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   campanile basso via normale, 05/08/2018
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Trentino Alto Adige
Partenza  vallesinella (1500m)
Quota attacco  2650 m
Quota arrivo  2880 m
Dislivello  250 m
Difficoltà  D- / V ( V obbl. )
Esposizione  Varia
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  NDA, noi abbiamo usato corde da 30 mt.
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Mamma mia che giornata da incubo ma anche immensamente bella ed emozionante come solo la montagna sa esserlo. Nadir mi chiama al telefono ( è passato più di un anno dall’ultima uscita insieme…e non ci siamo più sentiti negli ultimi mesi),mi propone di andare in Brenta a fare il Campanile Basso. Perché accetto? Per quel mix di imprevedibilità e di accondiscendenza a sognare che ha sempre contraddistinto le mie scelte. Vengo da un paio d’anni di quasi digiuno arrampicatorio e da 10 mesi di nulla di cui gli ultimi 5 passati a soffrire per un ernia cervicale che solo da 1 mese, ha smesso di tormentarmi. Perché accetto? Perché il Basso, è il Basso, perché ne avevamo parlato tante altre volte, perché è un altro sogno nel cassetto che improvvisamente ti trovi aperto, perché è una delle vie più famose e su una delle montagne più famose del mondo..e perché essendo una via così nota sarà sicuramente evidente e ben protetta, perché mi spiace dire no a nadir, perché ho 2 gg liberi essendo la famiglia in vacanza…si bastano e avanzano queste motivazioni! Sta di fatto che IL 17/07/2023 si parte e per caso all’ultimo momento si aggrega nonno Vincenzo felice di passare una giornata e mezza in montagna. Viaggio senza problemi, le prime visioni del massiccio del Brenta infiammano già d’amore il cuore e fanno prudere le mani. Da Cima Grostè inizia la sfilata che prosegue con Cima Falkner e i Castelli di Vallesinella e poi l’ammasso di Cima Brenta, Mandron e Punte di Campiglio passando poi per le meraviglie del Campanile Alto delle Brente Alte e Basse e approdare infine al complesso ciclopico del Crozzon di Brenta. Foto e zoom a manetta e poi parcheggio a Vallesinella(q.1540) dopo aver convinto Vincenzo a salire a dormire al Casinei con meta Brentei per l’indomani. Gli consegno i miei preziosi bastoncini che lui non ha (..speriamo di non rimpiangerli per via dell’ernia..) e alle 19 partiamo carichi e veloci transitando mezz’ora dopo al Casinei (q.1825) e alla sua preziosa fontana dove beviamo a più non posso e ci rinfreschiamo con piacere ripartendo subito dopo a spron battuto. Qualche minuto dopo abbiamo la prima delle molteplici immagini da sogno che si aprono davanti ai nostri occhi. Oltre le scure verdi fronde del bosco in ombra si apre un cielo azzurro pieno di luce che bacia il poderoso spigolo nord del Crozzon lasciando in ombra l’altro lato e macchiando di sole le zone sommitali di Cima Tosa. Poi quando usciamo dal bosco il ciclope appare in tutta la sua immensa bellezza e potenza lasciandoci senza fiato. Ahh..quanti sogni per ora infranti lungo quel poderoso spigolo! Saliamo svelti lungo il bel sentiero che con pendenze moderate fra mughi che s’inebriano dell’ultima luce del giorno ci permette di estasiarci del meraviglioso ambiente in cui ci muoviamo. Un viaggio nella luce verso il cielo. Sono da poco passate le 20 quando al bivio vs la Sella del fridolin appare lucente come una spada illuminata, il Castelletto inferiore di Vallesinella che si slancia verso il cielo nel suo gioco di luci e ombre che ne fanno risaltare i ripidi spigoli. Poi l’ombra scende sulle valli e sulle pareti perché il sole si nasconde ma poi dopo le 20.30 si libera nuovamente dalle nubi