro pietanze si rifiutano di darmi alcunché…e ridono,ridono ridono. Aandiamo a dormire ridendo di tutto quello che ci è successo e pensando a dove finiremo domani che iniziano le difficoltà serie. Alle 5 usciamo nel buio e ci avviamo nelle nebbie che coprono la zona. Siamo ancora al buio quando i due bambini che ancora ridono per tutto quello che è successo ieri non vedono la svolta del sentiero a sx che molla la pista che corre vs il Cevedale e comincio a ribadire quanto dipendano da me nell’andare in montagna…manco un sentiero sanno seguire…ma è tutto inutile sono in due e l’unica è tacere. C è parecchia gente e sul ghiacciaio, che raggiungiamo alle 6, a circa 3000 mt di quota,decidiamo di unirci in cordata.



Calzati i ramponi saliamo stando attenti ad evitare i (pochi) crepacci, girando poi verso sinistra, tenendoci sotto la parete del Gran Zebrù,la cui vista impressiona. Ad un certo punto è evidente in alto uno stretto canalino (lungo poco meno di 200 metri) che risale verso la spalla della montagna: intanto albeggia e sbuffi di nuvole rosa accarezzano le cime che ci circondano. Siamo davanti al “Collo di Bottiglia”, che occorre risalire fino al suo termine fino ad una sella posta sotto alla spalla. Il canalino (max 45°) lo troviamo in buone condizioni e la risalita è veloce, illuminata anche dai raggi del nuovo sole che ci investono con tutta la forza della loro gioia, proprio mentre sbuchiamo sulla cresta. Dalla sella sopra il canalino (3550 Mt. circa, 3h.) che raggiungiamo alle 7, saliamo direttamente la ripida spalla verso la vetta (croce ben visibile un po’ sulla sinistra) con pendio abbastanza costante di 30-40°, e qui purtroppo presto il fianco ad essere ancora deriso perché non cedo volentieri il passo a degli sci alpinisti che salivano più veloci di noi e che finiamo per ostacolare con gli intrecci delle nostre corde. Da lì in cima mi tocca la litania del loro…è arrabbiato, il bambino è arrabbiato, ripetuta allo sfinimento. Poi l’ultimo tratto nei pressi delle roccette la pendenza aumenta (45-50° massimo) e con un po’ di fatica in più si risale fino alla cresta (attenzione alla cornice verso Nord),splendido ricordo della mitica meringa che comunque abbiamo la fortuna di vedere prima del collasso definitivo di qualche estete dopo. Il panorama è mozzafiato verso l’Ortles e sulla sottostante Vedretta di Solda e scattiamo belle foto con la meringa alle nostre spalle. Ora non ride più nessuno perché siamo immersi nella Bellezza. Pochi metri lungo la cresta e la vetta è raggiunta (3851 Mt., 3 h.) con la croce metallica che brilla al sole e noi con lei. La “mangiatrice d’uomini” ci ha risparmiato.
Foto 1 noi tre in cima Foto 2 walter e robi vs la meringa Foto 3 Noi al Pizzini col Gran Zebrù
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