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   Dente del Gigante, Via Normale, 04/07/2017
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Valle d'Aosta
Partenza  Courmayuer(loc.la palud)-rif.torino  (3375 m)
Quota attacco  3850 m
Quota arrivo  4013 m
Dislivello della via  700 m
Difficoltà  D- ( pendenza 40° / IV+ in roccia )
Esposizione in salita Sud-Ovest
Rifugio di appoggio  rif.Torino
Attrezzatura consigliata  corde(comode ma non indispensabili due da 60m),7-8 rinvii,qualche friends medio piccolo,più materiale da ghiacciaio.
Itinerari collegati  Dente del Gigante (4013m), Via Normale
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento A inizio giugno un poco inattesa mi giunge la chiamata di Nadir che mi chiede se in settimana andiamo a fare il Dente. Il meteo è fantastico ma gli rispondo che non riesco ad organizzarmi così al volo ma che il progetto m’interessa tantissimo da tempo e che se è d’ accordo ci organizziamo per bene e appena possibile c’andiamo. Nel frattempo il meteo diventa incerto, passa qualche giorno e anche Stefano a sorpresa s’interessa all’idea. Siamo così in 3 a partire verso il mezzogiorno del 21/6 alla volta di Courmayeur: per impegni di Nadir non c’è il tempo per provare a salire a piedi almeno un tratto e così ci sciroppiamo la funivia fino al Rif. Torino che certo al di là del costo è uno spettacolo per la vista che propone sulla Cresta di Peuterey. Un sogno che fa sognare chiunque mastichi un poco d’alpinismo: Auguille de Peuterey, Dames Anglaises, Auguille Blanche sfilano salendo con noi verso la cima del Monte Bianco. Poi sbarchiamo al Torino e lui è là che attende sornione come un giaguaro appostato sull’albero le prede passare sotto di lui. Vedremo domattina cosa succede, per ora mi basta sognarti così irraggiungibile e altezzoso svettare sopra le rupi a sfidare le dita di noi alpinisti che già prudono dalla voglia di accarezzare il tuo dorso di granito e cercare fra le tue rughe quegli appigli che sono la via per il cielo. Chiacchere, preparativi, risate. E poi cena abbondante come le parole che sprechiamo per decidere a che ora partire. Alla fine decidiamo per la colazione alle 2 ma torniamo in branda fino alle 3 e sono quasi le 4 quando abbandoniamo il tepore del rifugio per consegnarci al buio che freddo però non è: ci sono 5 gradi e placidamente appoggiamo i ramponi appena calzati sul ghiacciaio del gigante. Il dente si profila nero nel blu della notte e qualche lucciola ci indica la via. Prima in leggera discesa e poi pianeggiante e in leggero falsopiano permette al nostro motore di salire gradualmente di giri. Il monte bianco ammicca con i primi chiari oltre il grande ghiacciaio e varie cordate ci precedono e altre alle spalle disegnano luci tremolanti nella notte che lascia comunque intravedere i neri profili delle cime che ci circondano. Mi sento bene anche se quel mix d’ansia quota e colazione che gira per lo stomaco tiene i sensi all’erta. Poi il chiarore che precede l’alba segna l’ora delle foto e ci coglie all’inizio del canalino nevoso che conduce alla cresta d’accesso. Che momenti fantastici pestare neve verso l’alto in una striscia che si restringe per abbracciare il cielo ormai azzurro e che noi illuminiamo di fasci di luce. Siderale,immobile nella sua immensità il Bianco ci osserva silente. Ci sleghiamo e rapidi alle 5.30 togliamo i ramponi benedetti dal rosso gendarme custodito in tante fotografie scattate vs il bianco che incornicia lo sfondo. Questa foto la fece perfino Mummery. I primi passi fra le rocce sono accompagnati dal miracolo dell’alba che pennella tratti d’arancione prima solo sulla cupola nevosa e poi su tutto l’immenso Monte Bianco: è sempre uno spettacolo di gratitudine che da solo giustifica la fatica dell’essere li in quel momento e ne certifica il privilegio. “Io sono membro”. Non si riesce a scalare concentrati perché il sole sembra chiamare per essere ammirato mentre surfa onde di luce sulla neve della cupola e scende giù più veloce di quanto noi arranchiamo fra le pietre verso l’alto. Mi sono svegliato, ma la fatica comunque comincia a farsi sentire mentre serpeggiamo fra sfasciumi e massi che talvolta richiedono brevi passi d’arrampicata e che sollecitano comunque il cuore che impazzito ci ricorda che siamo comunque vicino ai 4000. Il dente si è alzato a riempire come ala spezzata di corvo il cielo sopra di noi e incute timore mentre ci andiamo sempre più sotto. Ora ci siamo alzati e la vista del Bianco che par sospeso sul ghiacciaio sotto di noi è commovente di bellezza. Che spettacolo incredibile: si vede tutto dall’Auguille Noire de