e torna a infiammare il paesaggio e improvviso fra giochi di luce e d’ombra oltre la salita del sentiero svetta immenso vicino e irraggiungibile il testone enorme del Crozzon. Poi la vista s’apre alla meraviglia del Canalone Neri che come un bianco serpente divide la roccia del Crozzon da quella della Tosa. E subito dopo nel silenzio della sera che copre di dolcezza e invita alla preghiera ci troviamo davanti il canalone di neve stranamente ancor presente in tarda stagione a ricordare di quel maledetto 17 luglio del 1991 dove peroprio qui persero la vita 7 giovani spazzati via dalla fiumana scesa da questo canalone dove avevano cercato riparo…esattamente 26 anni fa! Proseguiamo nelle curve in falsopiano che mostrano prospettive sempre differenti di questo incredibile angolo del Brenta. All’ennesima svolta, vs sx stavolta la poesia si erge a protagonista dipingendo d’arancione luminosissimo le rocce della slanciatissima Torre di Brenta, degli Sfulmini e del Campanile Alto. Dietro di loro, già in penombra, il Campanile Basso disegna la sua forma che sparisce nella sagoma della Brenta Alta che tutto lo contiene quasi a volerne nascondere l’esuberanza e la vanagloria. Continuo a fotografare ad ogni pochi passi questa fantasmagorica lotta fra la luce del sole che muore e l’ombra della sera che alza il tiro verso la conquista delle cime. Manca poco alle 21 quando si apre davanti a noi la bella colma erbosa dov’è costruito come una perla il Rif. Brentei (q. 2180, h21). Racchiudo il bell’edificio in pietre dalle finestre biancoeverdi nella mole immensa di Crozzon e Tosa che gli proteggono le spalle e sembrano volerlo custodire abbracciandolo. Lo superiamo senza tergiversare perché la sera toglie luce ogni secondo che passa e passata la graziosa cappellina, ci dirigiamo alla ricerca di un buon posto per piantare la tenda che il valoroso Nadir ha scelto di portare, contrariamente alla mia indole selvaggia che propendeva per sonno su materassino sotto le pareti. I falsi pianori verdeggianti subito oltre c’ inducono a sospendere le ricerche dell’Eden e viste le pietraie successive ci togliamo volentieri dalle spalle i pesanti zaini e in un attimo la nostra tenda è piantata a debita distanza dalla coppia catalana e con magnifica vista sulle pareti di Tosa e Crozzon che magnetiche incombono sui nostri sguardi. Cena frugale in questo paradiso di pietra, cullati dalla voce del silenzio che invita ad ascoltare senza parlare e a piangere per la bellezza di esistere, qualche foto alla luna che passeggia sopra il Crozzon quasi a dirmi che lei non ha problemi a salirci sopra e quando il freddo comincia a mordere oltre i nostri vestiti, ci rintaniamo in tenda e dentro nei sacchi dove alle 22. 45 spegniamo le luci per cercar di cadere in un sonno profondo e ristoratore. Passiamo una buona notte e alle 5.30 balziamo fuori dalle tende inconsapevoli dell’odissea alla quale felici ci stiamo preparando. Abbiamo dormito in Paradiso cullati dagli angeli e da queste cattedrali di pietra che ora escono dal sonno e si colorano di luce. L’anfiteatro di pietra ci abbraccia: da sinistra la Torre di Brenta e poi Sfulmini, Campanile Alto, Campanile Basso e Brenta Alta divisa dalla Brenta Alta dall’intaglio della Bocchetta di Brenta e poi il lato destro che inizia con la piccola Cima Margherita solo perché affiancata a Tosa e Crozzon che chiudono il cerchio magico. Alle 6 fiamme d’oro bruciano sulle rocce sommitali di tosa e Crozzon e lo spettacolo di luci del nuovo giorno può iniziare espandendosi in tutte le direzioni e colorando in discesa le pareti che si risvegliano dal gelo notturno. Dopo aver nascosto dietro un masso tenda