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   invernale al Campanile di Val Montanaia 2007, 04/01/2007
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Friuli Venezia Giulia
Partenza  park rifugio Pordenone (1230m)
Quota attacco  1850 m
Quota arrivo  2173 m
Dislivello  300 m
Difficoltà  D+ / V ( IV+ obbl. )
Esposizione  Sud-Ovest
Rifugio di appoggio  pordenone
Attrezzatura consigliata  nda, qualche frirnd medio piccolo
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Nella famiglia dolomitica di guglie pale crode e torri, i campanili occupano un posto di rilievo. Sono montagne magre, aguzze, poco spazio concesso all’erba, salite e discese sempre laboriose. I più celebri sono Campanile Basso e Alto nel gruppo del Brenta, e naturalmente il Campanile di val Montanaia. Alle sue spalle, imponenti crode – una più bella dell’altra- si dispongono come a raggiera, quasi a fargli la guardia: sono gli Spalti di Toro, culminanti nel Monfalcon di Cimoliana (2548). Unico segno umano evidente è il piccolo Bivacco Perugini, rosso in mezzo alla neve dell’altopiano surreale a nord del Campanile, ma che vedremo soltanto una volta raggiunto il ballatoio che come un collo circonda la testa finale di quest’obelisco che sfida le leggi della statica. Salito a Caprile per le vacanze post natalizie, il 4 gennaio 2007 propongo a Stefano di provare a salire vs il Campanile Friulano, che prevediamo per la sua verticalità possa essere relativamente sgombro dalla neve. Partiamo presto che è buio e gelo in Val Cordevole: tutto tace e tutto dorme perfino i respiri sono prigionieri della morsa del gelo. Alle 6 accendo il motore e nell’abitacolo trasformato in freezer compare la nebbiolina del mio fiato. Viaggio per andare a prendere il compagno di cordata ad Agordo e poi continueremo la discesa fino a Belluno e poi vs Longarone. Dalla cittadina di pianura distrutta anni orsono dall’onda del Vajont, proseguiamo per Erto, il paese di Mauro Corona e poi per Cimolais; qui imbocchiamo la strada per la val Cimoliana con ampi tratti sterrati. Mentre la percorriamo stretta, ardita con molti passi sotto tetti di roccia, ci chiediamo se la via sarà ancora più dura. Lasciamo la macchina solitaria nell’immenso parcheggio pensato per la grande frequentazione estiva, posto poco sotto al rifugio Pordenone. Muoviamo i primi passi alle 8.30 del 4 gennaio 2007 in uno scenario glaciale e immobilizzato dal gelo: solo lo scricchiolio dei nostri passi sui sassi. Anche il Rifugio dorme un letargo dal quale non ha nessuna intenzione di ridestarsi. Saliamo un piacevole tratto nel bosco e poi il sentiero sfocia nei ghiaioni dove seguiamo le tracce (n°353) che salgono ripide. Nascosto in un remoto angolo delle Dolomiti friulane, si lascia vedere soltanto all’ultimo, dopo una lunga marcia per una valle scabrosa e piena di sassi, che pare pensata per proteggerlo da occhi troppo indiscreti. Ci appare all’improvviso alle 9.20 e restiamo sconvolti dalla sua bellezza e da quel suo unico prendersi la scena elevandosi come un pensiero dal nulla. Mamma mia che bello! Siamo estasiati e basiti e foto e video si sprecano. Man mano che ci avviciniamo lui sale sempre più verso il cielo e i nostri colli si devono torcere all’indietro per seguirne l’ascesi rocciosa quasi mistica. Sempre più bello sempre più inspiegabile nella sua forma sgraziata che pare possa perder l’equilbrio da un momento all’altro. Verso le 10 arriviamo ai fini ghiaioni basali che ne sostengono l’equilibrio e che sembran tanto un tappeto fine steso per accedere alla sua sacralità. Ci portiamo sulla verticale dello spigolo sud-est, tocchiamo con emozione e pudore le sue gelide rocce e nei pressi di una nicchia, alle 10.30 ci leviamo gli zaini e creiamo il nostro campo base cercando di ragionare bene su cosa portare vs l’alto tenendo conto del freddo veramente intenso. Ci muoviamo dalla nicchia alle 11 e aggirato lo spigolo verso sinistra rimontiamo facili cenge a gradoni fino a portarci al centro della parete sud, alla base di un evidente fessura camino. Qui comincia la nostra avventura. Parte Stefano ma ha molte difficoltà ad arrampicare per via delle mani fredde che si saldano alla roccia. Non riesce a progredire e allora mi offro di provarci io che ho dalla mia una proverbiale resistenza al freddo e le mani quasi sempre calde da pensare di averle termo riscaldate. Sento il contatto quasi appicicaticcio con la roccia e quel gelo è anche una scossa alle intenzioni. Salgo fino alla prima protezione e poi essendo il tiro più facile sento Ste se vuole usarlo per scaldarsi. Mi dice ok e allora mi calo e lui riparte con la prima parte del tiro già protetta e dopo il primo impaccio, arriva alla sosta: siamo partiti verso l’alto, forse il peggio è passato.
