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   Punta di Scais, cresta Corti, 06/06/2011
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  Agneda (SO) (1220m)
Quota attacco  2450 m
Quota arrivo  3038 m
Dislivello  700 m
Difficoltà  AD+ / IV+ ( IV obbl. )
Esposizione  Nord-Ovest
Rifugio di appoggio  Rif. Capt. Luigi Mambretti
Attrezzatura consigliata  N.d.A. in ambiente severo, selvaggio e assolutamente fuori mano e pochissimo frequentato. Occorre una buona dose di esperienza su questo tipo di terreno.
Itinerari collegati  Punta di Scais (3038m), cresta Corti
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Avvicinamento lungo. Paesaggio selvaggio e poco frequentato. Un ambiente austero che solo pochi veri amanti della montagna conoscono e sono in grado di affrontare. Un alpinismo che è bello definire romantico e dei tempi andati. Tanta fatica, tanta soddisfazione. Così potremmo definire l’affascinante salita alla seconda vetta delle Alpi Orobie lungo la Via Corti. Con Nico è nata ormai un’amicizia solida che mette insieme i nostri caratteri un pochino pazzerelli, all’amore per la fatica e per la montagna selvaggia. Si ride si scherza e si scala. Dopo il Tua affrontiamo un altro pezzo della storia alpinistica orobica. Nico ha fatto suo il mio amore per questo angolo di Orobie così wild. E lo Scais ne è la punta di diamante. Partiamo il 25/06/2011 accompagnati da Giulia un’amica di Nico che era stata con noi sul Monviso. Partiamo verso la Valtellina e dopo esser passati da Lecco e Colico, la percorriamo fino a quando si imbocca a dx l’indicazione Piateda. Chi decide di abbandonare l'asse viario principale per imboccare le strade e i sentieri del versante orobico, scoprirà veramente un altro pianeta che difficilmente dimenticherà. La viabilità stradale con percorsi stretti e spesso sterrati, allontana i turisti frettolosi ed impazienti di raggiungere zone più note ed accessibili; le strade che conducono alle testate delle valli si fermano poco sopra i 1000 metri, a volte anche prima. La ripidità dei versanti e l'esposizione dei settori a settentrione ha impedito un forte sviluppo antropico; le uniche massicce opere umane sono le dighe e le prese d'acqua. Gli uomini, del resto, hanno perso il loro spirito d'avventura e di sacrificio, preferendo adattare la natura alle proprie esigenze piuttosto che adattare i propri comportamenti alla natura. Quassù nelle valli di Piateda, invece, sopravvive una montagna d'altri tempi, povera di servizi ed infrastrutture, unica ed eccezionale per gli amanti del genere. Dopo la svolta si sale fino alla fraz. Dosso. Da lì si seguono le indicazioni sulla destra per il rif. Mambretti e si sale in auto nella stretta Val Venina. Giunti alla centrale di Vedello si seguono le indicazioni a sinistra per Agneda (1.228 m), dove parcheggiamo poco prima delle 17 alla fine del grande piano che custodisce il bel gruppo di baite solitarie (ultimi 1,5 km sterrati e cementati ma senza problemi di fondo stradale). Gli scalatori e i pastori qua si sono dileguati come le nevi perenni, Scais è sott'acqua, Agneda spopolata per la maggior parte dell'anno. Ma è un posto veramente bello, sembra di stare in Svizzera ma senza turisti. Alle 17 ci mettiamo in moto sulla bella carrozzabile che sale verso la visibile diga di Scais. Io e Nico sempre a ridere, in braghini corti sembriamo Gianni e Pinotto in partenza per un pic nic. Vista dall’alto la Piana di Agneda è ancora più bella col suo tappeto verde disteso fra lenzuola di roccia scura. Mezz’oretta dopo passeggiamo su un bel sentiero erboso che costeggia il verde smeraldo lago di Scais chiuso in alta Val Vedello dalla bella piramide del Pizzo del salto. Serpeggiamo nel bosco per ritrovarci a breve dinnanzi a un bizzarro cartello: “cani al guinzaglio, galline al pascolo”. Tocchiamo a quota 1510 le belle Case di Scais e inoltrandoci nel bosco cominciamo a salire sopra il lago che ci saluta tra i rami degli abeti che agitandosi contraccambiano. Attraversiamo il torrente Caronno su un ponte e poco dopo uscendo dal bosco in una piccola radura appare imponente la nostra montagna. emozionante, si alza severa oltre la cortina degli abeti che ne ingentiliscono la base d’appoggio. Saliamo attraverso un bel bosco fino alla bellissima piana delle Baite Caronno (1.612 m, h 18 ), dominata dalla cuspide del Piz Medasc che come un canino fa solletico alla cupola del cielo. Davanti a noi la testata della Val Caronno al gran completo con il Pizzo Scotes, le Cime di