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| Giorno2 dal Pizzo Biorco al Pizzo Porola lungo la grande cresta, 13/09/2025 | Tweet |
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| Onicer | oscarrampica
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| Regione | Lombardia |
| Partenza | Rifugio Donati (2500m) |
| Quota attacco | 2700 m |
| Quota arrivo | 2980 m |
| Dislivello | 500 m |
| Difficoltà | AD / III ( III obbl. ) |
| Esposizione | Varia |
| Rifugio di appoggio | no |
| Attrezzatura consigliata | nda, sufficienti due corde da 30 metri, non ci sono punti di assicurazione preparati. Noi abbiamo usato la corda solo per calarci dalla Torre di Scotes |
| Itinerari collegati | nessuno |
| Condizioni | Ottime |
| Valutazione itinerario | Eccezionale |
| Commento | Sveglia al Rifugio Donati alle alle 6 del 29/08/2025: il letto di nuvole abbondanti è sotto di noi colorato dai riflessi arancioni dell’alba che pennella i batuffoli bianchi: temiamo possano alzarsi e immergerci visto che le previsioni lasciano spazio a questo dubbio. Gli occhi sono attratti dallo spettacolo a sinistra e dall’osservare l’inizio della via: il Biorco, la tonda anticima da raggiungere e il Pizzo degli Uomini che spunta dietro. Lago calmo, in pace con se stesso, e come noi del resto, in questo angolo di Paradiso dove la montagna ci custodisce col suo lato materno. Facciamo colazione, pulizia e bruciamo quattro rifiuti, poi alle 7 ci prepariamo a partire nella luce che scalda. Riscaldamento su pietrame, aggiriamo il lago e cominciamo a salire verso la tonda anticima lasciandoci discosto a destra il vicinissimo Biorco. Zeno mi chiede se ci andiamo ma io mi sento ormai lanciato sul binario che vira a sx ed evitiamo la veloce digressione. Ora si vedono le Punte Gemelle prime cime da affrontare nella nostra traversata mentre volgendoci salutiamo la conca dove oltre al laghetto di reguzzo, è adagiato il Rifugio col suo figlio bivacco, custoditi alle loro spalle dalle vedette Rodes e Santo Stefano. Alle 7.30 Zeno accanto al cumulo di sassi della tonda anticima decide d’imbragarsi mentre io preferisco attendere. Ora si vede bene la cresta di collegamento che segna l’inizio del selvaggio e delle difficoltà tecniche. Terre di nessuno, o meglio, di pochissimi. Sul lato destro salutano i due laghetti del Biorco ingentiliti nel pietrame da qualche residua macchia nevosa. Mi avvio sulla cresta che inizia ad essere irta ed esposta, sfasciumata come da Orobica genesi. La tensione inizia a salire. Da settentrione luce e nebbie in risalita rapida. Seguiamo il filo dove possibile oppure tagliamo appena sotto se è consentito. Non sono i gradi a spaventare ma l’esposizione e la friabilità di appoggi e appigli che vanno sempre testati e tastati. Con sollievo guadagniamo la prima Punta Gemella e la sua comoda sommità (q.2800, h 8). Nella nebbia che sta salendo il profilo a bomba della seconda punta. La solita esile crestina fa da unione e arrampichiamo su roccia migliore( II°) la paretina che raggiunge l’ometto di cima, un quarto d’ora dopo. Zeno mi fa notare il germoglio di lampone che cresce ad altezza insolita, certamente il seme l’ha portato quassù qualche volatile, dice. Penso a come le temperature si stiano alzando anche alle alte quote se un lampone può crescere a quasi tremila metri. Ormai siamo nella nebbia completa e non si vede quasi più nulla: Zeno è avanti 30 metro e scorgo appena la sua sagoma indistinta davanti a quella del pizzo degli Uomini verso il quale ci stiamo dirigendo. Nebbia negli occhi e nella testa. Dubbi. Ora siamo sotto la bellissima e articolata placconata che sale verso la