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   Via Attilio Gheza, 16/10/2018
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Lombardia
Partenza  schilpario (1100m)
Quota attacco  2000 m
Quota arrivo  2490 m
Dislivello  500 m
Difficoltà  PD+ / IV+ ( IV+ obbl. )
Esposizione  Varia
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  7 rinvii e scarpette di scorta(15 mt di IV° sostenuto duri da fare con gli scarponi) 2 corde da 30mt ,Nda
E' un escursione impegnativa per la lunghezza:13-15 ore e che ha tanti tratti ,di II°,qualcuno di III°, uno di IV° e 15 mt di IV°,IV°+
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Eccellenti
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Son passati tre mesi e dopo il tentativo esplorativo fallito con mio fratello Walter, per incompetenza arrampicatoria (mia..che ero l’atleta di punta del team…) ritorno da queste parti. Non essendo riuscito ad organizzare l’agognata traversata dei Corni di Nibbio, riesco a convincere mio figlio maggiore Armin a provare la Via Gheza sulle creste della Val di Scalve. E’ un progetto nato dall’amicizia di un gruppo di alpinisti che hanno voluto così ricordare Attilio Gheza deceduto in montagna, creando una via alpinistica di notevole lunghezza (l’intero coronamento con un buon allenamento può essere percorso in 12-14 ore), difficoltà alpinistiche fino al IV grado UIAA, alcune calate in corda doppia e una notevole esposizione sui versanti bornesi e scalvini. Difficilmente la faremo tutta perché Armin non ne vuol sapere di camminare tanto e deve tornare presto per uscire la sera. Allora si parte di notte: sveglia alle 3 del 11/10 ma verso le 4 il sonno mi coglie mentre guido (sono andato a dormire a mezzanotte…) e Armin prende il volante. Alle 6.30 partiamo nel buio profondo alla luce della mia frontale dagli impianti di Schilpario e la ripida salita ci dà subito la sveglia. Nella prima foto che faccio a mio figlio verso le luci del paese che brilla come un presepe in anticipo, ha la faccia incazzata tipica degli adolescenti quando la vita chiede loro qualcosa che non vogliono, ma in mezz’oretta l’incubo finisce e il sentiero sparendo ci deposita sui pascoli quasi abbandonati di Malga Epolo che traversiamo baldanzosi. Ora c’e una luce livida e Armin si ferma ad allacciarsi meglio gli scarponi per poi riprendere la ripida salita in direzione del nascosto passo. Sebbene ci sia passato pochi mesi fa (..Non mi ricordo cosa ho fatto ieri. Ma so capire i sentimenti veri..), mi perdo nella pietraia lasciando i bolli blu a dx e non mirando subito al secondo evidente canalone. Procediamo dritti fra mughi e macchie di vegetazione colorata come solo l’autunno sa fare in un tripudio rosso verde giallo e marrone. L’alba dietro di noi, mette il suo scialle di luce sulle spalle dei colli da cui incredibilmente spuntano le inconfondibili sagome rocciose dei giganti orobici: Redorta, Scais, Porola,Scotes e Coca. Armin spinge e io lo fotografo entrare nel canalino segreto che adduce al Passo di Varicla (q. 2100, h 8.20). Il grande crestone del Camino appare, grigio, appoggiato alle pietraie che lo sostengono. Scendiamo brevemente dal passo, i bolli ricompaiono conducendoci vs dx e poi in traverso vs sx e la montagna fugando i dubbi. Alle 9 attacchiamo il grande canale detritico che taglia la parete nord del Camino. Saliamo rapidi ma alla nostra destra mentre noi siamo all’ombra e al gelo guardo con invidia i fulvi prati del Sossino farsi il primo bagno di sole della giornata, dietro saluta il bianco Adamello. Affrontiamo senza problemi la prima placca che incontriamo, e la successive con l’unico passaggino di III°, resi un poco impegnativi dalla roccia fredda e bagnata dalle piogge del giorno prima. Marroni e chiazzate di nubi le montagne del Tibet scalvino assistono indifferenti al nostro salire. Io mi riempio di poesia fotografando un ciuffo d’erba che in ombra da sotto eleva i suoi steli nel cielo blu e li fa brillare di luce. Entriamo così