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   gran giro sul gran sasso, 21/10/2018
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Altro
Partenza  campo imperatore (2100m)
Quota attacco  2600 m
Quota arrivo  2900 m
Dislivello  300 m
Difficoltà  F+ / III ( III obbl. )
Esposizione  Varia
Rifugio di appoggio  franchetti
Attrezzatura consigliata  acqua scarponcini da trekking spezzone corda per alcuni tratti esposti o uno di III° grado
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Eccellenti
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Pochi giorni di vacanza tra le meraviglie del Conero e un piccolo sogno nel cassetto da realizzare: trovare un giorno sereno per riuscire a fuggire vs il Gran Sasso e provare a salirlo. Capita un giorno fra due passati alla fantastica spiaggia delle Due Sorelle, il primo per veder liberare le tartarughe, il secondo per passare la giornata in quella spiaggia prestata dalla Sardegna. Dei miei figli si aggrega David( il secondo di 17 anni) che non ha esperienza di roccia e allora abbandono il progetto della traversata in cresta delle 3 cime e elaboro, cartina alla mano, un lungo giro che ci permetterà di toccarle comunque tutte abbattendo il grado tecnico da affrontare. Il 29 agosto 2023, usciamo furtivi alle 4 del mattino dalla nostra bella casetta con fantastica porta finestra sul Monte Conero e ci lanciamo vs Campo Imperatore lungo le autostrade che percorrono la dorsale Italica. Porto Recanati, Civitanova Marche,Fermo,San Benedetto del Tronto,Giulianova i nomi marini attraversati per questa strana insolita meta alpina. Poi abbandoniamo la costa e puntiamo all’interno. Nonostante la rabbia per un errore di percorso del garmin che ci fa perdere tempo arriviamo comunque in vista del massiccio alle 6.30 con l’autostrada verso L’Aquila che regala magnifiche prospettive. La montagna, appare, solitaria, schiantata nel cielo azzurro e per la prima volta assume forma di oggetto del desiderio. Poi la riammiriamo ammantarsi di sole insieme al fratellino Corno Piccolo. Splende di roccia dolomitica e mi par strano trovarmi in Centro Italia. Alle 7.15 mi fermo davanti al Tunnel del Gran Sasso che sembra proprio entrare nella montagna e scatto alcune belle foto delle rocce assolate e con la luna che in un immenso cielo azzurro, ha scelto di poggiarsi proprio sulla cresta del fratellino. Quando un quarto d’ora dopo usciamo dal nastro a pagamento ad Assergi l’ambiente è cambiato e bei colli dominano la scena. Iniziamo a salire vs la nostra meta: la strada vs Campo Imperatore è tanto bella e panoramica da costringermi a continue soste fotografiche per immortalare valli e colli di questo angolo di paradiso così vasto e bello da ricordare gli altipiani del Tibet. Il nostro monte appare bello e unico con le tre cime in parata unite dalla cresta che per questa volta non faremo. Il paesaggio è d’una bellezza incomparabile: fra l’altro è una giornata stupenda e i colori del mattino rimbalzano sulla tela verde creando giochi di luce straordinaria.. Sono 20 km d’estasi, di colori e immagini che s’imprimono nel cuore. Verde e azzurro suturati dalla grigia strada che s’insinua armonica e sostenibile con la sua discrezione. Un paesaggio che mi ricorda il Connemara in Irlanda: stupefacente e sorprendente! Piane ondulate e colli dalle forme sinuose si susseguono in un incanto nuovo ad ogni svolta della stradina e Lui là in fondo che s’avvicina come una temibile e dorata pinna di squalo: una montagna immensa (nella forma ricorda un poco il Sassolungo dove sono appena stato…), incastonata in una valle di rara bellezza. Un angolo di Dolomiti dimenticato in meridione. Che favola. Poi entriamo nell’incredibile spianata finale dominata dalla sua mole e dalle catene laterali che sembrano costruite per creare un corridoio verso il Re. Arriviamo quasi con dispiacere alle 8.10 nella grande e verde spianata a q.ta 2130m. e che ospita le poche strutture ricettive e l’Osservatorio Astronomico. Anche qua vitelli e manze al pascolo ricordano gli alpeggi del Triveneto. La visuale verso la grande piana traversata è magnifica con il profilo del Camicia e del Prena che accentuano la vastità della conca che proteggono con amore. Parcheggiamo e poco dopo le 8 e alle 8.30 siamo pronti a partire. Un cartello ricorda l’arrivo di Marco