Caronno, il Porola, lo Scais e il Pizzo Brunone. Attraversiamo il verdissimo piano erboso curato dai pastori dell’alpeggio e scambiate quattro chiacchere riprendiamo sempre lungo il sentiero, ora abbastanza ripido, e ricco di stupende fioriture di rosa rododendri che cingono come una sposa il profilo duro della nostra cresta.Troviamo il solito cartello che chiede di portare legna al rifugio e usciamo definitivamente dal limite boschivo. Su un pendio verdeggiante,poggio panoramico, ci appare il bel Rifugio Mambretti di cui siam passati in paese a ritirare le chiavi e che raggiungiamo con breve tragitto a mezzacosta (2.004 metri, h19 ). Che posto paradisiaco immerso nel verde sopra il limite dei boschi e con davanti questi bestioni rocciosi che sembrano quasi patagonici con i loro scudi placcosi a difesa delle cime protette ancora anche dai nevai residui presenti. Ci prepariamo la cena chiacchierando amabilmente e poi spaccandoci gli addominali dalle risate quando Nico trova delle improponibili ciabatte in pelle con cui iniziamo a camminare e fare gli scemi per il divertimento di Giulia che ci fotografa incredula. Una foto mi ritrae in lettura serale e poi le luci si spengono perché domani sarà una giornata mooolto dura. Dormiamo bene. Colazione fatta, in silenzio per la tensione e per non disturbare Giulia che dorme. Non ci sono altre scuse, dobbiamo alzarci dal tavolo e uscire, quella strana passione che si chiama alpinismo ci chiama. Buio ma una falce di luna spruzza d’argento le cime che disegnano sullo sfondo del blu, il loro nero profilo. Ci guardiamo e alle 5 cominciamo a pestare pietre in direzione del bestione. Dal rifugio seguiamo per il sentiero segnalato a mezzacosta e anche in leggera discesa che entra nel vallone superiore di Scais e diretto alla bocchetta settentrionale di Porola. Qui (al confluire del torrente di Porola con quello di Scais) siamo sulla morena centrale. In epoca tardiglaciale costituiva la linea di divisione fra le lingue delle vedrette di Scais e Porola, che più in basso, confluivano in un fronte unico. Giunti al ghiaione nel centro della valle, risaliamo a destra per sfasciumi puntando all’evidente avancorpo della Cresta Nord Ovest della Punta di Scais tra i ghiacciai di Porola (a sinistra, molto ghiaccio) e di Scais (a destra, più nevoso). Alle 5.30 il mondo è entrato nella luce e vediamo distintamente il nostro paretone reso più attraente da chiazze di neve residua che danno un tono decisamente alpino all’ambiente. Sappiamo che dobbiamo attaccare cinquanta metri a sinistra dello spigolo sul lato del Porola, raggiungiamo l’anticorpo e alle 6 siamo sotto le placconate che segnano l’attacco della via. Risalgo con impeto le prime facili rocce zigzagando fra le chiazze di neve e le balze per circa un centinaio di metri fino a portarmi sotto una fessura con passi attorno al II° e poi in un tratto con passi di III° chiedo a nico di usare brevemente la corda. Poi ancora su più facilmente per fessure e in un nuovo tratto dove la pendenza si abbassa, ci accorgiamo di essere molto vicini alla cresta. Superato infatti con la corda un breve diedro di III°, alle 8 siamo sulla cresta fuori dal paretone iniziale. In questo tratto è difficile seguire una linea precisa ma si cerca il facile e dovrebbe esserci qualche chiodo che noi non abbiamo trovato. Ora seguiamo il filo della cresta che devia decisamente a sinistra e per lunghi tratti è facilmente percorribile con qualche tratto a volte esposto. Superiamo alcuni risalti con difficoltà attorno al II° grado e qualche passo singolo più duro. Ancora per cresta sino a quando si appiattisce, percorrendola con leggera discesa sino a un intaglio. Forse qui a causa della neve aggiriamo a dx la punta rocciosa e Nico ad un certo punto si trovo a dover affrontare un brutto passo per recuperare la cresta. E’ su terremo friabile quasi in verticale e faccio fatica a guardarlo alzarsi e poi con un urlo di rabbia riprendere il filo di cresta. Guardando la nostra corda da 30 mt. appesa sopra il suo zaino ero preoccupato per quello che mi sembrava un azzardo e anche pensavo a cosa sarebbe stato di me se fosse caduto…brutti momenti. Arriviamo poi a una successiva ampia sella e raggiunta la cima di un primo torrione, scendo ad uno stretto intaglio, circa 10 metri sotto. Giunto qui ho un momento di crisi perché ci troviamo alla breccia con davanti un arcigno e apparentemente insuperabile muro e comunico il mio scoraggiamento a Nico che affettuosamente mi risponde di non preoccuparmi