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   Pelmo 3168 per le cenge di Grohmann e Ball, 21/07/2010
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Veneto
Partenza  Passo Staulanza (1700m)
Quota attacco  1900 m
Quota arrivo  3168 m
Dislivello  1000 m
Difficoltà  PD / II ( II obbl. )
Esposizione  Varia
Rifugio di appoggio  Venezia
Attrezzatura consigliata  nde set ferrata eventualmente per le cenge di Ball
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Che avventura che ci aspetta: oggi proveremo a salire il Pelmo dalle cenge di Grohmann e così realizzerò un altro mio piccolo sogno e cioè quello di arrivare alla Fisura e cioè la fessura che divide le immense pareti di Pelmo e Pelmetto e che ha sempre attirato la mia curiosità. Solo ieri sono sceso dalla salita della via speciale con Gian in Lagazuoi, ma questa è un’altra estate che regala soddisfazioni a non finire. Sarà lunga e quindi sveglia alle 4 del 21/07/ 2010 con mio figlio Armin (10 anni) ormai reclutato anche per queste gite dure. Partenza per il Passo Staulanza dove nel buio delle 5 ci prepariamo armeggiando con gli scarponi sul retro dello scudo. Che gioia vedere Armin che lo fa felice e sorridente. Una cosa ho sempre desiderato trasmettere ai miei figli: l’entusiasmo per la vita! Riesco a scattare una foto al molosso che ci sovrasta più scuro della notte e partiamo non sapendo bene se troveremo il punto dove dal sentiero che sale verso il Rif. Venezia, dovremo girare a sinistra. Ora grazie alla fioritura del web si può trovare un po' di tutto ma solo dieci anni fa alcune zone erano bianche come le mappe di inizio secolo e ho indicazioni vaghe. Probabilmnte dovremo avvicinarci a vista. Partiamo alle 5.15 e il primo spettacolo di giornata è l’alba che colora d’arancione prima la punta e poi cola su tutta la parete sudest del Civetta e delle Moiazze. Intanto tengo un occhio basso al sentiero per individuare eventuali tracce a sx e l’altro alto vs la parete del Pelmetto che copre ancora il canalone che dovremo risalire. Un’ ora dopo la partenza siamo esattamente di fronte alla stretta ma enorme spaccatura che come un colpo d’accetta ha diviso le due montagne che elevano per centinaia di metri le loro rocce ai lati del solco. Che posto fantastico. Siamo in località Le Mandre a q. 1900. Davanti a noi un mare di mughi e, notato un passaggio, mi ci infilo casualmente nella speranza di poter traversare senza rimanere incastrati. Avanziamo a fatica ma avanziamo, su tracce che non sapremo mai esser d’umani di animali o naturali, con la fessura che ci guida come una stella polare oltre la marea verde. Alle 6.30 usciamo indenni dalla selva verde e siamo su un ghiaione che sale verso la nostra spaccatura. Non ci sono segni o tracce, ambiente primigeno, selvaggio, affascinante e repulsivo al tempo stesso. La linea di salita non è definita e alcuni ometti sparsi non danno nessun indizio utile su quale sia la strada migliore per avanzare. Un quarto d’ora dopo, salito un tratto di ghiaione noto un canalone che sembra abbordabile e sale vs l’alto protetto ai lati da due alte pareti rocciose. Nonostante non ci siano segni, decido di provare a percorrerlo e faccio mettere ad Armin il mitico caschetto rosso Cassin del nonno e lo fotografo perché lo trovo irresistibile sotto quel caschetto intergenerazionale. Con difficoltà che si mantengono fra il I° e il II° grado arrampichiamo divertendoci e chiedendomi dove sbucheremo, dopo 10 minuti ne siamo fuori (uscita quasi tappata dai mughi) su rocce facili sopra le ghiaie del fondo del canale. Pareti rocciose sbucano qua e là tra le ghiaie mobili del canale che si stringe