nei canali che portano verso la cima tra ghiaie pietre e qualche tratto un poco più solido finchè nell’azzurro limpido del cielo si staglia la croce di vetta (q. 2490). Son quasi le 10 e fotografo la sfilata di creste che sono il nostro obiettivo: le tre cime di Varicla e poi il Moren e poi a destra la prosecuzione sui Corni del Negrino, la Corna di San fermo e l’evidente Bocchetta delle Pale che dà sulla Corna delle Pale. Scatto una soggettiva ai riflessi di luce sulle acque del Lago di Lova e all’ora tonda abbandoniamo la breve discesa sulla normale per seguire la nostra linea blu lanciarsi con coraggio per scivoli erbosi ripidi in direzione delle aeree creste di collegamento con la Cima Nord di Varicla ( o terza cima). Guardo Armin dall’alto perdersi fra le erbe gialle pronte per la neve, fotografo un mazzo di stelle alpine, faccio le raccomandazioni del caso al bimbo (che ha 19 anni) riguardanti la scivolosità delle loppe erbose e l’esposizione che incontreremo. L’esternazione della mia tensione dipende dalle ansie paterne e andiamo ad affrontare la traversata su cengia alla base di un bel gendarme e svaniscono le mie preoccupazioni vedendo la scioltezza con cui Armin si muove su quel terreno friabile ed esposto mentre si evidenzia la parete che dovremo affrontare. Arriviamo così sotto al primo problema di giornata: la parete Tabak che aveva respinto l’assalto dei fratelli Villa due mesi prima. Armin se la sente di passare con gli scarponi e allora attacca lui. Dopo una breve lezione sui nodi barcaiolo e mezzo, ci imbraghiamo e parte deciso e supera il passaggino chiave di slancio: è un piacere vedere la sicurezza con cui arrampica (non ha certo preso dal padre o dallo zio!). Passa così semplicemente che lo fotografo dal basso e parto sereno convinto di non esser passato un paio di mesi fa solo per le allora drammatiche condizioni di forma. Invece fatto con gli scarponcini, il passaggio non è affatto banale costringendo ad alzarsi molto col piede sx e tirare una sorta di dulfer con le mani. Fatto questo si è fuori e la crestina diventa semplice arrivando rapidamente sulla sommità della terza cima di Varicla o Cima Nord (cima Tabak – 2448 m h 11.15, circa 30m). Ci godiamo il tepore e il sole che finalmente ci toglie di dosso un poco di sudore e di freddo umido penetrato nelle ore senza luce. Dietro Armin seduto la prima e seconda cima di Varicla e poi il Moren, altro tratto di questa grandiosa traversata. Riprendiamo a camminare per erbe e poi sulle entusiasmanti e a tratti aeree ed esposte creste illuminate dal sole e con radi, per fortuna, bolli blu che ci consegnano alla depressione fra la terza e la seconda cima: viste qui dal basso sembrano entrambe molto arcigne. Risaliamo per dosso erboso e roccette la sommità mediana( h 11.30) e poi sempre semplicemente anche la prima cima di Varicla (o Cima Sud, q.2418) per mezzogiorno. Le tre cime di Varicla, sono tutte quotate attorno ai 2450 m e il loro concatenamento, se si esclude il tiro per salire la Nord, oppone solo divertenti passaggini di arrampicata sempre contenuta entro il II° grado. Spettacolare e inedita la vista sulla vicina Cima Moren. Ci regaliamo un selfie, la traversata delle Cime di Varicla, è completata. Poi da poco dopo la cima sud la relazione dice che dobbiamo effettuare tre calate in doppia ma noi disarrampicando un poco all’inizio e saltando qualche anello di calata, ne facciamo solo una con la corda da 30 mt. Mentre armin si cala fotografo i torrioni sopra le nostre teste a proteggere l’accesso alla cima successiva e l’intricato nodo dei Corni si Negrino che si sovrappone in una ridondanza di torri e torrette a quello della Corna di San Fermo. Ricongiunti al Passo della Porta, Armin insolitamente attento alla relazione mi segnala la possibilità di fuga cosa che non prendo in considerazione dato l’orario. Essendo presto, lo convinco a salire almeno a Cima Moren (q.2417,h 13). Aggiriamo un magnifico e grandioso gendarme e vi arriviamo