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   cima corte lorenzo, 23/11/2015
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Onicer  oscarrampica   
Gita  cima corte lorenzo
Regione  Piemonte
Partenza  ponte casletto  (500 m)
Quota arrivo  1500 m
Dislivello  1000 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  scarponi
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento La Val Grande e l’omonimo Parco Nazionale sono delimitati a Sud da una lunga catena di montagne che, dopo il tondeggiante e panoramico Faié e fino alla Colma di Premosello, sono accidentate, aspre e selvagge, lambite fino in cresta dalla vegetazione, irte di punte rocciose che precipitano verso incassati valloni con pareti di roccia talvolta molto alte. I punti estremi di questa catena, il Pizzo Proman ad Ovest e la Cima di Corte Lorenzo a Est, sono raggiungibili lungo itinerari segnalati e molto panoramici. Qui presento la salita alla Cima di Corte Lorenzo, la cui “via normale” (che percorrerò al ritorno) costituisce un bell’itinerario di cresta molto panoramico e ricco di contrasti: a Sud si apre la bassa Valle del Toce, percorsa dalla ferrovia e dalla superstrada, costellata di paesini, dominata dalla mole del Monte Rosa e degli altri quattromila del Vallese, aperta più a meridione verso il Lago Maggiore e il Lago d’Orta. A Nord si inabissa la Val Grande, con la sua lussureggiante vegetazione, il torrente, il silenzio, la solitudine, i profili del Pedum, del Togano, del Proman e del Lesino. Sfumato , come per tutto l’autunno, l’ultimo tentativo di andare a fare il viaz dei camorz, con davide ci dirigiamo il 20 novembre 2015, verso le terre parimenti selvagge della Valgrande dove mi piacerebbe un giorno compiere la Traversata integrale delle sue creste. Usciti dall’autostrada A26, procediamo in direzione di Verbania fino a Fondotoce e da qui, seguendo le indicazioni, si prosegue per San Bernardino Verbano dove prendiamo la stradina che angusta sale verso Cicogna e poco prima della galleria del Ponte Casletto, parcheggiamo. Parecchie lapidi e targhe ricordano gli eccidi nazisti e la resistenza partigiana in questo punto. Dal ponte alle 8.30, lasciamo la rotabile e superati i soliti vecchi cartelli di divieto c’inoltriamo a sinistra sul sentiero cengia sopra il Rio Valgrande che ci dà qualche problema a causa del bagnato costante che rende viscido e insidioso il sentiero ricoperto di fogliame e ancor più i frequenti traversini rocciosi seppur ormai fin troppo messi in sicurezza dalle molte catene che imbavagliano non poco l’antico sentore di wilderness che quivi si respirava. E’ una giornata un poco bigia e gli scorci sul fiume sempreverde senza luce sono un poco meno spettacolari e anche il livello dell’acqua è un poco basso. Alle 9.45 facciamo tappa al romano e bellissimo Ponte di velina e poi proseguiamo sul sentiero normale verso Orfalecchio con l’intenzione di provare a ripercorrere da li il fantomatico sentiero della teleferica di cui parlano alcuni report su internet. Passiamo la placca attrezzata con passaggio sotto il tetto, salutiamo un’arzilla salamandra e circa mezz’ora dopo il ponte c’imbattiamo a sorpresa in un segnavia biancorosso che fotografo perché mai ne avevo visto uno da queste parti e rimettendo via la macchina mi accorgo che i segni proseguono in alto. Consulto con Davide che pur di evitare il ponticello sospeso sul vuoto con cui mi divertivo a preoccuparlo preferirebbe salire…acconsento anche perché l’avevo già cercata la volta scorsa la partenza del sentiero poco prima di Orfalecchio e non l’avevo trovata. Aumentano poi con questa scelta le possibilità di arrivare sulla cresta che porta verso il Corte Lorenzo che mi piacerebbe salire anche per dare un’occhiata alla partenza della famigerata traversata dei Corni di Nibbio. Sono le 10.30 e ci inoltriamo su per il bosco fitto, impervio, ma sempre ben segnato. Un’ora e 20 dopo un bel boschetto di betulle e la vista sull’irsuta cresta est del Corte Lorenzo, davanti al Lesino, anticipano l’uscita sul beato praticello, incredibilmente verde nel mezzo del giallo ovunque autunnale, di Corte Buè (q.890). Tutto realizzato in pietra a secco sembra un museo a cielo aperto: non sorprenderebbe vedere uscire da queste casupole