Pantani, eroe vent’anni fa nella neve che aveva un candore che forse non era il suo. Ma bando ai tristi ricordi, oggi c’è un sole che è un inno alla vita. Guardo David partire nelle sue improponibili braghette colorate a tre quarti che gli ho prestato e mi vien da ridere…arrivano dall’Africa. Passiamo accanto all’osservatorio, parte molta gente e su un colle a sinistra ci saluta il Rif. Duca d’Abruzzi. Il sentiero molto evidente sale dolcemente per mezz’oretta toccando in traverso la Sella di Monte Aquila e regalando panorami di una bellezza infinita sulla piana a valle che sembra un lenzuolo verde non ben steso con le sue rotonde pieghe ; poi si svolta a dx vs il Sassone per un bellissimo sentiero di ghiaino che corre come un filo d’Arianna per il verde crinale e punta dritto alla grande montagna che s’è destata di fronte a noi con la sua forma piramidale più allungata a sinistra. Pizzo Cefalone e d’Intermesoli si elevano color della sabbia in questo paesaggio quasi lunare, non fosse per le strisce dell’erba che non si stanca di crescere e colonizzare gli spazi a disposizione. Puntiamo dritti alla montagna e raggiungiamo il Sassone, di nome e di fatto, arrivato a piantarsi qui chissà da dove, alle 9.30. Ancora a dx, inizia il sentiero attrezzato che punta il mitico Bivacco Bafile, siamo a q.2610 e ci fermiamo per imbragarci. Percorriamo un facile crinale roccioso e poi iniziamo a traversare verso destra il fianco della parete che a tratti è attrezzata con il cavo. L’ambiente diventa eccezionale mentre tra un filo metallico e qualche scaletta traversiamo alla base delle pareti fino a giungere ad una conca sotto immense pareti calcaree stile sud Marmolada e a dx appollaiato su un ripiano appare placido il rosso bivacco. Mamma mia ma che pareti e che roccia, non somigliano, sono realmente belle come la Sud della marmolada solo meno immense ma decisamente più colorate di tonalità marone e arancione oltre al solito grigio. Ci sono immense placche di calcare grigio e con il naso all’insù cerco vanamente la grotta del pesce. Sono ammaliato e incredulo da tanta bellezza penso mentre guardo un giallo mazzo di Aurinia colorare la distesa sassosa. Il Tibet si distende sempre verde-bruno ai nostri piedi come un incanto dalla dolce attrazione fatale. Distogliamo lo sguardo e prendiamo a seguire il cavo alla base della parete e che in traverso porta sotto la rocca dove è poggiato il bivacco che rosso dall’alto ammicca. Quando arriviamo al canale camino dove inizia la direttissima vs la vetta centrale, dico a David di attendermi (la giornata sarà lunghissima…) mentre faccio una veloce puntata al Bafile che raggiungo alle 10.15. Che bel posto anche questo nido appollaiato fra pareti verticali e dalla roccia stratosferica. Chiedo qualche foto a ricordo e ritorno veloce da David. Ci lanciamo immediatamente in entusiasmante arrampicata su per questo canale fatto a gradoni e paretine con diversi divertenti passaggi su roccia da urlo e con difficoltà mai superiori al II° grado, se non per qualche singolo passo. David arrampica bene e sicuro, la corda rimane nello zaino e così 11 sotto un cielo che più blu non si può e su una roccia che più bella non si può ( e che mi ricorda foto scattate ad Armin salendo sull’Alleghesi in Civetta), saliamo allegri fra placche assolate, saltini divertenti e caminetti passando accanto all’inizio della Via Musicanova al Torrione Cambi (6c) aperta dal grande e compianto Roberto Iannilli che ci ha lasciato due anni fa sulla nord del Camicia. Da supera un masso incastrato e raggiungiamo la forcella del Calderone ( q.2790, h11) con vista sull’ormai quasi ex ghiacciaio e sulle punte del Corno Piccolo. La vista è superlativa. Incredibile il contrasto cromatico fra la roccia chiara e lucente e il blu di prussia del cielo. Qualche metro in discesa dall’altra parte e una piccola risalita per un caminetto e poi appare la spiovente terrazza che sostiene il Torrione Cambi: è una placca liscia, per fortuna poco inclinata ma allo stesso tempo un perfetto scivolo sul baratro sottostante. Faccio le raccomandazioni a David e ci avviamo un poco titubanti prima di arrivare a fidarci completamente delle gomme degli scarponi che dopo i primi passi un poco incerti ci restituiscono sicurezza. Dietro di noi abbarbicato e nel tentativo di sfuggire