rapidamente scalando per canaloni un poco franosi interrotti da qualche breve passaggino d’arrampicata in ambiente veramente suggestivo che ci consegna alle erbe sommitali su cui è adagiata la bella croce con bandierine votive al vento. Bellissima l’infilata delle tre cime di Varicla allineate come in parata sullo sfondo del Pizzo Camino. Ora scendendo per il sentiero CAI n. 82B per la via normale, arriviamo mezz’ora dopo ad un’ampia e accogliente sella, targhetta azzurra Via “Attilio Gheza” (Goletto del Moren - 2270 m slm). Il sole va e viene e mentre ci avviciniamo ai Corni ogni tanto le nebbie la fanno da padrone rendendo misterioso e oppressivo questo mondo di rocce appuntite che mutano sembianza ad ogni svolta. Sul filo di cresta per balze rocciose e suggestivi canali,finalmente scavalcato l’ultimo dente ,scendiamo alla base della descritta parete di 60 mt che appare minacciosa e s’ erge come prua di nave fra le nebbie. Da sotto la parete appare impegnativa e concordiamo immediatamente sul calzare le scarpette. Parte Armin e con solo 4 rinvii a disposizione deve ogni tanto tornare a recuperarne uno per poter avanzare; lo vedo ansimare ed impegnarsi , è evidente la difficoltà ma alla fine esce brillantemente dal muretto verticale ed è pronto recuperarmi. Passaggi tecnici per 15 mt che arrivano al IV+ in un diedro verticale e dalle pareti lisce per cui le scarpette fanno il loro dovere spalmandosi e lo raggiungo in postazione aerea convenendo con lui sulla decisamente maggiore difficoltà del tiro che rompe un poco l’omogeneità generale della via. Da lì si riparte e fatto il primo passo oltre la sosta le difficoltà si abbattono e ci fermiamo per rimetterci gli scarponi. Si vede l’ultimo, forse , torrione con ometto di sassi in cima. Di gioia in un mondo sospeso di bianche condense, conquistiamo camminando in cresta la sommità del Corno di Negrino ( q. 2310, h 15.15) vero recondito sito nelle terre di nessuno. Che gioia esser quassù sospesi fra terra e cielo, fra le mie emozioni celesti e quelle terrestri che mi legano a mio figlio. Chiedo ad Armin foto. Le cime di varicla emergono come pinne di squalodal mare di nebbia e fluttuano tra sogno e immaginazione. A parte la cima, piatta e accogliente, l’esposizione rimane sempre notevole. Ora le nebbie regnano sovrane rendendo il paesaggio indecifrabile e anche le Corna di San Fermo che apparivano abbastanza vicine sono scomparse, inghiottite dal bianco che tutto nasconde. In una fugace visione appare la colma di Cornabusa..mi sento a casa..anche se sarà ancora lunga. Ci rimettiamo in cammino mantenendo sempre il filo di cresta e, passando attraverso articolati passaggi anche aerei, affrontiamo poco dopo l’ultima calata di 25 m (che con un po’ di cattiveria si poteva evitare) con partenza un poco esposta. Ma siamo stanchi e non voglio rischiare la disarrampicata che, scendendo, in realtà appare meno dura di come sembrava dall’alto (entro il III° grado). Atterriamo ad un nuovo colletto di nebbie che s’impiglian e sfilacciano fra le creste. Ormai è evidente che l’uscita dalla via sarà in direzione della mitica Bocchetta delle pale e che quindi porteremo a termine la traversata (yeahhhh mio…meno quello di Armin che ogni tanto grunisce perché si sente prigioniero della tela che gli ho tessuto intorno…). Un ultimo canale diedro quasi di III° grado e bagnato si oppone al raggiungimento della prima Corna di San Fermo e poi quattro passi e alle 16 siamo sulla seconda e poco più alta Corna con ometto celebrativo (q.2352,h 16.10). Ci congratuliamo, le difficoltà sono terminate (attenzione solo all’esposizione verso Nord) tranquillizzo Armin sull’orario di rientro e gli dico di muoverci perché questa nebbia che a tratti tutto ricopre potrebbe farci perdere l’orientamento; anche se in realtà si tratterà semplicemente di seguire la linea di cresta su terreno però non segnato e sconosciuto. Partiamo che non si vede niente e ogni tanto ci troviamo a dover decidere quale crinale seguire