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   FinalmenTalvena, 07/01/2025
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Onicer  oscarrampica   
Gita  FinalmenTalvena
Regione  Veneto
Partenza  pian de la Fopa  (1200 m)
Quota arrivo  2540 m
Dislivello  2000 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  inv. Pramperet
Attrezzatura consigliata  nda
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Sono arrivato ieri a Caprile e da subito l’obiettivo era alzarsi presto l’indomani per salire finalmente sul Talvena tentato l’anno scorso sia a primavera ( non trovata traccia per il Van de I Erbandoi che ho scoperto poi di aver superato) che in dicembre quando è stata la neve a fermarmi ancor prima di raggiungere la Portèla del Piazedel. Ma è un periodo particolare e più volte nella notte mi alzo e poi ritorno sotto la coltre calda di coperte. Poi la mattina del 19/11/2024, mi obbligo a prepararmi e prendendo la via della Val di Zoldo, mi fermo solo per un imperdibile foto scendendo dal Passo di Staulanza del Civetta da Sud che incorniciato dai larici appare di una struggente bellezza. Pochi minuti prima delle 9.30 lascio la Multipla parcheggiata al solito Pian de la Fopa(q. 1210) e mi avvio sulla rotabile che risale la Val Pramper. Fotografo una fetta di larice gigantesco che come dicono le etichette attaccate ai suoi anelli cronologici, ha resistito alle due guerre mondiali, all’alluvione del 1966 ma si è schiantato nel 2018 in seguito alla Tempesta Vaja di cui vedo ancora i segni in un prato di larici abbattuti poco prima di traversare il Pian de I Palui (q.1480, h 10). Un quarto d’ora dopo saluto la Casera di Pramper e tra le varie strade carrozzabili mi perdo sul greto di un torrente che seguo fin quando la traccia incerta è inghiottita fra i sassi e allora mi butto in risalita nel bosco di sinistra fino ad intercettare nuovamente il sentiero per il Rif. Sommavilla. Poco prima ritrovo il bivio che l’anno scorso nella neve più alta mi aveva fatto perder tempo anche per le frecce disposte non chiaramente e lo assecondo con sicurezza dirigendomi verso l’insellatura fra le Balanzole a dx e la Cima di Zita Nord a sx. Supero il bivio per F.lla Moschesin e amiro dall’alto il solco della Val Costa dei Nass, l’anno scorso percorsa. Ora la traccia è sgombra di neve e mi muovo decisamente più veloce col Duranno che saluta oltre la coppia Pramper-Pramperet. Rivedo dal punto massimo raggiunto l’annoscorso il canale da risalire per raggiungere la Portèla del Piazedel (q.2100), dove arrivo a mezzogiorno e finalmente vedo dall’altra parte le grandi spianate rocciose dei Piazedei. Un’altopiano per alcuni versi simile a quello del Van delle Sasse in Civetta , con la vista che si allunga verso il gruppo dell’Agner. Solo i segni di vernice permettono l’orientamento su queste bancate e lastronate che traverso quasi orizzontalmente finchè raggiunto un promontorio più elevato, la vista si apre finalmente sul Talvena e sulla Cima della Giazza. Ora per pendii erbosi traverso in quota vs la Cima de Zità sud passando sotto un vallone sassoso che sale ad una forcella fra Zita Sud e di Mezzo (forse f.lla Zita sud). Continuando a traversare orizzontalmente improvvisamente e con emozione vedo davanti a me il dolce ed erboso valico del Van de I Erbandoi. Che bello quando questi luoghi dai nomi affascinanti e tanto sognati escono dal mondo dei sogni e si materializzano davanti ai nostri occhi. Proseguo per tracce fino a quando svolto oltre uno spigoletto erboso ed il sentiero diventa una traccia esile ed abbastanza esposta più fotografica che difficile anche se un punto di traverso quasi nel