sempre più. Evviva ci siamo, ora non possiamo più sbagliare e dopo aver fotografato bellissime concrezioni rocciose, e fiorellini fra le rocce che donano un tocco di femminilità a questo ambiente decisamente macho, atterriamo alle 7.30 sulle ghiaie che ora dovremo faticosamente, ma facilmente, salire. Prima che il canale ghiaioso si chiuda fra salti rocciosi fotografo cristalli di quarzo purissimi incastonati in una roccia, ci aiutiamo risalendo un piccolo nevaio e per tracce da discesa arriviamo a mettere le mani sulla roccia per arrampicare l’interno di una spaccatura (I, II-), poi un altro nevaio e alle 8.30 siamo all’inizio della grande cengia di Grohmann che si apre immensa, inconfondibile, alla nostra destra (q. 2680). Sono emozionato. Finalmente siamo in questo luogo leggendario da alpinisti amanti “delle vecchie tracce”. Dico ad Armin di riposare, mangiare qualcosa che io ho appuntamento con un altro posto mitico e devo fare un salto fino alla forcella dove ho sempre sognato di arrivare. Mancheranno un centinaio di metri e li percorro quasi correndo verso quell’incisione che esercita su di me un fascino magnetico e che mi appare ancora più bella di come l’avevo immaginata. Per ghiaie e sassi enormi precipitati probabilmente dall’alto (si perché è difficile che i sassi risalgano…) arrivo al bordo (2730 mt.) e curioso mi alzo per guardare dall’altra parte. Yeaeeaaahh ci sono ..mi salutano le Tofane, ma anche il Bec de mezdì alza la sua mano e un canalone terroso e chiazzato di neve che parimenti percorribile precipita vs nord (sarà per un’altra volta…). Lo spazio fra le pareti che si alzano dritte sopra di me per centinaia di metri è di pochi metri e guardandole dal basso creano un effetto claustrofobico. Mi sdraio per non dove torcere innaturalmente il collo e pare di essere sul set dell’era glaciale con le pareti che collassano e vanno a chiudersi sul povero scoiattolino (…io in questo remake). Per fortuna il cielo azzurro scuro sorride oltre i lembi neri delle rocce, e le mantiene a distanza. Mi rialzo e vedo Armin piccolino laggiù che in piedi probabilmente mi osserva e lo saluto felice. A salti, dopo aver fotografato le cenge del Pelmetto (questa sarà un’altra storia..) ritorno da lui e alle 9 siamo pronti per il viaggio. Quello che abbiamo davanti è impressionante: larghe bancate ghiaiose inclinate su salti precipiti nel vuoto, che fasciano la montagna cingendola come una bavaglia e sopra, gialle fasce rocciose che verticali e piallate salgono al catino sommitale che sorreggono (il famoso Caregon del Padreterno,comè chiamato il bacino superiore del Pelmo). Caschetti e via su ghiaie morbide e tracce ora abbastanza evidenti in un paesaggio che cattura e impressiona dalla vista retro sulle placconate del Pelmetto a quello che abbiamo davanti e cioè la cengia che corre sul vuoto. Da lontano sembra impercorribile ma poi in realtà si cammina bene quasi sempre sufficientemente distanti e protetti dal precipizio sottostante, ma gli occhi non ne vogliono sapere di fidarsi e continuano ad allarmarsi per quello che vedono oltre. Alle 9.30 fotografo Armin dopo la prima sezione: pazzesco, sembra impossibile che siamo arrivati da lì! Lo spazio su cui appoggiare i piedi è in realtà sempre comodo, le ghiaie sono stabili e lo strapiombo è spesso abbastanza lontano da non impensierirci. Ora troviamo qualche passaggio un poco più esposto e vicino al bordo ma rimane sempre almeno mezzo metro prima del vuoto e ometti indicano la via anche se è impossibile andare altrove: siamo nell’unico tratto quasi orizzontale di una parete alta mille metri! Una svolta ad angolo e una cengetta piena di