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   arrampicare in pianura(la casaccia), 31/12/2006
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  cavacurta (60m)
Quota attacco  60 m
Quota arrivo  67 m
Dislivello  7 m
Difficoltà  D / 6a ( 4a obbl. )
Esposizione  Sud
Rifugio di appoggio  interno casaccia
Attrezzatura consigliata  corda imbrago scarpette e gri gri
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Dura la vita per noi arrampicatori di pianura che non possiamo permetterci frequenti uscite e ancora meno allenamenti. Oltretutto io ho sempre avuto in casa( prima a Cavacurta…e ora a Crema in fase di rimontaggio…) una stanzetta dedicata all’arrampicata con pannello reclinabile alto tre metri e largo 4 e verticali su altri due lati della stanza…ma non sono mai riuscito ad allenarmi intensamente al chiuso. E così quando negli anni 2000 girovagando per le campagne di cavacurta mi imbattei in quella casa dell’acqua mi venne subito la folgorazione. Con amici, figli, fratello lavorai a rimuovere l’intonaco per vedere se era possibile salire vs l’alto sfruttando gli spazi fra i vari mattoni. All’inizio smartellavo nelle giornate di nebbia ma quando i buchi ricavati divennero molti, e venuto a sapere sul campo di chi sorgeva la torretta, volli correre il rischio di andare a chiedere il permesso per poter “ giocare sul muro”. Il proprietario fu molto gentile e mi chiese solo di non toccare le chiuse per l’irrigazione. Ottenuto il permesso di frequentare la zona diedi il via ai lavori in corso e al progetto ambizioso di salire fino in cima alla costruzione che aveva due piani il secondo dei quali raggiungibile per scaletta a pioli interna. Forai una putrella in ferro che traversava sotto il tetto e ci avvitai uno spit con relativo moschettone e aggangiandomi potevo quindi calarmi col gri gri all’altezza che volevo e fare appigli lungo tutta la parete(facciata!) alta circa 7 metri. Poi pian piano feci dondolandomi e facendomi trattenere tanti altri buchi in modo da avere più scelte per salire vs l’alto. Facevo buchi o appigli per quanto possibile diversi fra loro togliendo il cemento che legava un mattone all’altro e in alcuni casi scheggiando gli angoli dei mattoni stessi. Il risultato fu eccellente e per completare l’opera colorai con lo spray di differenti colori gli appigli in modo di poter scegliere di salire evitandone taluni e rendere così più difficile il grado della salita. Furono anni e mattine e pomeriggi incredibili a seconda della stagione passati in quella piccola oasi d’Irlanda in terra padana in cui non mancava neppure il suono conciliante della cascatella d’acqua che cadeva nella pozza sottostante. Mi allenavo magari 2/3 volte la settimana e dopo un poco di tempo riuscii a salire senza la corda fino in cima. Generalmente se si era invece in due si arrampicava col gri gri e con la corda che era in alto per sicurezza(moulinette) oppure se ero da solo risalivo la corda con la maniglia Jumar. Quanto tempo passato con i miei ragazzi ma ancor di più. Mi ricordo ancora la bellezza di stendermi sul prato con le braccia gonfie di acido lattico a guardare l’ azzurro in alto o le nubi scorrere sullo schermo del cielo. Il passo successivo fu quello di segnare anche le altre tre pareti non fino in cima ma a seconda delle possibilità che il muro offriva. Oltre la facciata principale a sud c’era la est caratterizzata da dura salita traverso e dura discesa attorno alla finestra murata in prismi, poi la facile e umida nord e poi la semplice ovest perché cadere lì sarebbe significato fare un volo di un paio di metri in acqua. Con uno stupendo e aereo doppiaggio dello spigolo ritornavo da capo e se ne avevo ancora ripartivo immediatamente per il secondo giro: ma poche volte avevo le braccia per ripetere il tutto perché le braccia lavoravano molto su quegli appigli non molto grandi. E quanta gente ho portato là per fare prove di arrampicata o semplicemente per mostrare l’amenità del luogo, o per trascorrere pomeriggi in mezzo alla natura con figli o bimbi che nel corso degli anni abbiamo avuto in affido. O quante volte nei( un poco lunghi) pomeriggi di festa con i parenti, coglievo l’occasione per evadere un ‘oretta dai pranzi inteminabili. E come dimenticare gli anni di colonizzazzione da parte delle vespe “mangiamolta”( quelle enormi e dal ronzio inconfondibile) dell’ambiente superiore in cui creavano i loro fantasmagorici nidi a favo appesi al soffitto e grandi come un prosciutto. Li ho bruciati più volte spruzzandoli con l’alcool e incendiandoli poi col rischio di essere assalito dallo sciame impazzito e furibondo! Ma epica fu quella volta che con Marco usammo la benzina per incendiare il piano di sotto e affumicarli senza avvicinarsi: finimmo quasi ustionati noi dall’esplosione che causammo. Però se ne andarono pure i calabroni. Nei momenti più intensi del mio arrampicare, o in vista di una via da andare a fare allenarmi alla casaccia diventava piacevole e rassicurante: le dita si abituavano a stringere e resistere e se mollavano, planavo sull’erbetta sottostante e andavo a sdraiarmi per riposare,recuperare e guardando il cielo ringraziarlo per il dono dell’Amore che sentivo ricambiato. Grazie casaccia…a presto.
Foto 1 2 e 3…momenti alla casaccia
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