materassini e qualche eccesso di cibo e materiale, alle 6.30 ci mettiamo in marcia per la penosa risalita del ghiaione franoso che adduce alla Bocchetta di Brenta sfilando proprio sotto le pareti dei Campanili Alto e Basso che sembrano sfidarci con le loro pareti dritte lisce e verticali fino a perdersi in cielo. Lo Spallone Ovest del nostro, da sotto è impressionante, come lo è poco dopa la vista sull’incredibile linea del diedro risalito da Fehrmann già nei primi anni del ‘900. Risaliamo faticosamente il canale ghiaioso che ci porta a metter mano alla scaletta metallica che ci conduce sulla Via delle Bocchette questa meraviglia in cui l’ingegno dell’uomo e della natura hanno trovato felice connubio per poter regalare agli appassionati una traversata da sogno. Traversiamo sull’incredibile cengia abbeverandoci ad una fonte che zampilla direttamente dalla roccia tramite un tondino in ferro e poco dopo dall’altra parte sulle luminosissime rocce imbevute di sole della Tosa si staglia l’incredibile silouette del Basso che sembra un serpente scuro che striscia sulla parete. Poco dopo le 7.30 seguendo Luca e Virginia che ci precedono, transitiamo, inconsapevoli, alla bocchetta del Campanile Basso e proseguiamo oltre nella ricerca dell’attacco. Mezz’ora di dubbi dopo, è chiaro che siamo andati troppo oltre, e vedendo il campanile stagliarsi alle nostre spalle torniamo. Nell’unico attimo di lucidità che la giornata mi ha regalato, mi viene in mente dove stava l’errore e così trovato l’attacco (pochi metri in discesa e traverso a sx della bocchetta…) alle 9 siamo finalmente pronti a partire dietro Luca e Virginia, cui abbiamo ceduto il passo. Inizio io ma con la scusa della corda che tiran sulle rocce gradonate, faccio sosta poco dopo e sale Nadir per un camino/fessura obliquo verso destra fino ad un comodo terrazzo alla base della gialla Parete Pooli, prima difficoltà della giornata. Seppur da secondo i passaggi di quarto + verticali, mettono in difficoltà il mio fisico digiuno di movimenti vs l’alto. Si sale dritti fino ad una cornicetta tramite la quale si traversa in bella esposizione per 5 mt vs sx dove su un ballatoio facciamo sosta precaria e dietro lo spigoletto tra la parete sud e quella est, si trova la sosta più giusta (sarà il leit motif della giornata). Allora, ci spostiamo di pochi metri e così nel frattempo ci supera e gentilmente ci chiede di poter passare una guida con il suo cliente. Accettiamo e pazienti attendiamo si concludano le operazioni di sorpasso con relative furiose liti fra le corde che solo la mano esperta della guida può risolvere. Ripartiamo che sono già le 11.30. La guida sale dritto in verticale vs il famigerato Camino Scotoni, mentre io mi avvio a dx quasi in orizzontale per affrontare un tiro semplice: non trovo la sosta e neanche un chiodo e quindi mi dirigo vs la voce della guida che sento dietro un camino perché ricordo erroneamente che le due vie si ricongiungono (lo fanno sì, ma… dopo 2 tiri!). Comprendo l’errore e sotto lo sguardo inorridito della cliente disarrampico il camino salito e Nadir completa il tiro vs dx. Traversie da dilettanti allo sbaraglio. Ogni tiro abbiamo finora perso una marea di tempo ed è già passato mezzogiorno. La relazione non coincide mai con il terreno che abbiamo davanti, chiodi praticamente assenti, nessuno in via essendo i 2 compagni che ci precedevano, svaniti. E così tra tante incertezze e una cengia sulla quale camminiamo arriviamo comodi sotto una placca che si apre poi nei due camini a Y: io sono così stanco che non li vedo e non mi capacito del fatto che fermi dove siamo non ci sia la sosta e si debba attrezzarla, insomma temo di