detriti e stretta da brivido e poi davanti lo spigolo finale preoccupante. La bancata si stringe fino a scomparire nei presi dello spigolo che precipita apparentemente verticale: ma dove diavolo passeremo. Avanzo preoccupato. Un mazzo di fiorellini rosa sciolgono la tensione. Osservando sgomento lo spigolo che s’avvicina e marciando convinto come verso il patibolo noto il profilo di un viso inciso nel bordo e lo fotografo. Poi muovo a passi decisi verso il vuoto che mi aspira e la cengia dispiega il suo spazio accogliente che per una prospettiva particolare prima sembrava inghiottita nel nulla. Passaggio insidioso, sul vuoto, ma non difficile tecnicamente. Comunque per cuori impavidi. Anche Armin passa senza problemi o bisogni di aiuto e andati oltre la svolta che appariva terribile e la seguente esile cengia esposta, mi volto ora sereno a fotografarla: ha nuovamente assunto la sua faccia arrabbiata. Sorride solo mentre la percorri, come le persone vere di cui scopri le bellezze solo attraversandole. Sono le 10, affrontiamo un’altra esile cengetta e finalmente la banca torna ad allargarsi e ci permette di sederci e sedarci facendo tornar normali le pulsazioni cardiache. Le nuvole cominciano intanto a scaldarsi al sole e a giocare con la base delle pareti mentre pian piano risalgono verso l’alto a coprire il nostro futuro ma credo che ormai abbiam passato i tratti più rischiosi. Un papavero giallo splendido solitario e poi un mazzo intero, colorano l’ambiente reso grigio dall’oscuramento e la cengia che aggira il lato sud della montagna va a ricollegarsi ai ghiaioni della via normale. Alle 10.30 sbarchiamo nel grandioso Valon del Pelmo quasi libero dai vapori. Le nebbie risalgono con noi l’immenso anfiteatro ghiaioso, ci avvolgono e superano nella loro ascesa e presto si dissipano nelle arie fredde dell’alta quota lasciando il cielo blu come il mare profondo. Armin sale nella neve in maglietta e braghette fra enormi blocchi squadrati che sembrano lavorati da scalpellini giganti e tra una fascia rocciosa ed una nevosa ci avviciniamo alla cresta sommitale dove s’impigliano le poche bianchissime e paffute nubi che veleggiano nel mare blu. Raggiungiamo la spalla e guardando timorosi oltre il baratro pare incredibile essere passati su quei pochi metri che a picco sotto i nostri occhi allibiti rompono il precipitare della parete. Lo stomaco si chiude: centinaia di metri di vuoto protetti da colossali pareti scendono verticali fino al fondovalle. Il canalone e la cengia che abbiamo percorso in salita sono a pochi metri di distanza in orizzontale, ma mooolto più in basso! Per trovar pace dagli orridi libero lo sguardo vs la Cima del Pelmetto ormai tranquilla sotto di noi e i suoi accoglienti ghiaioni finali che però non sono facili da raggiungere. Arrampichiamo un caminetto, raggiungiamo la cresta e dopo poco un ultimo saltino di un paio di metri (eccessivo cordino che penzola per issarsi). Filmo armin superarlo e alle 11.30 cielo blu sfondo di nubi bianche splendenti, maglietta rossa di Armin, bandiera della pace avvolta sull’omino di vetta (q.3168 m.), sono i colori della gioia. Armin sorride e sprizza felicità da tutti i pori. Il cielo sopra di noi è di un blu profondo ma enormi nuvoloni coprono l’orizzonte e il panorama. Scatto foto godendo il privilegio della posizione. Fantastiche le visioni sulle varie spalle del Pelmo che sostengono la montagna e le danno la ben conosciuta eleganza. Ci mangiamo i nostri panini infilandoci le felpe e un’ora di felicità dopo ricominciamo a scendere vs il Valon. Scendiamo veloci fra corse nei nevai e scivolate sulle ghiaie e alle 13 siamo all’ometto