verso il fresco e l’alto guardiamo tristi ciò che rimane del ghiacciaio del Calderone ormai ingrigitosi (stessa scena vista due settimane fa sul Sassolungo.. Ancora un poco tesi superiamo di slancio un muretto(passo di III°) che si opponeva alla nostra progressione. Mi complimento con David ei lo mando davanti a guidare nella lunga fessura camino che si slancia davanti a noi. Che bei passaggi, molto estetici con David che m’infonde sicurezza col suo atteggiamento deciso. Bei passaggi ad incastro ci ragalano l’accesso alla cresta soprastante (Forcella Gualerzi, q.2840). Un caratteristico passaggio sotto un masso, un’ultima paretina, e un quarto d’ora David è seduto sulla Vetta Centrale (q. 2893,h 11.45) con confortante vista sulla vicina vetta Orientale e sull’affollata vetta principale (l’Occidentale) che precipita sul sottostante e ormai detritico Calderone con il ghiacciaio appeso alla parete come un panno sporco ad asciugarsi. Selfie, felicitazioni e poi lo sguardo è rapito dalle scie blu dei laghi di Campotosto che brillano in questo panorama dai colori piuttosto aridi. Un poco di pausa e scendiamo per un non difficile ma ripido canalino franoso che ci deposita alla forchetta Sivitilli da dove per facili rocce risaliamo alla Vetta Orientale( q. 2903) mezz’ora dopo il mezzogiorno. Ci fotografiamo felici, noi il panorama che si spinge fino al mare, ai laghi dell’interno e alla grande conca del calderone dove occhieggiano due resti di ghiacciaio e puoi immaginare quando tutto ne era ricoperto. Che posto. Parliamo con una simpatica e cortese guida abruzzese che si stupisce del nostro programma e ci raccomanda di non esagerare, che non sempre si può avere tutto. Ha ragione.. ma sono innamorato di queste avventure che iniziano e terminano col buio spremendoci all’interno tutto quello che posso. Ora ci rimane solo da salire al Corno Grande solo che per farlo dovremo scendere e risalire la montagna da un altro lato. Ci rimettiamo in marcia seguendo la cresta discendente per arrivare alla ferrata Ricci e da li scendere al Rif. Franchetti soprattutto per rifornirci d’acqua. La vista si apre centralmente sul Calderone e il Corno Grande che protende sopra di esso le sue creste quasi a volerlo custodire. Eccezionale anche la vista sull’arcigno ma elegante Torrione Cambi con l’incredibile spianata inclinata che abbiamo prima con qualche brivido traverasata. Ma un cavo ferrato a sx ci induce in errore e così ci ritroviamo qualche centinaio di metri più in basso per scoprire di aver percorso la recentemente attrezzata via normale ed essere alla base del ghiacciaio del Calderone. La vista sulle cime del gran sasso appena salite e sul torrione Cambi è magnifica, ma ora si impone una decisione. O puntare al ritorno senza acqua o scendere a rotta di collo per il rifugio e poi risalire dal sentiero o addirittura dalla ferrata per poi tornare nuovamente dove siamo fermi ora a pensare. David è convinto e allora lascio lo zaino nascosto dietro un masso e ci lanciamo a corse fra i sassi in discesa diretta a vista vs il Franchetti ,non prima di esserci bagnati le labbra in qualche magra striscia d’acqua che brilla sulle rocce riarse. Alle 13.45 riempiamo la borraccia da un rubinetto di acqua non potabile e ci lanciamo subito sul sentiero vs la ferrata. Il Rif. si stampa sulle incredibili placconate del Corno Piccolo dove forti climber disegnano le loro impossibili evoluzioni. La Ferrata Ricci, inizia salendo una bella e lunga placca inclinata con vari passaggi sul II° grado che David affronta di slancio dimostrando di essere in ottima forma, tanto che non riesco a raggiungerlo e gli scatto belle foto mentre sale indisturbato vs il cielo. Saliamo rapidi e slegati affrontando un’altra parete ripida dalla cui cima è magnifica la vista sul rifugio da poco lasciato e che è abbracciato da tutte le compattate torri del Corno Piccolo che gli fanno da sfondo. Poi arriviamo ad un poggio sul vuoto da cui la vista si apre magnifica sull’immenso Paretone della Vetta Or. che precipita e si alza alla nostra destra. Ci concediamo una meritata pausa pranzo e recupero di una ventina di minuti con lo sguardo che plana sul vuoto davanti a noi dosi vede serpeggiare proveniente dalla lontana costa il filo d’argento dell’autostrada. Alle 14.40 ripartiamo con un ultimo sforzo su per