Peuterey, all’Auguille Blanche passando peri Grand Pilier d’Angle, per le cime di Courmayeur e la principale e infine al Mont Maudit e al MB du Tacul per poi planare dolci alla depressione accogliente e concava del Col du Midì. Di sfasciume in sfasciume ci alziamo e alle 6.30 siamo sotto al dente in vista della mitica Salle a Manger. Sono luoghi che conosci dalle foto, che hanno fatto la storia dell’alpinismo ed esserci regala emozioni particolari su queste montagne che sono spettacoli della natura ma sono anche musei di storia. Sopra la muraglia del Dente più massiccia da questa prospettiva, sale con forza il cielo. Per raggiungerla dobbiamo però fare ancora un giro nevoso alla gengiva e un traversino ghiacciato che ci obbliga ad un nuovo ramponaggio. Ci rilassiamo e tra chiacchere e logistiche organizzative non siamo così agguerriti da correre davanti fra le cordate che sopraggiungono numerose e vocianti: è una babele di lingue, e noi siamo gli unici italiani fra tedeschi, olandesi, austriaci e francesi e quindi aspettiamo un poco al gelo sul colletto nevoso. Lasciamo fra i massi lo zaino col materiale da ghiaccio e ci mettiamo in coda per il biglietto di partenza. Alle 7.15 finalmente tocca a noi e ci assicuriamo al cordino sul terrazzino di partenza. Il Bianco ci osserva bonario dall’altro lato del vuoto anche se ad un certo punto il silenzio è rotto da una frana-valanga che scende dal Pilier d’Angle. Tre quarti d’ora dopo la via è libera e finalmente Nadir in scarpette attacca lo spigolo esponendo il suo culo al vuoto sottostante. Fa fatica perché è freddo e non vuole usare i cordoni: aggira lo spigolo a sinistra e successivamente si alza un paio di metri. Poi obliqua verso sinistra entrando in un diedro aperto sino alla sosta. 35 Mt., IV, III. Quando parto io e il tiro s’impenna non ci penso due volte ad afferrare la corda ma con mia sorpresa non riesco ad alzarmi e devo ricorrere ad uno sforzo supplementare per farcela. Quando ci ritroviamo in sosta esprimo tutta la mia preoccupazione perché ho fatto veramente fatica e temo i ben più duri tiri successivi. Il secondo tiro è un raccordo di rocce articolate vs le placche Burgener e aiuta a prendere nuovamente confidenza con i movimenti dell’arrampicata: un cordone aiuta a superare il saltino che consegna alla piazzola con vista sulle incredibili placche Burgener. Che posto, che meraviglia : la parete del dente s’alza appoggiata ma meravigliosamente liscia rotta solo da fessure verticali e qualche gradino roccioso. Uno scivolo rovesciato verso il cielo con la gente appesa alle soste superiori che sembra proprio in bilico fra roccia e vuoto. Sono le 8.30 e siamo contenti di aver ripreso ritmo. 55 Mt., III, IV. Nadir (lunico a calzare le scarpette!) riparte ancora in libera ma ben presto si vede che fatica e deve ricorrere a diverse protezioni e così il capocordata che ci seguiva ci supera e cominciano gli intrecci ( siamo l’unica cordata ad utilizzare le 2 corde). Passa il tempo e io e Ste in sosta ci spazientiamo un poco: Nadir imperterrito segue il suo sogno di fare tutti i tiri in libera. Nel frattempo ci sorpassano i due secondi e il casino di corde spazientisce il capo (guida austriaca!) dell’altra cordata che s’arrabbia con Nadir che non vuole usare i cordoni. Poi alla sosta Nadir si deve arrendere all’evidenza quando raggiuntolo gli diciamo che è passata 1 ora e mezza per il tiro e che se continuamo così andiamo fuori tempo perché dietro altre cordate stanno sopraggiungendo. Nel frattempo l’ombra appuntita del dente si allunga sul ghiacciaio in direzione del Bianco. Saliamo per belle fessure, stando sempre sul bordo sinistro della grande placconata, fino a raggiungere un muretto con piccole scaglie. Lo superiamo spostandoci verso sinistra, poi per terreno più semplice obliquando a destra in direzione di una bella lama che risaliamo fino a metà dove Nadir ci recupera e ci riuniamo alle 10. 3° tiro: 45 Mt., IV, IV+, III. Ridotto a più miti consigli il nostro primo attacca uno stupendo muretto con piccole scaglie da utilizzare magnificamente per i piedi: si staglia verticale fra il biondo granito e il blu del cielo per una foto fantastica. Sarebbe stato stupendo questo tratto da fare in libera ma ormai bisogna andare di fretta e un bellissima lama mani-piedi ci porta sotto il tratto chiave di V+. Un bel diedro svasato che s’alza vs il cielo appigliato all’inizio e poi meno. Lo supero di slancio con rinnovate e ritrovate energie mentre Ste arranca affaticato e lo dobbiamo un poco aiutare con la corda. Dopo circa 6 metri il diedro è interrotto da un terrazzino. Ci spostiamo sul terrazzino leggermente a destra per riprendere il diedro, ora meno verticale, sino alla sosta.4° tiro: 40 Mt, IV, V, IV. Superato questo tratto siamo ormai prossimi all’aerea cresta e il canapone serpeggia vs la punta Sella che quasi raggiungiamo con un altro tiro perché la sosta è pochi metri sotto la Punta Occidentale. 