che segna l’inizio della cengia di Grohmann. Ma non scenderemo di lì bensì dalla via normale così da effettuare la traversata della montagna e affrontare anche le altre cenge che hanno reso famoso il Pelmo, ovvero le cenge di Ball. Perdiamo quota fra salti rocciosi, ghiaia e alle 13.30 arriviamo in vista della cengia di Ball un incredibile cicatrice che percorre pressochè orizzontalmente i dirupi verticali della parete permettendone incredibilmente il superamento. Ci sfida subito con il famoso “passo del gatto”, che costringe ad abbassarsi sotto il tetto gattonando appunto per evitare il più esposto ma comunque abbastanza semplice superamento esterno. Nella realtà le difficoltà non sono elevate e ci immergiamo di nuovo nel cuore della montagna grazie a questo percorso incassato nel vuoto. La cengia di Ball è molto più difficile tecnicamente della Grohmann, ma le corde fisse nei punti impegnativi (parecchi!) riducono di molto i problemi. L’esposizione è veramente tremenda perché ora si corre proprio sul filo del baratro (ogni volta che ripasso di qua mi viene in mente il sacco nero che vidi quando tornai dalla cima tanti anni fa col mot e che attendeva il mesto trasporto in elicottero..una signora tedesca sapemmo più tardi..) e sono teso per la paura che possa succedere qualcosa ad Armin a cui cercando di non trasmettere la mia paura, raccomando continuamente di prestare molta attenzione. Ma è forte lui, non sprezzante del pericolo ma maturo per affrontarlo serenamente. Anche qua volgendosi sembra incredibile esser passati su quelle esili cenge precipiti ma alla fine con l’orecchio sempre teso ai rumori di armin dietro di me e buttando l’occhio quando serve, arriviamo alla paretina finale che scilota ogni tensione disarrampichiamo finalmente sereni. Sono le 14.15 e finalmente è fattaaaaaa! Ci battiamo il cinque con Armin e gli faccio i complimenti..mi dice che bisognava stare attenti ma non ha mai avuto veramente paura. Grande Armino. Un quarto d’ora dopo passiamo dal Rif. Venezia (q. 1946 m) ma rinuncio all’idea gelato premio per Armin perché nuvoloni neri si sono addensati e ballano vorticosamente in cielo preannunciando nulla di buono. Aumentiamo il passo sul bel sentiero vs il Passo Staulanza. Dopo un poco non resistiamo all’idea di esplorare un enorme caverna che si è creata sul gigantesco residuo di una valanga e dopo averla attraversata da parte a parte riprendiamo a marciare verso la salvezza. Qualche pausa a fotografare le ancora visibili catene dei Tamer e del Bosconero e poi rimaniamo soggiogati dalle strane formazioni rocciose che simili a due teste di dinosauro occupano lo spazio sopra le nostre teste. Scatti ripetuti e poi via ancora di buon passo per bei prati. Di corsa sulla bella passerella in legno e poi nel bosco spaventati dal rombare dei tuoni ci mettiamo a correre in discesa. Quando ne usciamo ormai prossimi al passo grossi goccioloni ci segnalano la nostra fortuna. Appena saliti in auto alle 16.30, fuori si scatena l’inferno. Noi dentro felici ce la ridiamo. Grande Armin. Nota: percorso di grandissima soddisfazione, in ambiente grandioso senza paragoni. Impegnativo psicologicamente più che tecnicamente. La corda e l´attrezzatura non servono granchè in quanto non esistono punti fissi per l´assicurazione e anche mettere dei chiodi non è semplice dato il tipo di roccia. L´imbrago potrebbe essere utile eventualmente per percorrere al ritorno la Cengia di Ball per chi non se la sentisse di farla senza assicurazione.
Foto1 Armin e la prima parte della cengia di Grohmann Foto 2 Armin nel Valon Foto 3 noi in cima
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