cima…sembra fattibile ma mi sposto sullo spigolo a sinistra che sale elegante con passi continui di II° grado. Salgo sicuro perché il passaggio alla roccia dura e sicura fa ritrovare certezze alpinistiche. Zeno scatta foto bellissime al mio profilo che sale controcielo. Raggiungiamo velocemente la cresta superiore che non si vedeva e la percorriamo senza patemi fino all’ometto di cima dove curiosamente sono state lasciate statuette simil egiziane. Risate e selfie( Pizzo degli Uomini q. 2895, h 9). Da quanto tempo volevo salire quassù..ci avevo provato tanti anni fa anche col piccolo Armin ma un pomeriggio temporalesco aveva frenato i nostri ardori. Facciamo una piccola colazione, davanti a noi torri minacciose e dirupate emergono tenebrose dalle nebbie. Non ho voglia di trovarmi là. Confidiamo in una schiarita. Zeno come al solito imperturbabilmente Zereno. Venti minuti dopo ripartiamo, rocce marce esposte ma gradualmente pare che ci si abitui: i passi non sono mai tecnici ma sempre infidi e pericolosi perché scivolare o restare con an appiglio in mano o un appoggio che prende la via della valle, sono opzioni sconsigliabili. Entri in una bolla e guardi solo il metro che ti circonda per scegliere la strada migliore e meno pericolosa. Zeno raggiunge la prima gobba e poi per altre creste sfasciumate che poi si allargano un poco fino a lasciar intravedere una sorta di anticma. La raggiungo, bisogna scendere e traverso delicatamente un tratto marcescente, fotografo Zeno impegnato dopo di me apparire e scomparire nelle pieghe della montagna. Sempre nebbia. Arriviamo al colletto della Bocchetta di Scotes raggiunto dalle catene seminuove che attrezzano la salita da nord. Procura un insolito piacere trovare tracce umane in questo ambiente solitario e il colore delle bandierine che macchia il bianco avvolgente e minaccioso. Regna il silenzio e anche noi parliamo poco presi dalla concentrazione. Ora una bella placca solida sale e percorrendola mi giro a guardare la cresta che abbiamo appena traversato: da brividi! Zeno sale vs la cresta mentre io mi abbasso leggermente per traversare da sotto ma non taglio affatto finendo in una zona molto detritica. Risalgo detritici canaloni e alle 10.30 gli faccio compagnia di fianco alla piccola croce di slavato legno infilata in un cumulo di sassi (Pizzo Scotes, q. 2980). Anche questa cima era nell’elenco dei desiderata orobici e finalmente ci siamo. Fin qua a parte l’esposizione e i tratti marci non abbiamo avuto grossi problemi. Ora inizia il tratto forse più tecnico con la traversata della cresta Sudest dello Scotes e la risalita e calata della Torre omonima. Vedremo….speriamo perché le nuvole tendono a concedere rade e piccole aperture. Dalla nebbia emergono altre torri ma ormai siamo in modalità..via l’una l’altra. Il cielo si apre un poco e intravediamo tratti della cresta Corti e della sottostante e crepacciata Vedretta di Porola. Davanti a noi un dedalo di torri…quale sarà quella di Scotes? Facciamo tante foto di quel poco che si vede e che non regala mai una visione d’assieme. Ripartiamo venti minuti dopo, la cresta è molto sfasciumata ma larga, il Bivacco Corti appare giù in basso nell’orrido e attendo Zeno che completi la scalata dell’ennessima torretta. Scatto foto bellissime e altamente sceniche. Solo lui e il cielo. Gli urlo se ha voglia di ridiscendere e regalarle anche a me. Scendo dall’altra parte della torretta dove nel frattempo Zeno è già arrivato, conclusa la sessione fotografica. Ora si vede a dx quasi bene tutta l’immensa e affascinante Cresta Corti allo Scais che entranbi abbiamo percorso ( lui addirittura in invernale!) e più in