essere per l’ennesima volta fuori via. Sono le 13.30. Nadir appare invece sicuro e prosegue (tiro 6) fino a quando in effetti imbocca il camino di sx: anche qua opta per un tiro corto per facilitare il mio compito di risalire, ma su questo tiro finalmente mi muovo un po’ meglio anche se inizia un insopportabile dolore per le scarpette che dovevano essere da via lunga e che invece hanno preso a farmi malissimo. Il resto del tiro termina semplice e ci fa guadagnare l’agognato stradone provinciale: è un’emozione essere in uno dei luoghi mitici dell’alpinismo e della sua storia. Inoltre siamo esattamente sotto la Parete Preuss (che era nei programmi originari, ormai abbandonati perchè nelle mie condizioni non sappiamo neanche se riusciremo ad arrivare in cima). Percorriamo allora lo stradone vs dx, traversando tutta la parete nord, salutando il dirimpetto Campanile (ora meno) Alto che con le ali potremmo raggiungere aldilà del vuoto. Passiamo sotto il diedro dove chiediamo al catalano se quella è la via normale, ma ci risponde che quella è la via Fehrmann e allora proseguiamo fino a che lo stradone diventa una stradina e va a precipitare nel vuoto. Nuova consultazione delle relazioni per scoprire che il diedro è comune alla Fehrmann e alla via normale e parte proprio sopra lo spallone Ovest del campanile dove troviamo alpinisti forti che sono saliti dalla Rovereto e a cui siamo fieri di confermare la direzione per arrivare all’attacco della Via Preuss. Sono le 15 quando Nadir attacca il vertical diedro (tiro8). Osservo Nadir impennarsi sopra di me e poi, quando tocca a me salire, la sicurezza dello stradone allontanarsi ad ogni passo nel vuoto fra i miei piedi: il primo tiro scorre bene poi però quando c’è da attaccare la parete a sx, mi areno su un passo atletico di IV+ e improvvisamente tracollo di fatica, calore, male alle scarpette che sono strette e non riuscendo proprio a passare mi faccio calare da Nadir ad inizio tiro per mettere le scarpe da trekking. Sono morto,bruciato, Nadir lo capisce e mi invita a non mollare proprio ora ma in queste condizioni gli ultimi tiri rischiano di diventare una tortura infinita. Mi slaccio e tolgo le scarpette e un filo di lucidità torna a scorrere in me: non potrò mai salire senza scarpette. Allora me le riallaccio aprendole il più possibile e intanto Luca e Virginia mi affiancano scendendo in doppia. Salutano e m’incoraggiano: Virginia si ferma e si propone di portarmi giù allo stradone lo zaino (tipico intuito femminile!). Non ci avevo pensato a mollarlo giù e accolgo la cortesia mollandogli l’ingente peso. Rivitalizzato anche dall’ultima bevuta, riparto e di slancio supero il passaggio che mi aveva bloccato. In effetti mi sento più leggero e raggiungo Nadir in sosta dove attendiamo le manovre di corda del catalano e sua muchacha muy carina. Anche lei nel suo idioma incomprensibile mi dice che ormai è fatta, non si può mollare. Ma ormai navighiamo a vista con Nadir che ha paura (suprema attenzione nei miei confronti) a fare tiri lunghi perdendo così la possibilità di aiutarmi o incitarmi. E così arriviamo al ballatoio proprio sul fili dello spigolo, detto “il terrazzino del Re di Belgio” dove sostiamo (tiro9). Nadir attraversa la cengetta nel vuoto che adduce alla parete finale e mi aspetta pochi metri oltre: la cengetta si riduce sempre più a cornice per i piedi e ricorda il mitico passaggio del campanile di Val Montanaia. Passaggi da catalogare fra i ricordi permanenti (tiro 10). Sono in sosta sul vuoto con Nadir che deve partire all’attacco della parete Ampferer dove troveremo i primi passaggi di V della giornata: ce la faremo? Ce la farò? Intanto guardo