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   croda rossa d'ampezzo, 14/09/2017
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Onicer  oscarrampica   
Regione  Veneto
Partenza  s.uberto park (1450m)
Quota attacco  2600 m
Quota arrivo  3150 m
Dislivello  550 m
Difficoltà  PD+ / II ( II obbl. )
Esposizione  Nord-Ovest
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  corda(ideale 50 ma può bastare 30) e materiale per doppie, casco
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento La Croda Rossa cova sotto la cenere dei miei desideri da qualche anno ma conoscendola come montagna selvaggia solitaria e complessa attendevo l’occasione per affrontarla in compagnia; ma quest’anno complice il meteo stabile decido di sfruttare gli ultimi gg di vacanza per andare a dare un occhiata alle terre rosse. Anzi con insolita per me programmazione ho già lo zaino pronto il giorno prima e steso il piano d’azione: andrò a dormire al bivacco Helbig (sapendolo sguarnito ho già messo nello zaino materassino e sacco a pelo) salendo nel pomeriggio dopo pranzo e poi il giorno dopo proverò ad andare in cima. Invece il mattino dopo il buon Nico, che chiamo per avere info sapendo che lui da altra via (Innerkofler) ma l’ha comunque fatta, mi dice che forse il bivacco non c’è più. Verifico, e il web emette la sentenza: bivacco smantellato nell’autunno 2013. Con rabbia disfo lo zaino incerto sul da farsi e poi decido di partire comunque l’indomani mattina presto per andare a dare un occhiata preparatoria visto che la relazione dei 3000 dolomiti descrive la salita come lunga(12-13h),l’orientamento incerto, la necessità di portarsi la corda per i frequenti passaggi di I° e II° grado o per le calate in doppia, il terreno molto friabile. Punto così la sveglia alle 3 del 22/08/2017 ma poi allungo alle 4 sapendo di non avere la frontale e navigo nella notte oltre le volpi del Falzarego e le luci di Cortina per arrivare alle porte del parco naturale d’Ampezzo oltre Fiames dove perdo 20 minuti nel buio a cercar di decifrare cartelli per capire dove parcheggiare e da dove parte il sentiero ( o la strada) per Malga Ra stua. Poi consultando la carta capisco che li è solo la sede e che devo percorrere ancora qualche km fino al park di S. Uberto dove lascio la C3 (la stradina è sbarrata) e alle 6 comincio la mia avventura nella notte che rischiara, anche se i primi passi nel bosco sono d’inciampo perché lì è ancora pressoché scuro. Montagne nuove nelle forme e nei nomi mi circondano: al piazzale domina la cupola della Cima Pezzories e poi salendo un poco emergono le Tofane, il Valon Bianco, Tae e Taburlo e poi ancora Croda del Becco e Col Becchei livide nella luce fredda del mattino. Quest’ultime cime con bellissime striature rossastre come l’adiacente Croda d’Artruiles. Attraverso un ponticello sopra un rossastro greto secco e dopo circa mezz’ora di cammino m’accorgo di aver lasciato il cell. in macchina: uff quanti inconvenienti! Non mi fermo e camminando continuo a pensare a cosa sia meglio fare: quando poi mi decido per tornare a prenderlo (temo che i miei si preoccupino non sentendomi) son 40 minuti che cammino e non ne ho più voglia. Me la sistemo pensando che è solo un tentativo e che quindi tardi non farò: in effetti sono abbastanza convinto della cosa e magari qualcuno per strada troverò per avvisare. Poco dopo mi rendo conto di non aver portato il casco: quanti segni negativi, ma anche qua decido che valuterò con prudenza il terreno! Comunque alle 6.45 arrivo alla stupenda spianata di Malga Ra Stua con le sue basse costruzioni incastonate in un ambiente boschivo e alpestre di gran pregio. Paline raccontano delle bellezze dei luoghi circostanti e le informazioni molto sommarie che mi da un signore m’inducono a fidarmi piuttosto della relazione e così seguo il cartello che indica F.lla Lerosa. Un camoscio mi fissa incuriosito da un terrazzino nel bosco e poi i prati dell’alpe omonima m’ accolgono nella dorata luce dell’alba: che posto