che lui mi riporta a casa. Sono le 9.30 e ci concediamo una breve pausa anche per mangiar qualcosa, prima di riprendere le ostilità. Quando decidiamo di ripartire Nico prova a risalire direttamente il torrione ma a me sembra troppo duro e difatti dopo esser salito a fatica e per qualche metro rimane troppo da percorrere per arrivare a prendere un chiodo che occhieggia troppo in alto. Con fatica torna alla base e le mie preoccupazioni aumentano. Scandagliamo il terreno anche a destra ma appare tutto molto repulsivo. Per fortuna nico non vuole insistere con la risalita diretta e allora proviamo a piegare vs sinistra dove troviamo una piccola cengia che ci porta sotto l’articolata parete che dobbiamo risalire per recuperare la cresta sopra il torrione. Faccio io questo tiro di 40 m chiedendo a Nico di assicurarmi e salgo in verticale, su roccia sfasciumata e non sempre sana (tipo di roccia in cui mi trovo stranamente a mio agio) con difficolta di III° e qualche breve passo di IV° per affrontare un breve muretto molto esposto. Recupero Nico che arrivando mi fa i complimenti e siamo pronti a puntare verso il Torrione Occidentale di Scais (2970m) che raggiungiamo per facile cresta poco dopo, a mezzogiorno. In questo tratto abbiamo perso quasi un’oretta nel trovare la via giusta per aggirare il Torrione. Ci consoliamo con l’aerea e bella vista sulla punta Scais, che si intravvede appena coperta da una delle tanti torri che fanno di questa cresta un vero e proprio istrice, e sul torrione curò e la Fetta di Polenta. La nostra cima non è lontana in linea d’aria ma la cresta appare lunga e intricata, un vero dedalo di punte e depressioni che s’inseguono come un mare in burrasca. Riprendiamo la nostra marcia come condannati verso l’agognata fine e prendiamo a scendere lungo il filo dello spigolo con passaggi alquanto aerei e tenendoci sul lato settentrionale arriviamo alla depressione a monte, la maggiore di tutta la cresta. Mezz’ora dopo passo con attenzione sopra un intaglio sul baratro che è ostruito da un masso incastrato su cui è avvolto un cordino per una improbabile calata nel vuoto verso il ghiacciaio sottostante. Forse una calata d’emergenza…chissà? Alle 13 siamo davanti alla grande parete di placche inclinate e sovrapposte (IV+) che Nico risolve con maestria facendo aderenza con gli scarponi sulle placche che presentano comunque qualche piccola asperità o frattura tali da aumentare l’aderenza (30 metri sino a un ballatoio). Lo fotografo dal basso in sosta, minuscolo sopra la torre ergersi nel blu e con le placche che riflettono sebben scure la luce del sole. Dal ballatoio proseguiamo per altri 10 metri ancora su placche più facili ed articolate. Ritorniamo in cresta e continuamo per 30-40 metri orizzontalmente, per poi calarci per rocce abbastanza verticali da una piodessa rossastra ad un nuovo intaglio. Ora abbiamo da scalare un’altra parete simile alla precedente ma più semplice(III°) sulla cui cima Nico arriva alle 14. Alle 14.30 Nico mi scatta quella che considero una fra le più belle foto di montagna che possiedo. Mi si vede da lontano impegnato a scrutare il precipizio sotto di me e a trovare la via in un mondo alpino verticale e repulsivo, sperso fra torri, placche e tanto vuoto da far paura e rendere il proseguio verso la Cima Scais apparentemente impossibile. Eppur si avanza, passo dopo passo, con forte impegno psicologico fino ad arrivare all’ennesimo intaglio da cui saliamo facilmente all’ennesima torre. L’ultima perché poi ci caliamo con la corda brevemente sul lato settentrionale e ci appare davanti come un miraggio, turrito oltre la dorsale nevosa (ampia e quasi accogliente), la cuspide finale. Un cumulo di neve su questa specie di selletta che sembra l’ultimo ostacolo prima di poter mettere le mani sulla roccia calda che custodisce gli ultimi metri e segreti di questa cresta infinita che sutura la terra al cielo. In quest’ultimo tratto dal Torrione in poi ho cercato di raccapezzarmi con l’orientamento senza riuscirci minimamente. Mi sarebbe piaciuto riconoscere lo sbocco dei vari canali Bonomi, intermedio, ma è tutto veramente complesso e troppo esposto per cercare di comprendere con calma. Proseguiamo in conserva e Nico risale gli ultimi facili gradoni che ci permettono di arrivare alla croce benedetta di Punta Scais con le sue bandierine tibetane che sventolano allegre nell’aria frizzante dei 3037 metri di quota. Ci abbracciamo fraternamente e fortemente al termine di un viaggio che ha cementato nelle paure e nelle soluzioni man mano trovate la nostra amicizia e la nostra cordata. Sono le 16 e un selfie dei nostri faccioni sorridenti sigilla il nostro commosso entusiasmo. 