inorridito la sosta fatta con due ferrovecchi…terranno? Spero ardentemente di non doverlo verificare..mi sembra incredibile che il passaggio decisivo su una delle vie più famose al mondo sia protetto così “old style”…bah!! Comunque Nadir riparte sicuro e deciso, arrampica bene anche se si capisce che fatica; arriva dieci metri sopra e comincia ad imprecare perché dice che è una sosta del cazzo e comincia in tutti i modi a cercare di rinforzarla, poi ci ripensa, ma non essendo sicuro di cosa possa trovare oltre il passetto strapiombante (V°), ritorna sui suoi passi e doppia le protezioni. Dopo molto tempo posso partire, arrampico discretamente bene per gli standard della giornata perché comunque al di là della verticalità le prese sono buone (tiro11). Quando lo raggiungo ci sono quattro punti di sosta interconnessi. Io mi arrendo e cerco di sistemarmi come lui mi dice anche se ho paura ad affidarmi completamente alla sosta e a caricarla deciso. Fra corde, cordini e cordelle pare d’essere in un nido di serpenti e manifesto la mia ammirazione a Nadir che pare sapere cosa fare. Passa comunque un eternità di tempo prima che tutto sia sbrogliato, lui pronto ad arrampicare e io pronto ad assicurarlo. Anche qua la sosta decente era poco oltre e facciamo un altro tiro corto. La fermata successiva è alla base delle roccette finali, dove lo raggiungo entusiasta di aver lasciato alle spalle l’orrida e verticale parete finale con le sue assicurazioni a chiodacci. Mi sembra verticale perfino quest’ultimo tiro di terzo e solo salendolo mi rendo conto che è semplice….quando sento cima mi prende un groppo alla gola..anche questa è fatta (tiro12). Raggiungo Nadir alle 18.30, siamo soli nella luce tenue del giorno che sfuma..e per lui è anche il giorno del compleanno..un po’ anche per me perché oggi sono rinato come arrampicatore. Davanti a noi il crogiulo di rocce del Campanile Alto,Torre di Brenta e Cima degli Armi, la grande parete di Cima Brenta Alta e l’immenso panettone di Cima Tosa e Crozzon e poi tanto tanto vuoto da tutte le parti. Fra foto chiacchere e silenzi il tempo prende il sopravvento e quando Nadir mi chiede che ore sono, ritorniamo alla realtà e comprendiamo che è veramente tardi. Ci svegliamo e ci prepariamo veloci e quando il mio compagno si lancia nel vuoto per la prima doppia puntando in direzione dello spallone lontano laggiù sono già le 19.30. Non bisogna essere dei geni per capire che torneremo al buio, si tratta solo di capire dove e per quanto…speriamo almeno di riuscire a terminare le doppie…ci sentiamo un poco come quegli alpinisti himalayani giunti in vetta troppo tardi, oltre il tempo massimo. Ma la giornata è stupenda ed inutile preoccuparsi prima del tempo..vedremo. Le doppie scorrono lisce come l’olio (rimarranno nell’arco della giornata l’unica cosa su cui non abbiamo perso tempo o avuto problemi…) e a parte un innocuo incastro con recupero scendiamo spediti con Nadir che indovina e trova subito tutti i punti di calata (ben segnalati a differenza della via di salita). Con le nostre corde da 30 ci caliamo rapidi e raggiungiamo lo stradone verso le 21 e poi via nuovamente lungo la strada percorsa all’andata…e così col sole che tinge d’arancione rosso e poi violetto le creste che sornione ci osservano dall’alto in basso compiamo balzi di 20 o 40 mt verso la base del torrione, con l’ultima doppia fatta in fin di luce alle 22. Quando, riavvolte le corde, ci prepariamo a ripartire dalla bocchetta del campanile sono le 22.30 e il buio ormai pressoché totale ci obbliga ad accendere le frontali. Io spero ardentemente di essermi dimenticato la frontale nello zaino(mai avrei pensato di doverla