spettacolare tra praterie mucche tofane e la catena della Croda Rossa che fa capolino. Cammino sospeso fra prati e cielo seguendo la stradina che conduce certo in Paradiso in direzione del lontano Cristallo che si disegna all’orizzonte. Arrivo invece pochi minuti dopo in cima al monte Lerosa che altro non è se non il punto più alto (2000mt., h 7.30) dell’immenso prato su cui ormai galleggio da tempo. Un cartello certifica la località. Mi guardo intorno respirando la bellezza e la solitudine speciale di questo luogo: la catena variopinta della Croda Rossa, le Tofane che sbucano con movenze insolite, il Monte Sella di Sennes e la Croda del Becco. Tutto è incantato e io un uomo entusiasta e meravigliato che assorbe l’infinito siderale che si apre sopra questa scenografia incredibile. Dalla carta, capisco di esser un poco fuori rotta e allora per prati sulla sx tendo vs il Cason di Lerosa che raggiungo 10 min. dopo, ora una bella casetta in pietre da poco ristrutturata con gusto. Da qui, relazione alla mano comincerò a perdermi, e ritrovarmi diventerà il leit motif della giornata. Poco dopo il Cason mi perdo prima per prati e poi lungo i successivi ghiaioni che come un rullo trasportatore depositano sassi e ghiaie creando bianche lingue ai confini dei prati dell’alpe sempre caratterizzate dalle striature rosso sangue di questa zona. Girovagando d’intuito su e giù trovo e riperdo qualche traccia finchè alla fine qualche rado ometto mi guida sulla giusta via poco ma comunque evidente, che traversa in leggera ascesa vs sx. E così dopo aver attraversato un rosso canale franoso punto gli erbeggianti colli su cui doveva esserci un tempo il bivacco. Quando termina la pietraia e gli scarponi poggiano sul morbido una sensazione di benessere m’investe forte: il luogo è veramente stupendo, ameno sulla conca verde e sassosa della Val Montesela. Un altro anfiteatro che circonda di magia. Ritrovo il luogo esatto dov’era costruito il bivacco Helbig-Dall’Oglio ( sassi colorati e fondo ancora appiattito) e mi fermo per consultare e contemplare. Sono le 9 di una mattina radiosa e nonostante credo di aver perso almeno 1 ora di tempo l’umore è alto perché almeno ora so dove sono e la direzione pare abbastanza evidente. Davanti a me incide l’anfiteatro l’ evidente forcella che divide la Crodaccia Alta dall’Anticima nord (che non credo di dover raggiungere) segna l’orientamento e io dovrei cercare il canale che sulla dx dovrebbe portare ad un'altra forcella (la relazione è molto particolareggiata ma manca delle linee generali) per ora nascosta. Dietro di me invece la valle si apre verso le Crode del Pomagagnon, il Pezzories, la Croda de R’Ancona e le conosciute Tofane dietro le quali mi salutano le amiche Civetta ,Lastion de Formin e Croda da Lago. E poi a dx il Valon Bianco,le Cime Campestrin, la Croda del Becco e le Cime Lavinores e infine Sass d’la Crusc Cima Nove e Pizzo delle Dieci. Tutto questo tripudio di rocce chiare poggiano sul basamento verde da cui le osservo e sostengono un cielo azzurro immacolato. Che spettacolo! E così quando riparto, commetto l’errore di alzarmi sulle ghiaie di dx anziché traversare la valle in basso per risalire solo poi sul lato dx del canale rosso. Ottengo così il risultato di camminare spesso in traverso e su terreno friabile. Faccio una pausa ristoro e riparto in traverso solcando due grandi canaloni che incontro e per ritrovarmi alla fine a fianco del canalone rosso in direzione dell’evidente conca rossa che devo raggiungere. Dal basso il proseguio oltre la conca, non mi è chiaro. Sono le 10.30 ed è dai pressi del bivacco che non incontro segni od ometti. Risalgo verso l’inizio della conca, preoccupato per aver dimenticato il casco, tenendomi sulla sx dato perche’ sulla dx fischiano sassi che precipitano dall’alto. Stranissimo questo luogo dove il terriccio rosso la fa da padrone e dove tutto sembra inconsistente. Salgo con circospezione, l’udito attento a percepire sibili e quando appare uno sbiadito segno rosso faccio