11 ore che sono volate e che sono sembrate eterne. E’ fatta continuiamo a dirci e mangiamo e beviamo cosa che abbiamo fatto poco durante tutta la cavalcata e ci rilassiamo felici e beati sul nostro nido d’aquila che domina tutto il mondo bergamasco e si spinge fino all’orizzonte bianco del gruppo del Bernina. Diversamente dal solito non scatto neanche tante foto al panorama perché il mondo è interiore, è racchiuso in quei pochi metri quadrati di scaglie sovrapposte sui quali siamo seduti. Poi dopo molto tempo riprendiamo coscienza che la via di discesa è ancora molto lunga e quando abbiamo deciso di muoverci, immediatamente prendo a scendere lungo la cresta sud evitando le asperità sul lato est arrivo a monte della placca Baroni. Mi son mosso di corsa spinto dalla voglia di abbandonare questo mondo bello attraente ma al contempo difficile e pericoloso e dalla voglia di trovare subito le doppie nel Canale Baroni che rappresenteranno le nostre chiavi per la salvezza. Nico s’incazza un poco e mi urla di aspettarlo mentre e’ impegnato a far su la corda. Alle 17.30 siamo davanti al canale e Nico inizia a calarsi nell’oscuro e marcio canalone chiazzato di neve e ghiaccio, superando con la prima calata di 15 metri la placca Baroni. Un ulteriore calata su fondo nevoso ci porta ad una catena con majon rapido dove ci aspetta una terza incerta calata su seracchi di neve e crepacci che visti dall’alto non sembrano promettere nulla di buono. Parte Nico e di trova a dover lottare con la direzione della corda che lo porterebbe a precipitare nell’enorme anfratto (fondo una decina di metri) che si è venuto a creare fra il ponte di neve sul quale si trova e il pendio nevoso che riprende dall’altra. Si trascina quindi imprecando verso la sua destra cercando di non appendersi alla corda che lo riporterebbe nel buco. Con qualche peripezia riesce ad aggirare la voragine e a mettersi in salvo oltre la terminale, sul pendio nevoso dall’altra parte. Mi rassicura dicendomi che secondo lui c’è troppa neve perché il ponte crolli e di stare comunque per sicurezza come ha fatto lui tutto sulla destra. Lo fotografo prima di calarmi che si intravede tra i seracchi che sembriamo in Groenlandia..ed inizio a scendere ma con lui che tiene la corda il compito è relativamente semplice e atterro al sicuro di fianco a lui..guardando verso l’alto vedo la corda strisciare sopra la lingua di neve spezzata sul vuoto..vengono un po' di brividi a pensare al volo che avremmo fatto se fosse collassata. E ancora sopra incombe tutta la roccia impilata del T. Curò. Comunque ora siamo quasi al sicuro. Quasi perché più in giù di così con la nostra corda da 30 metri non riusciamo a scendere, ma il pendio è parecchio ripido e noi non abbiamo i ramponi. I primi passi in discesa confermano i nostri dubbi che diventano preoccupazioni perché la neve è rigelata e parecchio dura. Dobbiamo scalciare con forza il pendio più volte per sagomare un piccolo intaglio nel quale poggiare con sufficiente sicurezza la punta delllo scarpone, non avendo neanche le picche. Triboliamo per mezz’oretta ma poi alle 19.30 siamo fuori pericolo essendosi abbassate di molte le pendenze e potendo scendere finalmente faccia a valle. Ci rilassiamo ed esultiamo voltandoci indietro a cercar inutilmente di comprendere l’indecifrabile dorso di pietra sul quale abbiamo camminato e arrampicato. Sofferto e gioito. Ci mancherà e sarà sempre nei nostri ricordi questa giornata. Scendiamo stanchi e felici e alla fine della neve ci abbracciamo sciogliendo tutte le emozioni finalmente libere di fluire verso il verde che è riapparso in fondo alla valle. Alle 21 recuperiamo Giulia in tensione al rifugio e alle 22 camminiamo sui bordi del Lago di Scais illuminati dalle luci della diga. Alle 23 ripartiamo da Agneda, all’ 1 di notte siamo bloccati da un incidente sul Lago d’Iseo. Per la prima e unica volta finora nella mia vita da alpinista qualunque, telefono al lavoro per dire che alle 6 non sarò in turno. Non ce l’avrei proprio fatta. Felice, dormirò e sognerò nuovamente di essere sul dorso del dinosauro. Col mio amico Nico. Insieme riusciamo a trasformare ogni nostra uscita in giornate epiche e indimenticabili.
Foto1 io nel mondo verticale Foto2 Nico sulla placca IV+ Foto 3 io in vetta a Punta Scais


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