usare!) e la cerco nella tasca come fosse una pepita d’oro che può cambiare il mio futuro…E LA TROVO!! Che bello godersi il potente fascio illuminare la Via delle Bochette con i suoi passaggi attrezzati e accompagnare lo sguardo nell’esplorazione dei baratri alla nostra dx. Acqua come dispersi in un deserto alla sorgente Catullo Detassis e poi le ultime scalette ci depositano a terra sul sentiero. E’ FATTA…non più vuoto ora ma solo tanta,tanta ma innocua fatica. Al buio perdiamo il sentiero fra le pietre rotolanti e ci ritroviamo a zigzagare alla ricerca dell’esile traccia invisibile la cui assenza ci costringe a vagare scomodamente fra gli sfasciumi. Poi il sentiero riappare e verso mezzanotte raggiungiamo il valloncello ondulato dove alla mattina abbiamo nascosto tenda e materiale. Vaghiamo come zombie su e giù per le collinette sperando che ogni sasso nasconda il tesoro che stiamo cercando e quando la rabbia e la disperazione cominciano ad affiorare trovo finalmente il nascondiglio, dove ci abbattiamo incerti sul da farsi. Siamo cotti, disperati al pensiero del cammino che ancora ci attende e al pensiero di dover pigiare negli zaini tutta la tenda e quanto dal prato ci guarda per essere raccolto. Ci facciamo violenza, ci ricarichiamo anche perché dobbiamo cercare di raggiungere Vincenzo affinchè non si allarmi troppo. Riprendiamo la marcia mezz’ora dopo e il sentiero coi suoi falsopiani non appare più dolce e suadente ma lunghissimo, interminabile, con saliscendi massacranti nella notte che è a tratti calda e umida e a volte fredda e ventosa. Ma alle 2 di notte con le nostre andature caracollanti ( Nadir ha una caviglia malconcia) arriviamo al Casinei dove ci fermiamo sulle panche deserte e a bere alla fontana felici che ormai alla macchina manca nezz’ora di facile e largo sentiero. E potremo tranquillizzare Vincenzo. Ci arrivo con la frontale scarica e allora appena ripartiti mi accodo a Nadir nella scia di luce e ombre della sua pila. Vaghiamo nel buio, io inciampando fra radici e sassi che il buio nasconde. Ad un certo punto sono certo che abbiamo sbagliato sentiero e ne ho la conferma quando dopo mezz’ora troviamo un’indicazione vallesinella 30 minuti, poi un altro bivio senza tempi. Camminiamo ormai da 1 ora dopo il Casinei e prendiamo l’indicazione vs dx. Il sentiero imperterrito viaggia in costa poi luci lontane e una discesa riaccendono i nostri sopiti entusiasmi, ma dura poco perché una nuova salita del sentiero fa sbottare Nadir. Io non ne posso più, da tempo sogno di sdraiarmi sotto qualche pino a dormire e guardando l’orologio gli comunico che sono le 3.30. “Nadir, buttiamoci in terra qui e all’alba fra 2 ore capiremo dove siamo e torneremo giù”. Così facciamo , il freddo e l’umido ci costringono a coprirci alla belle meglio ma la stanchezza la vince e quando riapro gli occhi alle 5.20 mi par quasi d’avere riposato. Anche Nadir mi para più pimpante e nella luce dell’alba che sorge dopo aver ricomposto gli zaini ripercorriamo a ritroso il sentiero cogliendo un bivio che nella notte c’era sfuggito. Poco prima delle 6 ci godiamo l’alba sui ghiacci del Carè Alto e nuovamente sul Crozzon e poi finalmente alle 6.45 la nostra odissea brentesca si conclude svegliando Vincenzo che se la dorme sulla 207 (aveva letto un nostro messaggio di ritardo e quindi era tranquillo…). Con una tappa di mezz’oretta per pisolino riguido fino a casa stanco e felice. Nadir sei un mito, grazie per avermi atteso senza mai perdere la pazienza e la fiducia. Alla prox campione. FOTO 1 Luci sul Brenta FOTO 2 NADIR sul diedro tiro 8 FOTO 3 io e Nadir in vetta
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