l’ennesimo errore confuso anche dalla relazione che dice di uscire dal canale a sx. Mi par strano perché il terreno è infido e malagevole ma tantè e decido di raggiungere comunque la forcella fra Crodaccia e Anticima. Ci arrivo a mezzogiorno per lastre pericolanti che scivolano via sotto la mia pressione e mi ritrovo su un pulpito nel vuoto; un chiodo piantato nella parete della Crodaccia che s’alza verticale sulla sx, un pendio quasi verticale davanti e le pareti precipiti dell’anticima a dx. Da qui non si va da nessuna parte. Ridiscendo con attenzione e un poco di timore fino alla conca rossa (h 12.40) e mi metto a risalirla verso destra quando finalmente oltrepassata una fascia placcosa che obbliga a qualche passo di II° e leggermente verglassata, (spira un’ aria gelida, ma mi sorprende trovare l’acqua ghiacciata)l’arcano si svela fra sbiaditi segni rossi e un cordino posto sopra un masso sul quale mi sono arrampicato e lì messo per un eventuale doppia. Tutto ad un tratto cominciano ad apparire segni di passaggio e mi conducono verso il camino rossastro manco a dirlo sulla dx che, invisibile da sotto, è il segreto lasciapassare per il forcellino da raggiungere di cui parla la relazione in mio possesso. Qualche cordino aiuta nella risalita più impegnativa che difficile per via del terreno friabile e poi il camino si presenta angusto ma di buona roccia con qualche passaggio ma mai continuo di II° grado fino a che appaiono ghiaccio e ghiaccioli e allora la salita diventa delicata. Con un poco di attenzione riesco a forzare i passaggi e finalmente alle 13.40 sbuco dopo tanto gelo nel sole della forcella a q.ta 2960. Pensavo salendo che avrei trovato in forcella anche il sentiero “dell’altra via normale” ma quando ci arrivo la vista del primo ometto che dà quasi sul vuoto m’impedisce di prendere in considerazione l’ipotesi di una discesa su terreno sconosciuto. Comunque sono felice ora, perché finalmente dopo tante incertezze so dove sono, ma anche un poco intimorito al pensiero di dover fare doppie su ghiaccio con una corda di soli 30 mt: ci sarà da tribolare e rischiare un poco! Prendo la relazione e quando leggo che manca solo 1 ora alla cima l’idea di scendere immediatamente per non far tardi, mi abbandona. Ho ora anche la scusa della sicurezza perché puntando alla cima passerà un poco di tempo e probabilmente il camino si libererà dal ghiaccio. Il tempo è stabile e allora lascio lo zaino in forcella e dopo essermi diretto per errore su una cimetta a dx della forcella, vedo a sx la cresta dell’anticima nord correre in orizzontale contro il cielo blu. Riscendo alla forcella e risalgo il versante opposto trovando provvidenziali strisce rosse che mi guidano su per la parete che si traversa salendo vs dx. E d’improvviso dietro l’ennesima volta rocciosa alle 14.30 appare lei, la Croda Rossa e il suo ultimo castello sommitale del classico colore scarlatto molto più scuro che le più pallide rocce dell’Anticima. Sembra un’altra montagna da scalare ma ormai sono vicino. Innevate Alpi austriache salutano all’orizzonte(Gross Venediger) e io traversando vs dx per crestine, aggirare torrioni da aggirare e scendere, canali da risalire, arrivo in vista delle torrette finali e poi del camino finale ultimo ostacolo prima della calotta: 10 mt di II° grado ma su roccia solida e poi finalmente l’accogliente e insospettabilmente spazioso pianoro sommitale.Mi volto a rimirare le creste frastagliate percorse per arrivare fin qui e che hanno un sussulto verticale nell’Anticima Nord e poi esattamente alle 15 approdo sul terrazzo finale che si eleva ancora un poco verso la croce che sta dall’altra parte discosta e solitaria. La macchinetta fotografica inizia a rullare scatti a 360° nella fretta di cominciare subito la discesa. La Croda Rossa è una montagna abbastanza isolata e tutte le altre cime sono abbastanza distanti e quindi il panorama è molto ampio verso le Dolomiti di Sesto: Tre Scarperi, Cima Undici, Croda dei Toni con davanti le Lavaredo e