un’altra parete dove ancora David non usa il cavo che corre verticale al suo fianco e poi ancora per i detritici pendii finali fino a raggiungere 20 minuti dopo la depressione della cresta dov’eravamo già arrivati poco sotto la Vetta Orientale. Poi nuovamente la discesa attrezzata vs il Calderone per andare a recuperare lo zaino nascosto fra le rocce. Sono le 15.15 e ci rimane solo da salire sulla vetta Occidentale (Corno Grande) e poi il gran giro sarà concluso. A sorpresa, scopriamo di non dover scendere nuovamente ma traversando in orizzontale arriviamo direttamente al Passo del Cannone a q. 2670 (contrariamente a quanto m’indicava la cartina della relazione) dove mezz’ora dopo, iniziamo la risalita attraverso la Cresta Ovest vs la vetta principale . La parte rocciosa c’impegna solo per un quarto d’ora rassicurati da un tizio che la stava facendo col cane e ci lascia poi sulle pietraie che adducono alle creste finali, dove rincontriamo la guida che si complimenta stupita. Alle 16.15 sbuchiamo in cresta, la cima è davanti a noi, i quadricipiti pulsano ma un quarto d’ora dopo appoggiandoci sui detriti a destra, la montagna finisce. Guardo David felice saltare con energia sui massi finali che adducono alla croce e poi girarsi soddisfatto e con un gran sorriso fare segno tre con la mano. Ci congratuliamo felici sulla vetta più alta del Gran Sasso, il Corno Grande (q. 2910, h 16.30). Ormai non resta che scendere al mare. Davanti a noi e alla piana, stanno le altre due vette di questa ciclopica montagna abbandonata in mezzo all’Italia centrale mentreall’altra parte si vede campo Imperatore, la nostra prossima meta. Balziamo a saltelloni giù diretti per i ghiaioni riprendendo il sentiero molto più in basso. Ci avviciniamo scendendo al Piccolo Corno e dietro è altrettanto stupefacente mostrando alla nostra meraviglia le architetture spregiudicate delle fiamme di pietra che ne rendono sublime la contemplazione. Mamma mia che bellezza, qua sembra la Patagonia se non fosse per il colore più pallido del calcare. Guglie affilate e placche all’infinito. Incredibile. Poi gli voltiamo le spalle e zoomo ancora su quelle placconate liscissime che fan prudere le dita. Ora è il Pizzo d’Intermesoli la nostra stella polare e ritorniamo all’aspetto materno della montagna con l’erba che torna ad abbracciarci e a riempire di verde i nostri occhi quando raggiungiamo la Sella del Bracciaio (q.2500, h 17.15). Scendiamo su sentieri sereni che passan tra prati e rocce costeggiando alcuni torrioni arancioni d’aspetto decisamente dolomitico uno dei quali circondato da un centinaio di corvi. Sorpassiamo la piana dirupata di Campo Pericoli che dà sul Pizzo cefalone e ancora tratti sotto costa con roccia pazzesca. Visioni di pace e bellezza accompagnano il nostro allegro e meditativo discendere nel verde sempre più dominante fino all’incontro con un matto in calzoncini che si avvia vs le nebbie che ora stan scendendo dalla montagna e vs un futuro ambiguo. Alle 18 siamo alla Sella d’Aquila e poi la vista torna a riempirsi della bellezza infinita della piana che conduce al vallo di partenza. Mezz’ora più tardi una Coca Cola all’ostello di campo Imperatore ci restituisce un poco d’energia per affrontare svegli il ritorno in auto. Cala il sipario su una giornata fantastica e anche sul Gran Sasso che commosso ha preferito nascondersi dietro una coperta di nubi che s’è tirato sul capo, già pronto per il sonno della notte. L’ultima immagine di questo luogo fantastico che ci viene regalata è quella di un parapendio che volteggia nei cieli ora grigi sopra di noi. Grazie Da senza di te sarebbe stata solo una gita, con te è diventata indimenticabile. Ma non è ancora finita perché scendendo in auto il tramonto ci regala luci arancioni e radenti e mi devo continuamente fermare a fotografare lo spettacolo che s’accende attorno a noi. Valli in ombra con colori violetto da Tibet e altre incendiate in un gioco di contrasti pazzeschi. Psichedelia per la mente e pace per l’anima. Luci rincorron ombre e danzan tenendosi per mano su velluti d’erbe cangianti. Poesia di colli che dolci si rincorrono nella preghiera della sera che scende a benedire. Eden. foto 1 la montagna Foto 2 io e da sulla vetta orientale Foto 3 due delle tre vette salite
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