vuoto è attrezzato con un cordino non totalmente assicurato alle pareti scalinate e quindi da afferrare con accortezza e attenzione. Uscito dal tratto esposto un ripido prato da risalire mi porta nei prezzi di un cocuzzolo che si oppone fra me e il Van e che preferisco superare aggirandolo a sx. E così dopo breve risalita del versante opposto alle 13 mi ritrovo nell’erba spettinata dal freddo e forte vento che scuote l’idilliaco Van de I Erbandoi (q.2325). Imponenti tozze e massicce le onde di pietra che costituiscono l’imponente Cima Zita Sud proprio sopra di me. Un asse in legno modellata dai tempi segna il valico certo non frequentatissimo. Osservo il vallone franoso dal quale dovrò poi scendere perdersi fino al fondo della Val Clusa di cui non vedo la forra ma solo ne intuisco il vuoto. Poi lasciato lozainetto a vegliar sul valico volto le spalle alla Cima Zita Sud e comincio a seguire la traccia che per avvallamenti erbosi prima, si va dopo a saldare più o meno alla cresta rocciosa che sale verso la cima del Talvena percorrendola per alcuni tratti e per altri sotto crinale a sx. salendo il panorama si amplia e mi fermo a fotografare la parete percorsa dalla cengia che da questa prospettiva appare non fattibile ma come spesso accade la visione frontale schiaccia e non permette di intuire le orizzontali linee di passaggio che invece sanno riconoscere gli occhi abituati alle letture selvatiche ed istintive dei camosci..o dei loro cacciatori. Genesi dei Viaz. Alle 13.30 sono finalmente in vetta al Talvena (q. 2540) sorpreso dai nascosti rocciosi versanti appena saliti e si stendono sotto i miei piedi i bei prati sommitali dei versanti sud che ero abituato a vedere. Che spettacolo verso il piano a sud e le Dolomiti più alte a nord. Panorama incredibile ed istruttivo a 360°. Guardo i prati fulvi scendere in direzione degli enormi massicci rocciosi del Pelf e dello Schiara ultimi contrafforti prima della pianura. Si vede anche l’ago della Gusela su cui zoomo per scoprire dietro le antenne del Col Visentin e poi il Burel e le Pale alte e Bassa che ogni volta che le vedo mi piange il cuore di gioia pensando ai giorni magici del Viaz che terminanarono sull’evidente Coro cui lo Schiara si salda attraverso le creste delle Pale Magre e del Castellaz. Fotografo le Pale insieme al coro: inizio e fine del’infinito semicerchio del Viaz dei Camorz e dei Camorzieri. Oltre gli Sfornioi e il Bosconero salutano le vette friulane guidate da Mastro Duranno. Da quassù domino il Van de I Erbandoi dietro cui si spiegano le Tre Cime di Zita affiancate a sinistra dalla quinta rocciosa delle Preson. Oltre impazzano le Dolomiti solo precedute da Cadin di Cornia e Nono: Prampèr e spiz di Mezzodì e poi Cristallo, Sorapiss, Antelao e Cimon del Froppa. E virando a sx Pelmo, Tofane,Tamer, Moschesin, Civette e Moiazze e poi Marmolada e Pale di San Lucano, di San Martino e l’infinito gruppo dell’Agner fino al becco del Sass Maor. E ancora l’isolato gruppo dei Monti del Sole, la triade del Sass de Mura e il solco della Val Cordevole che scorre al piano. E poi gioco a zoomare in questo crogiuolo infinito di cime principali e minori che davanti a me si dispiega. E scopro la magnifica pinna di squalo del Bus del Diaol emergere dal mare dei Monti del sole e il Monte Coglians che appare lontano oltre le appuntate torri del Cridola. I grandi prati dei Cantoni di pelsa da cui si elevano le Torri del Camp e la triade che da sempre mi attira composta da Lastia, Mont Alt e Corno del Framont. Mi scatto un selfie e scendo tornando per le 14 al Van dove raccolto lo zainetto mi butto a saltoni nell’infinito vallone di fine pietrisco