poi Popera Cristallo Sorapiss e i Cadini di San Lucano e il Cimon del Froppa. E poi le Dolomiti amiche dal Pelmo al Civetta alla Marmolada, alle Tofane e Counturines-Lavarella al Boè e al Sassolungo. Sotto di me i prati dell’Alpe Lerosa su cui spicca la Croda de r’Ancona. Qualche foto con la croce di vetta e poi giù che la discesa sarà lunga impegnativa e nel primo tratto anche di non banale orientamento fra i trabocchetti delle torrette finali. Soprattutto temo che a casa si preoccupino non ricevendo telefonate. Alle 16 rivedo il mio zaino seduto in forcella e lo saluto felice come riincontrassi un amico e presa la corda inizio a scendere nel camino a cercare il primo ancoraggio. Con tre doppie di cui una su timido spuntone e corda coperta da sassi arrivo sano e salvo alla fine del camino ancora a tratti ghiacciato dopo 1 oretta passata fra ansie disarrampicatorie. Ora affronto la conca rossa in discesa sperando di non essere ancora sotto la gragnuola dei sassi cadenti come stamattina, ma tra una disarrampicata e l’altra mi trovo fuori dalla zona pericolosa e felice posso ammirare i prati della Val Montesela dove fra poco, al termine degli immensi ghiaioni che dovrò ridiscendere, mi potrò definitivamente rilassare. Davanti a me una bella montagna a coste frastagliate che si chiama Remeda. Scendendo nei pressi del canalone rosso scopro che il sentiero, poco visibile ma esiste, ed è anche segnato con radi ometti che resistono agli smottamenti. Faccio foto verso la zona da dove provengo perché i contrasti cromatici sono incredibili sotto un cielo che più azzurro non si può. La conca rossa sembra un cuore sanguinante nel giallo della parete. Mi butto fra corse e salti e alle 18 tocco i prati in fondo alla valle da cui si ha una particolare visione delle vicine punte del Sasso delle Nove e di quello delle Dieci. Ora dovrò traversarli per raggiungere nuovamente il pianoro erboso dov’era l’ex bivacco; con sorpresa vedo che anche qua i segni ci sono e se anche difficili da trovare mi conducono alla meta mezz’ora dopo. All’andata essendomi alzato non li avevo incrociati: ma da qui deve passare ben poca gente! Faccio gli ultimi scatti macchati da queste fantastiche terre rosse e poi volto le spalle all’incredibile scrigno della Val Montesela e ai suoi tesori che in alto custodisce. È l’ora che si avvia al tramonto e la radente luce che comincia a tender all’arancione m’induce nonostante il ritardo a scattar continuamente foto. Momenti fantastici di purezza estetica: il bello comanda e il cuore si fonde nell’immenso. Fantastiche visioni verso il Civetta la cui parete si vede in diagonale e su tutte le cime che bevono luce: e che fascino da quassù l’Alpe Lerosa verde d’incantesimo. Scendo all’inizio, come fatto all’andata, traversando sopra i ghiaioni , poi quando sono sopra a quello principale mi butto a capofitto finendo alla base a litigare in un intrico di mughi: quando ne esco mi attende improvviso l’eden dell’Alpe Lerosa. Verde intenso, azzurro quasi blu e rocce rossastre inondate di luce arancione m’attendono per attimi che vorrei fossero eterni ma che mi limito a catturare scattando in continuazione. Realizzo foto fra le più belle mai fatte. E poi ancora giù dritto per boschi per risparmiar tempo, fino a quando nel timore di aver sbagliato qualcosa, raggiungo finalmente il sentiero salito la mattina e alle 19.30 vedo la Malga Ra Stua, ma soprattutto un gruppo di esseri umani a cui mi avvicino correndo per chiedere in prestito un cell. Chiamo subito mia moglie perché avvisi i miei che è tutto ok e lei mi dice che mio padre essendo ore che mi cerca senza risposta ha chiamato il soccorso alpino. Riusciamo appena in tempo, richiamando i miei a scongiurare la ricerca del disperso e alle 20.30 passate raggiunta l’auto dopo 15 ore di girovagare avverto i miei che alle 22 sarò a casa. Che giornata! Foto1 la croce e il castello sommitale Foto2 lo zaino al forcellino Foto3 ecco quasi tutto


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