basso il verdeggiante bacino di Scais col tetto rosso della Capanna Mambretti. Davanti a noi la placconata della Torre di Scotes e poi un intrigo di punte in successione Cime di Caronno, Lupo e Porola. Alè. Ora si vede e comprendiamo appieno la complessità orografica nella quale siamo immersi. A dx la vedretta del Lupo e il Passo di Coca. Traversiamo e siamo sotto la bella e abbastanza verticale placconata che Zeno affronta direttamente(II°+/III°) mentre io aggiro un poco (II°). Siamo in cima alla Torre di Scotes (q. 2900, h 12.30) felici e un poco intimoriti dalla visione dantesca dell’intrigo di creste, punte, torri e torrette che ci attendono. Foto istruttive del cuore roccioso orobico dove pungono il cielo le Due Cime di Caronno, quella del Lupo, di Porola e un poco distante a sx quella di Scais. Per contorno un’altra sequela infinita e innominata di spuntoni. Bello e incredibile essere qua, sembra di stare in volo su un drone. Iniziamo a scendere, raggiungiamo una zona sfasciumata che precede un salto che proviamo ad evitare vs dx. Zeno si ferma, dice che non è difficile ma molto esposto e friabile. Si in effetti ci sono un paio di metri piuttosto pericolosi e allora torniamo agli sfasciumi dove Zeno inizia a preparare la doppia di calata con le nostre cordine da 30 metri rimaste finora negli zaini. Appronta anche un sistema di sicurezza oltre al cordino attorno al masso e poi mi dà l’ok per calarmi. Quante ne sa, è proprio un alpinista completo. Mi raggiunge alla base del salto, recupera la corda che si è incastrata. Riponiamo le corde e alle 13.20 superato l’ostacolo più duro del nostro cammino, lasciamo la bocchetta alla base della Torre e prendiamo ad avanzare verso la Cima di Caronno dalla cui base ci divide una cresta irta di pinnacoli e di saliscendi fra le varie guglie. Scendiamo abbastanza verticalmente a raggiungerla e arriviamo al secondo dei tre intagli di questo tratto(il primo era quello alla base della Torre di Scotes), serviti sul lato nord da tre distinti e sfasciumati canaloni: il Passaggio di Caronno. Zeno fa una pausa su un lastrone perché è appena caduto pesantemente sulla gamba e ha dolore al muscolo, niente di grave ( Mola mia Leù). Ci confessiamo le reciproche stanchezze: sono 5/6 ore che viaggiamo tesi e sempre concentrati sul percorso che non concede pause riposanti dal punto di vista psicologico. Siamo stanchi di creste…ma ne abbiamo ancora tante davanti! Iniziamo a scalare e disarrampicare le varie torrette di roccia migliore rispetto alle aspettative con le Cime di Caronno che si avvicinano e scrutano curiose i movimenti delle due formichine alle loro pendici. Su e giù su e giù raggiungiamo infine anche l’intaglio più comodo da raggiungere partendo dal Corti, vale a dire la Bocchetta di Caronno (q. 2840, h 14.15). Ora si deve scendere vs sud per aggirare l’imponente parete della Cima Principale di Caronno su quasi traccia e sfasciumi. Zeno mi mostra entusiasta rocce sulle quali sono rimasti incise le ondulazioni sabbiose di antichi mari geologici e troviamo poi un lastrone di parecchi metri quadri. Zeno fa parlare le rocce, essendo geologo. Penso alla sua vocazione, a quando sarà chiamato a trasformare in bellezza i cuori di pietra delle persone che incontrerà. Ne sarà capace senza dubbi. Fotografo incredulo la cresta aerea che abbiamo appena percorso: è così intricata che sembra impossibile esserci passati. Molte volte le visioni piatte e frontali accentuano parecchio le difficoltà immaginabili. Ci godiamo questa traversata in falsopiano finalmente su terreno morbido e senza dover badare con apprensione a dove poggiamo il piede o mettiamo la