fra quelli che la nebbia si diverte a servirci sul piatto della percezione visiva. Cerchiamo di mantenere la destra, poi scendiamo un canalone lasciandoci la linea di cresta sulla destra o almeno così crediamo fino a quando la quota diminuisce e intuiamo che stiamo per arrivare. Davanti a noi si alza un pinnacolo roccioso che è impossibile da passare sulla dx e allora scendiamo a sx per contornarlo ma non è possibile perché ci affacciamo sul vuoto e non si vede nulla di riconoscibile se non esser certi di esser dalla parte errata. Litighiamo sul senso dell’orientamento e sulla direzione da prendere e alla fine obbligo armin a risalire per capire il da farsi. Comincio a pensare che se la nebbia non si alza rischiamo di dover bivaccare all’aperto col dramma di non poter avvisare casa perché non c’è rete. Siamo fermi lì ad attendere una schiarita poi cominciamo a muoverci in orizzontale sul fianco del pendio inseguendo improbabili tracce fino a quando un parziale risollevamento delle nubi, mi permette di scorgere una cresta erbosa circa 100 mt più su. Risalgo con l’intento solo di potere da lassù capire dove ci troviamo. Arrivati, dopo una svolta in cresta, quello che vedo è allucinante perché non riconosco le cime che vedo (Corni del Negrino da posizione insolita?) e piombo in un sentimento di frustrazione: sembra un film nel quale le nebbie si siano divertite a spostare le montagne. Poi in un attimo di schiarita Armin mi dice di guardare vs la bocchetta che sembra apparire…sembra lei ma non capisco il resto della situazione geografica…è come un pezzo del puzzle isolato dal contesto. Bah! Poi le nebbie si aprono e vediamo i prati sopra di noi da dove saremmo dovuti scendere e la bocchetta apparire qualche centinaio di metri sotto di noi. Esplode la gioia..ora ne siamo certi e basterà raggiungerla. Armin vorrebbe scendere dov’eravamo e poi continuare in orizzontale fino a incrociare il canalone di risalita, ma lo tranquillizzo dicendogli che c’arriviamo per cresta e procedendo così giungiamo sopra la bocchetta che appare ora rilucente nel basso sole pomeridiano che ci illumina d’immenso. Ci sediamo sulla morbida e profumata erba della Bocchetta delle Pale (q.2050) alle 17.45 (abbiamo perso circa 1 ora nelle nebbie) e ci rilassiamo finalmente un poco ai raggi dell’ultimo sole (..s’era assopito lo scalatore). Sono felice..per me ma soprattutto per lui..gli ho chiesto troppo oggi. Alle 18 ci buttiamo a capofitto in discesa vs il fondo e il buio che presto ci avvolgerà. In 10 minuti di salti e ghiaioni siamo sul fondo e come avevamo concordato dall’alto decidiamo di seguire le dorsali elevate e quindi di raggiungere il passo di Cornabusa non direttamente (evitando di infossarsi nel macereto..cosa già sperimentata altre volte…) ma facendo un largo giro ad arco sulla dx. Fotografo e mi faccio far foto con larici dagli incredibili cromatismi giallo arancioni. La Presolana adagiata sul rosso tappeto del tramonto ci da il benvenuto nelle terre basse. Camminiamo nettamente meglio rispetto alle mie precedenti traversate della foppa e si rivela la scelta vincente perché alle 19 con buio incombente siamo felicemente al Passo di Cornabusa. Che bello leggere sul cartello Schilpario 1 ora. Armin è stravolto ma sorprendentemente (o perché vuol tornar presto per salvare la serata) accetta di correre in discesa e così nell’oscurità che scende due folletti e una frontale scendono a balzi per il bosco, transitano per malga Epolo e raggiungono ansimanti e felici Schilpario alle 19.45, 13 ore e mezza dopo la loro partenza..Che corsa, che avventura,,che felicità poter condividere una giornata del genere con te Armin. Una bella rinfrescata gelata e siamo pronti al suono dell’hard core di ultima generazione a infilarci sull’esile nastro d’asfalto che ci ricondurrà dal nostro amore. F1 il percorso dal pizzo camino F2 io e armin su qualche cima F3 Armin sul tiro di IV° al Corno di Negrino
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