5° tiro: 50 Mt., IV, III. Salita la Punta Sella, dobbiamo scendere sul versante opposto. Siamo nel vuoto assoluto e mette i brividi posare lo sguardo sulla sottostante crestina che taglia il cielo al fine di collegare la nostra postazione alla punta Graham, cima principale del Dente dove ci attende la madonnina bersaglio e protezione dai fulmini. La tensione si scioglie nell’emozione che anticipa la gioia. Un saltino strapiombante di 2 metri deposita sulla sella tra le due punte della vetta, con un cordino a staffe che facilita la discesa. Semplici ma esposti passi ci conducono davanti al muretto finale. Stefano un poco provato dalla fatica e dalla quota decide di aspettarci per risparmiare tempo e generosamente si slega per cominciare ad attrezzare le calate con la sua corda. Mi dispiace della sua scelta, la rispetto e non provo a convincerlo del contrario anche se gli chiedo se ne è proprio sicuro. Così Nadir s’inerpica rapido per la paretina finale e poco dopo lo raggiungo fra le braccia di Maria alle 11.30. 6° tiro: 35 Mt., III, IV. Mi conforta stringerle le mani e abbandonarmi ad un pianto sommesso. Sono in cielo, siamo in cielo e rapido scatto foto celesti prima che arrivi il turno dei successivi. Veramente mi sento in cielo nelle braccia di Maria e di tanto vuoto attorno a me e mi faccio tante foto con lei. Facciamo poi un selfie di felicità con Nadir e dopo aver ammirato l’immenso Bianco che giganteggia dall’altra parte del mondo lo sguardo cade sulle uniche rocce vicine che sono quelle dell’Auguille e del Dome Du Rochefort che anticipano la potenza della parete delle Grandes Jorasses che proprio dietro si eleva come un pugno al cielo e a sx altre montaqgne da leggenda dell’alpinismo internazionale: Auguille de Triolet, Les Courtes, Les Droites ecc. E poi verso nord l’Auguille Verte i Dru e il grand solco del serpente di ghiaccio noto come Mer de Glace per poi risalire all’Aiguille3 du Midi e concludere il cerchio magico. Via, un ultimo scatto con Nadir e poi lui mi assicura in discesa dove raggiungo pronto a gettarsi nel vuoto per la prima delle due aeree calate, visto che abbiamo le doppie corde da 60 mt. C’è da attendere il nostro turno e alle 12.30 seguo con lo sguardo Ste sparire nel vuoto sospeso alle corde rossa e verde: le calate sono veloci e verticali e con immensa gioia tre quarti d’ora dopo abbiamo i piedi affondati nell’ accogliente molle neve della gengiva e guardiamo con ammirazione l’esposta e verticale linea seguita in discesa. Con ste ci abbracciamo: siamo felici! Il sole abbaglia e scotta e cominciamo a scendere(non prima d’aver recuperato il sacco con il materiale lasciato all’attacco) e cercare un posto riparato per la prima sosta di giornata. Alle 14.30 sono all’inizio del canalino e attendo ste e nadir un poco attardati. Quando arriva Ste gli dico che tastata la neve molle scenderò senza ramponi e in quattro salti sono a metà canale dove devio sulle rocce laterali perché la neve s’ è ghiacciata e mi fermo ad aspettarli. Quando arriva Nadir dico loro che non c’ è bisogno dei ramponi e proseguo nella discesa rientrando più sotto nel canale. Poco dopo ste mi raggiunge e ci avviamo sul ghiacciaio: Nadir non arriva e lo scorgiamo vs metà canale che ci urla di volere i ramponi e scende piuttosto impacciato. La rabbia o forse la stanchezza gli fanno perder tempo e quando mi raggiunge proviamo a chiarirci perché dice che non dovevo scendere coi suoi ramponi nello zaino. Parliamo di quanto successo e pian piano la calma ritorna: nel frattempo Ste è diventato un puntino lontano sul ghiacciaio e s’ è anche fatto tardi perché sono le 15.30. Cominciamo quindi spediti la discesa e arriviamo al rifugio alle 16 esattamente 12 ore dopo la partenza. Che avventura, che dura è stata ma che soddisfazione quando sferzati da un improvvisa e irruenta tempesta di neve con sottofondo di tuoni e nuvoloni neri che vorticano impazziti, c’infiliamo nel tunnel direzione funivia. Finalmente al riparo, finalmente rilassati comincia a circolare in corpo la gioia della giornata vissuta, sostituendosi nei muscoli alla fatica quasi ormai dimenticata. La discesa è solo l’apoteosi trionfale di una giornata memorabile. Grazie ste, grazie Nadir. Evviva la montagna. Berghail!

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