1° tiro: salire leggermente a dx della fessura, poi spostasi a sx fino a una clessidra; piegare più decisamente a sx, e raggiunta una seconda clessidra superare il camino direttamente o sullo spigolo alla sua sinistra. Sosta su comodo terrazzino. III, IV (passaggio) (2 clessidre con cordone) 25 m. Ste mi recupera e salgo senza problemi, a parte le scarpette la cui suola sembra di legno anziché di gomma e fanno quando toccano la roccia un rumore proprio di zoccolo. Parto per il tiro 2. 2° tiro: proseguire a sinistra della sosta e vincere un breve strapiombo con buone prese (passo di IV+, chiodo); continuare verticalmente verso sinistra (clessidra) puntando ad un evidente diedro-camino, alla cui base si sosta. IV+, III (1 chiodo, 1 clessidra) 35 m
3° tiro: salire il diedro-camino con scomodo passo iniziale (IV), dopo una decina di metri si incontra un fittone e si esce a destra su cengia: percorrerla facendo molta attenzione a non smuovere sassi, fino ad un ampio ripiano detritico (clessidra). Superare un saltino sulla sinistra e sostare su comodo terrazzino. IV sostenuto, II (1 fittone, 1 clessidra) 45 m Riparto per il 4° tiro: in obliquo a sx supero un risalto (III), e poi per facile cengia a gradoni raggiungo emozionato il Pulpito Cozzi, autentico balcone privilegiato su questa guglia e da dove è passata la storia di questa montagna e dell’alpinismo. Sosta sotto la fessura. III, I, 25 m . Recuperato Ste, sono le 13.30 e ci troviamo sotto il tratto chiave della via,la famosa fettura Cozzi che appare arcigna anche se l’esposizione è qui attenuata dall’ampio terrazzo che ci separa dal vuoto sottostante. Sarà Ste ad avere l’onore di metterci le mani e la risolve con non poca fatica forse anche per quel mix che si crea tra il gelo e l’unto delle lame da afferrare. Io provo un percorso alternativo, più esposto a sx ma più semplice e ben protetto che mi permette di aggirare la fessura. 5° tiro: Salire direttamente sopra la sosta per la bella lama con dulfer fisica (roccia un po’ unta), sosta con cavo di ferro su piccolo terrazino poco sopra la fessura. V, 10 m
Tocca ora a me avventurarmi a piccoli ed incerti passi sulla cengia che esile fascia la montagna vs sx e diventa sempre più piccola e sempre più esposta ad ogni passo. Non è difficile ma sembra più di essere su una slackline di pietra,finchè girato l’angolo si vede finalmente l’angolo dove va a finire la folle camminta: e non bisogna guardar giù perché la parete tagliata di netto precipita per centinaia di metri. Io tiro la mia corda quasi pregando e arrivo alla nicchia dove ansimante mi assicuro e spergiuro a me stesso che da qui non mi muoverò mai più. Recupero ste e leggo nei suoi occhi e nella compassata avanzata la stessa tensione. 6° tiro: traversare verso sinistra in grande esposizione, fino a sostare in una nicchia alla base di un evidente camino. II (2 chiodi, 2 clessidre) 20 m Bisogna torcere il collo vs l’alto per vedere il chiodo di protezione posto proprio sopra le nostre teste ma Ste da prova di sangue freddo e partendo deciso supera velocemente il piccolo ma terrificantemente esposto strapiombino, raggiungendo poi facilmente il ballatoio sommitale, da dove mi ordina di partire. In effetti il passaggio è un poco di forza ma semplice…solo che fa proprio strizzare il culo. 7° tiro: salire direttamente il camino inizialmente strapiombante, con bella arrampicata molto esposta, fino ad uscire sul ballatoio prima della cuspide finale; da qui a sx fino alla sosta. IV (1 anello cementato, 1chiodo) 35 m
Ste mi recupera, sono le 15.15 tira un’aria gelida e il ballatoio è coperto da un metro di neve che lì ha trovato dell’orizzontale dove poggiarsi. Mi comunica che è tardi, che c’è troppa neve per raggiungere il posto dove la famosa calata Piaz di 37 metri ci riporterebbe alla base e che quindi dovendo scendere da dove siamo saliti, perderemo molto tempo e quindi non ne abbiamo per salire in tempo e in sicurezza, prima del buio. E’ una mazzata morale per me, sono disposto a rischiare col buio. Del resto mancano solo due tiri facili anche se innevati, ma non riesco a convincerlo e smetto di insistere. Mi spiace abbandonare per prudenza quella che sarebbe stata per noi un’impresa storica, ma mi adeguo e iniziamo a preparare le calate. Il nostro sogno s’interrompe al ballatoio, proprio fuori dalle difficoltà maggiori. Ste si cala e alle 16 siamo di nuovo alla base del camino e poi proseguiamo con le doppie nell’oscurità che cala e che ci costringe a qualche ricerca ansiosa delle soste da cui calarsi. Verso le 17 ci caliamo al buio dall’ultimo tiro e raggiungiamo la nicchia di partenza alle 17.30 dove ci riscaldiamo con del tè caldo. Che freddo fa ora che possiamo permetterci di stare fermi, è stata una giornata intensissima e siderale. Ci abbracciamo e ci complimentiamo a vicenda perché abbiamo dato fondo a tutte le nostre risorse. Risistemiamo gli zaini, indossiamo tutto quello che abbiamo e iniziamo a scendere alla luce delle frontali. Alle 19 saliamo sul Galaxy, trasformato per l’occasione in gelaxy e a lungo dobbiamo attendere prima che qualche soffio d’aria calda faccia sentire il suo tepore. Ma è la felicità a bruciare dentro e scaldare i nostri cuori che silenziosi ripercorrono i momenti grandi della giornata.
Foto 1 appare il campanile Foto2 io al pulpito Cozzi Foto 3 io e ste al ritorno alla nicchia



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