che bruscamente divalla dopo un breve inizio erboso e terroso. A destra le verticali pareti delle crode e cime del Barancion segnano il confine. Mi butto verso sx a cercar di raggiungere una traccia segnalata da un magro accumulo nevoso,che non capisco sia animale o il sentiero ma che è l’unica linea nel mare di pietra. Il Van si allontana e diventa rapidamente più piccolo e io mi volto per non perdere l’opportunità dell’ultimo saluto. Arrivo così al promontorio oltre il quale la costa nuovamente precipita e che era invisibile da sopra. Improvvisamente la strada non più segnata sbarrata da fitti mughi nei quali mi addentro sperando di uscirne al più presto ma che diventano ben presto invalicabili: sono bloccato nel tentativo di discesa e non mi resta purtroppo che provare a risalre fin quando a destra mi sembra d’intravedere una zona libera dai mughi. Dopo 10 minuti di faticosa e trasversale risalita esco dalla trappola verde e tiro un sospiro di sollievo: ancora a destra mi sembra di vedere un canale provvidenzialmente libero dalla verde e serrata vegetazione. Alle 15.15 lo raggiungo e vedo la linea di discesa sgombra e pronta ad accogliermi. Sembra semplice ma è chiaro che è terreno sconosciuto da intuire, da qui non ci passano dieci persone in un anno. Mi ci butto felice, in buona pendenza dovrei ora scendere in fretta e recuperare il tempo perduto perché pensavo di metterci meno a scendere…ed è certo ormai che mi troverò prima o poi al buio accompagnato come sempre dalla mia fedele compagna frontale, l’unica a farmi compagnia quando calano le tenebre. Scendo dal canalone scegliendo la parte più logica, ma non sembra proprio ci sia traccia nonostante gli occhi rasentino il terreno alla ricerca. Poi nell’azzurro del cielo che si è fatto sempre più blu svetta la Torre di Barancioni e io continuo a scendere nel canalone che sembra il greto secco di un torrente. Mi ritrovo poi improvvisamente alto su una crestina ai lati precipite ma assecondandone il dorso riesco poco dopo indovinando il passaggio a ridiscendere al livello del terreno. Costruisco un ometto perché per chi sale è impossibile intuire il passaggio. Questo punto mi conferma che da qui nn passa più nessuno: solo alpinisti esplorativi sulle tracce dei vecchi passaggi. Disarrampico un altro semplice saltello roccioso, il canale si restringe, entro nel sole radioso del pomeriggio e scendo un’altra paretina laterale. Un tornante sinuoso vs sinistra del mio alveo mi fa sperare che sia la svolta finale ma poi mi rendo conto di essere ancora ben alto rispetto al fosso della Val Clusa. Disarrampico l’ennesimo semplice saltello roccioso e riguardandolo mi trovo a contemplare i meravigliosi colori autunnali di questo pomeriggio invernale dove i toni caldi dei larici e delle erbe gialle e marroni si stagliano nel blu profondo del cielo, a contenere il bianco calcare delle rocce che splendono di tanta meraviglia. Alle 16 improvvisamente il canale si restringe, diventa roccioso e l’acqua al suo interno è raccolta in pozze ghiacciate. Mi diverto a disarrampicare e ad evitarle ma poi la situazione si complica e diventa pericolosa diventando il canale ripido e tendente ai salti finali. Sono allora obbligato a spostarmi a destra su promontori erbosi e puntare al versante opposto che appare boscoso. Ora non manca molto al fondo della Val Clusa ma è la pendenza molto sostenuta del bosco a impensierirmi e il timore di trovare qualche salto verticale dato che ora sono certamente fuori via. Fortunatamente zigzagando il fondo del bosco si fa più appoggiato e ormai mi sento quasi arrivato quando atterro su una bella traccia che seguo in discesa salvo