un uomo dei tempi che furono tanta è la sensazione di esser noi fuori dal tempo, ospiti di un’altra dimensione. Che luogo fantastico, ameno, che invito alla pausa e riflessione in questo incredibile balcone naturale con vista sul cuore della riserva naturale integrale della Valgrande rappresentato dalla cima Pedum cui fa da contrafforte la cima Sasso e ancor più a destra il Pizzo Zeda. Una grande e rudimentale sedia è stata costruita come belvedere sulla valle affacciata dove spicca il villaggio di Velina Superiore altro villaggio dimenticato dagli uomini ma non dalla montagna che lo custodisce gelosamente dagli affronti del tempo come vestigia dei tempi eroici in cui gli uomini coltivavano questi radi campi e lavoravano nei fitti boschi per farne legname. Alla fine del paesiello un capitello sta davanti ad una traccia di sentiero e la vista dall’alto sul borgo è veramente commovente: sembra uno di quegli anziani che respiran piano per non disturbare. Tutto parla in silenzio. Ci alziamo nel bosco incontrando un bellissimo crocefisso di epoca più recente,smarrendo la traccia e trovando una bella baita solitaria che anticipa il crocicchio delle raccolte abitazioni di Buè superiore( h 12.30). Forse siamo ancora giusti allora, ma viandanti qua non ne circolan più. Le tracce conducono ad una baita isolata col tetto sepolto dalle foglie di faggi che a tratti alte mezzo metro ci costringono a viaggiare come rompighiaccio nel mar Artico e coprono sentieri già coperti dal tempo. Una traccia sfugge verso il basso, forse diretta alla Colma di Vercio ma noi saliamo con l’obiettivo di raggiungere la cresta per poi puntare verso la nostra montagna. I segni spariscono quasi subito insieme alla traccia che si smarrisce nel fogliame..l’ambiente desolante e cupo manda un poco in crisi il buon davide che rimpiange della roccia sulla quale preferirebbe cimentarsi, o perlomeno del terreno solido. Qui scivola tutto ma non capisco bene il mio socio che pare molto abituato agli sfasciumi orobici..forse non si sente a casa. Troviamo in diverse occasioni i blocchi di cemento che facevano da basamento alla teleferica…ma di sentieri nessuna traccia…talvolta qualche ometto isolato a togliere un po’ d’angoscia ma privo di senso nel suo isolamento. Percorriamo un macereto di grossi massi ma solo per guardar giù da un precipizio, vedere il solco profondo della Val Grande e renderci conto che la cresta dove speravamo di esser già arrivati, corre in realtà più in alto. Verso le 14 noto una grande macchia bianca nella parete lontana alla nostra dx e che ricordo era orientamento per il sentiero che avremmo dovuto fare..e che ora non serve a granchè. Mezz’oretta dopo un piccolo muretto a secco che soprannomino del pianto… di Davide che non ne può più. Continuiamo a salire e catturo una bella immagine del Pedum fasciato in cinta dalle nubi e poi quando il sole sparisce dietro la cresta, ci accorgiamo che ormai è poco sopra di noi che il nostro peregrinare verticale a zonzo per il bosco sta per finire e ritroveremo serenità ed orientamento e glielo posso gridare. Con forza e ritrovata energia affronto gli ultimi passi per ergermi sul crinale superando alcune roccette. Guardo la cresta sinuosa scendere verso le gobbe boschive del Fajè e della Colma di Vercio e aspetto l’arrivo di Davide. Decidiamo di dividerci visto che sono quasi le 15 ed è tardi per la stagione: io correrò verso la cima e lui inizierà la discesa lungo il sentiero di cresta per provare ad anticipare un poco il buio che sicuramente ci coglierà sulla via del ritorno. Lascio lo zainetto e inizio a correre felice lungo il buon sentiero di cresta con qualche saliscendi e raggiungo la cima con ometto in pietra del Carbunisc (q.1480,h 15.10) da cui emerge dietro l’aggrovigliata struttura del Corte Lorenzo e la cresta che devo seguire per raggiungerla. Mi abbasso su terreno ripido lungo l’opposto versante seguendo un evidente sentierino in qualche punto esposto (un passaggio roccioso è attrezzato con una catena) giungendo così sull’esposta cresta del Sassarutt. Supero alcuni grossi massi sul filo di cresta (catene) arrivando all’inizio di una facile crestina di erba e roccette fino a scendere all’inizio della caratteristica dorsale prativa della Pasquetta (curioso pinnacolo roccioso) di cui, tenendosi vicino al filo di cresta, si raggiunge l’apice (1550 m). Vista da qui la parete nord del Lorenzo fa paura, un autentico precipizio che sembra avvertire dei misteriosi territori che si aprono alle sue spalle. Mi abbasso quindi al colletto che le separa : sono 25 metri abbastanza esposti, con qualche breve passo roccioso attrezzato con catene. Dal colletto si traversa verso Sud una placca rocciosa inclinata ed esposta. Appigli e appoggi non mancano (I grado), comunque tutto il passaggio è attrezzato con una catena. Terminata la placca riprendo a salire (catena), altro passaggio roccioso (breve ma esposto) attrezzato con un’ultima catena e poco più avanti arrivo in cima, dove si trova una piccola croce e il libro di vetta (m 1574, h 15.40). Un timido sole novembrino si ripara dietro velature e manda una pallida luce crepuscolare. Lancio uno sguardo da sogno al groviglio delle creste rocciose dei Corni di Nibbio che cominciano dopo la discesa dalla cima su cui mitrovo e che stanno a scaldarsi agli ultimi raggi di sole. Autoscatto reportage fotografico sui tratti di cresta seguenti, soggettiva alla luna che s’è alzata in cielo oltre l’ometto di vetta e m’immergo nel panorama. I laghi Maggiore e di Mergozzo,la valle del Toce e dell’Autostrada, il Proman che chiude la traversata che sogno di realizzare, a destra il togano e poi la montagna simbolo di queste terre disperse e misteriose: il Pedum. E poi la lunga cresta fino al Pizzo Zeda e la luce che scende ad ogni minuto che passa. Sono solitario su questa cima a godermi il sole arancione giocare a nascondino con le nubi e a studiare ammirato la complessa intrigante e barocca architettura delle infinite torri e merletti delle creste del nibbio slanciarsi in direzione del torrione di bettola e poi del lesino e del proman.…ma si può fare!! Riprendo a correre a ritroso per non far aspettare troppo Davide e alle 16.30 son di ritorno dove avevo lasciato lo zainetto. La sera scende dolce e veloce come una preghiera detta di fretta e copre di porpora i colli verdi del giorno, vedo un grosso camoscio nel bosco e alle 17 mi ricongiungo nel bosco con Davide e poco dopo le nostre frontali illuminano i muraglioni costruiti alla Colma del Vercio. Oltre il vuoto e il buio le luci della Val d’ossola ci mandano un poco del loro calore. Nella notte ormai calata, fatichiamo un poco quando non siamo guidati dai segnavia a indovinare il sentiero nascosto dalle foglie ma passiamo comunque come previsto dall’Alpe Pianezza( q.1300,h 17.30), poi all’alpe Caseracce e cominciamo ad incontrare le tavole illustrate del Parco Valgrande e tanti cartelli che nel buio luccicano come catarifrangenti indicandoci il ritorno alla civiltà. Passiamo l’Alpe Ompio e infine 10 minuti dopo il Rifugio Fantoli e finalmente tocchiamo l’asfalto all’Alpe Ruspesso (q.1000) altri 10 minuti dopo. Ora inizia il dramma perché ci attendono ora circa 15-20 km (3 ore di cammino circa) di asfalto per andare a recuperare l’auto scendendo prima fino a Santino e poi in salita fino al Ponte Casletto. Camminando, penso che al primo paese (Santino dopo 8 km ) entrerò in un bar e pagherò qualcuno per portarci all’auto e un poco il pensiero mi consola dal rimbalzo continuo degli scarponi sul duro asfalto. Dopo un’oretta circa di estenuanti tornanti, il buio della notte è rotto dalla luce tremolante di un lampione , poi qualche casa buia coi lavori in corso e infine il miraggio di una porta a vetri che rivela la cena di una coppia. Colgono quasi subito i miei segnali con la frontale e scusandomi per l’irruzione spiego loro i nostri problemi. Ci invitano in casa, ci dissetano, ci rifocillano (anche con incredibili cassoli freschissimi giunti la mattina stessa dalla Sicilia) e poi il mitico Ivan Crosta panettiere in quel di Intra ci porta senza voler alcuna ricompensa all’auto che tanto doveva uscire comunque per iniziare la panificazione. Che culo!! Degna e fortunata conclusione di una giornata all’insegna del silenzio e della contemplazione della Natura ma sigillata dalla gentilezza e bontà di un uomo. Grazie davide…ma soprattutto grazie Ivan. Foto1 Corte Lorenzo Foto2 io in cima Foto3 I Corni del Nibbio
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