mano guadagniamo il versante meridionale con le due cime bene in vista e il colletto che le divide. Davanti ai nostri occhi una grande pietraia da risalire per arrivarci. Ma lo spazio azzurro che divide i due blocchi rocciosi è un invito all’azione e riprendiamo la marcia. Il terreno è di grandi pietre e la risalita più agevole e veloce del previsto e diventa addirittura piacevole quando raggiungo una grande e solida placconata che con semplici passi di I° grado in aderenza ci porta quasi al colletto magico. Uno stambecchino dalla cresta ci dà il benvenuto. Lasciamo gli zaini che qui dovremo tornare e affrontiamo gli sfasciumi verso la cima secondaria di Caronno ( h 14.45) con sublime scorcio sullo scotes e la cresta percorsa. Maestosa vista sullo Scais e la Cresta Corti che domina la Vedretta di Porola. Un quarto d’ora dopo siamo nuovamente all’intaglio per attaccare la Cima Principale di Caronno che mostra i denti ela sua verticale ma per fortuna crepata parete d’accesso. Per belle placche fessurate( (II°/II°+) salgo deciso seguito da Zeno e alle 15.15 (q. 2945) ci sediamo a contemplare il panorama e la nostra gioia interiore. Siamo felici e seduti avvolti nel calore delle montagne che ci abbracciano, ci godiamo la pace e il silenzio del momento. Davanti a noi restano solo un anticima, la Cima del lupo e Porola: ce la faremo! Ridiscendiamo sul filo di cresta e un quarto d’ora dopo siamo sull’anticima. Ridiscendiamo di nuovo e davanti a noi si para una sottile cresta di collegamento che poi sale impennandosi verso la Cima del Lupo. Zeno parla di corda e mi fa salire l’ansia: non ho più voglia di difficoltà solo di sedermi a gioire della giornata trascorsa! Raggiungiamo la cresta, la roccia migliore della giornata. L’esposizione resta notevole ma la qualità della roccia è fantastica e le paure si vaporizzano. Momenti sublimi…vedremo poi quando la cresta si raddrizza. Step by step, del resto è tutto il giorno che viaggiamo accompagnati dal ripeterci..lenti ma sicuri. Zeno si mette in posa seduto sulla cresta solida ma affilata poco prima del tratto chiave. Il riposo del guerriero prima della battaglia decisiva. Sembra felice, stanco ma ciò che più conta felice. Alle sue spalle si alza la cresta che punta verso il cielo della Cima del lupo, l’ultimo ostacolo della nostra cavalcata. Ora siam sotto la prua, la Cima del Lupo a meridione sembra una grande vela e noi dovremo risalirne il bordo. A guardar da dove siam arrivati sembra peggio. La roccia, ma si vedeva, rimane fantastica e le placconate sono generose di soluzioni per cui le difficoltà non superano il II° grado. Sublime arrampicare, la tensione svanisce e diventa piacere. Alle 16 siamo in cima (q. 2930) alla cima che più di tutte ambivo, per il suo nome per il suo isolamento, per il suo essere fuori e antisocial, dimenticata. Sono felicissimo, vicino all’emozione …un sogno che diventa realtà aver inanellato insieme ad un ragazzo che adoro e in cui vedo la bellezza delle persone che non raccolgono un fiore per non turbare la bellezza dell’universo. Ci abbracciamo. La grande corsa è finita, ora dovremo solo scender da qua e raggiungere la fine della cresta ma per tracce già percorse e percorsi segnati perfino sulle carte. Scendiamo velocemente alla Bocchetta Settentrionale di Porola da cui la visione sull’arroccata Cima del lupo, è sublime. Siamo tornati sulla carta geografica dopo aver veleggiato tutto il giorno in acque sconosciute, una macchia bianca nel cuore delle Orobie. Piccole esplorazioni del millennio terzo. Nuova linfa nei quadricipiti e ad occhio risaliamo i lastroni verso la campana sommitale che raggiungiamo alle 16.30. Cima Porola q. 2980. Fine. Si sciolgono in silenzio le tensioni accumulate durante la giornata che scorre in un film raccontato non dalle immagini ma dalle emozioni. L’eco del tintinnio della campana risuona nel vuoto e riempie il nulla della nostra mente trasportandoci in dimensioni sconosciute. Ci guardiamo ma nessuno vuol sporcare di parole il momento. Lo sguardo velato plana sull’orizzonte infinito, magneticamente attratto dallo sperone dello Scais. Che potenza, che forza emana..ritorno primitivo si accende il fuoco dentro e senti la voce della Natura. Lo Scotes copre il resto della nostra cresta e solo il Rodes non è nascosto dalla sua mole. Gli occhi cercano nuovi futuri e cerco di vedere la linea per scendere direttamente sulla Vedretta di Porola e poi risalire allo Scais tramite la Cresta nord non ancora percorsa per la via dello spigolo. Vedremo…sembra fattibile…si arriva sopra un salto roccioso e poi tocca deviare a destra per scendere sulla neve…ci sono passato mesi fa ma ero attratto solo dalla Bocchetta meridionale di Porola. Esco dal futuro e ritorno in me..ringrazio Zeno che scrive e fotografiamo il nostro entusiasmo. Continuo ad ammirare la cresta Nord di scais che vorrei salire e a cercar di capire dove siam scesi con Robi al tempo della prima conquista dello Scais..gioventù che non ritorna..entusiasmo che rimane. Ringrazio. Mi confida che ad un certo punto gli si è rotto in mano un appiglio e prima di riequilibrarsi ha avuto paura di precipitare..io gli ricordo quando sotto i suoi occhi ho perso entrambi i piedi scivolati per il cedimento del terreno sul quale erano appoggiati e solo per il fatto di avere le mani ben salde non son svivolato nell’abisso con le pietre rotolanti. Rolling Stones.. e ridiamo. Sono ambienti decisamente pericolosi..non ne esci se non ci sai ridere sopra. Mezz’ora dopo abbandoniamo il nido d’aquila e contrariamente a quanto ci aspettassimo non riusciamo a decifrare la via normale di discesa…direi che anche questa montagna versa in stato di semiabbandono…ometti e tracce un po' ovunque…confusione. Zeno si affida al suo istinto e decide di tagliare direttamente verso il ghiacciaio sottostante. Come al solito anche se con qualche peripezia finale complicata dalle nuvole che son tornate a coprire tutto, atterriamo sulla vedretta alle 18.30. E’ molto sporca e coperta di detrito e abbiamo lasciato a casa apposta i ramponi. Con attenzione la percorriamo in traverso cercando di evitare zone ripide e più scoperte. Vedo Zeno ribaltarsi spesso..va veloce, è meno prudente di me. Forse sono solo più vecchio. Alle 19 arriviamo al Bivacco Corti (q. 2500) dopo che tuoni e qualche goccia d’acqua ci avevano convinto a desistere dal pensiero di scendere fino al Resnati. Decisione saggia e azzeccata perché pochi minuti dopo siamo al riparo sotto una pioggia torrenziale. Siamo stanchi, la temperatura è parecchio scesa e dico a Zeno “ pensa ad esser ora sotto l’acqua fradici” …brrrr al solo pensiero! Le nubi sono scese come una cappa e noi possiamo felicemente pensare a prepararci la cena calda visto che anche qua c’è il gas. Fuori piove forte, il ticchettio dolce e costante come un mantra sul tetto ci ricorda della fortuna che abbiamo nell’essere al riparo. Dopo cena e tisana ci infiliamo sotto il mucchio di coperte. Dopo i canti di Zeno cala il silenzio. Le palpebre cadono pesanti e Morfeo ci accoglie nelle sue braccia.
Foto1 zeno s’imbraga sulla tonda anticima Foto 2 torri e torrette dalle parti dello Scotes Foto3 la parte finale della nostra cavalcata da una vecchia pagina del Vangelo di Zeno |
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