fermarmi dopo pochi passi. Riconosco il posto dove passai l’anno scorso e mi rendo conto allora che devo invertire il senso di marcia e salire lungo il bosco lateralmente al fondo della valle e così facendo con qualche dubbio, arrivo finalmente all’indicazione casera Terza di Val Clusa già raggiunta l’anno prima (q.1460, h 16.40). Prendo a salire verso F.lla Scalabras e mi fermo a fotografare le belle e squadrate pareti della Cima e del Torrione dei Barancioni che offono agli ultimi raggi caldi di sole i loro calcari. Dividono esattamente il vallone che ho appena percorso in discesa (e in cui si vede netto il solco del canale percorso) da quello che l’anno scorso per errore tentai di risalire. Dietro al primo, a dx, fanno bella mostra le Cime di Talvena, della Giazza e del Zest di Vescovà mentre il secondo, a sx, è chiuso dalle creste delle Balanzole fino ad arrivare alla Portela del Piazedel. Completata l’esplorazione e la comprensione orografica del gruppo. Le luci si spengono e i colori pastello della sera ammantano di dolcezza la visione. Ora si vede benissimo il valico del Van de I Erbandoi e la linea di discesa prima per valloni pietrosi e poi per il provvidenziale canalone dopo aver traversato la mugaia. Alle 17.30 raggiungo il poggio di F.lla Scalabras (q.1810) da dove l’anno scorso seguii i cartelli che portavano alle creste del Vallaraz, ora invece viro a dx seguendo la traccia che percorre il crinale in direzione di Casera prima e F.lla Moschesin poi come da carta Tabacco anche se un cartello non c’è. Dieci minuti dopo fotografo le ultime strisce arancioni ,con cui il sole saluta, dipingere lo sfondo dell’Agner e delle Pale, poi è quasi subito buio. La traccia buona segue un fantomatico sentiero dei Capitani mentre la mia si perde più in basso non lontano da una baita che non raggiungo perché sono gli ultimi istanti di poca luce e nn voglio perdermi ora. Invece succede perché la traccia si dissolve davanti a me e devo accendere la frontale nel folto del bosco. Ritorno all’ultimo segno ma ancora non riesco a seguirla e allora comincio a muovermi ad intuito ma non la ritrovo. Cercando di tornare all’ultimo segno, ne ritrovo un altro ma anche da qui mi riperdo e allora provo ad accendere l’applicazione garmin che mi dice che son vicino al sentiero un poco sopra. Scendo per un imbuto sperando d’incrociarlo ma devo risalire perché nn può essere di qua. Si fa strada in me il pensiero di passare la notte nel bosco perché probabilmente qui la traccia è precaria e soprattutto non so dove sia. Cerco di ritornare ancora all’ultimo segno e ne trovo invece un’ altro. Che culo! Cerco di sfruttare la chance offertami e stavolta individuo una piccola traccia nell’erba che a malapena ma riesco a seguire. Prosegue incerta per un poco costringendomi ad una spasmodica attenzione, poi pian piano sembra prender più corpo e inizio a rilassarmi un poco ma viaggio sempre nel timore che possa tornare a scomparire. Poi diventa sentiero vero e proprio e penso fra me che è fatta anche stavolta anche se la salvezza sarà quando troverò un cartello che certificherà dove mi trovo perché non ne ho più visto uno. E cammino e cammino nel buio tornando a scendere ed insospettirmi finchè alle 18.35 il fascio della mia frontale illumina un palo con tanti detti: forse ci siamo! Che gioia e che sollievo leggere il primo recitare F.lla Moschesi, Alta Via n° 1 e fare i primi passi sul largo visibile e ben mantenuto sentiero reso ancor più visibile da pochi centimetri di neve. Ma anche ora riprendo a salire di buon passo, e sperando di arrivare più velocemente ma invece è solo mezz’ora dopo che il fascio della mia frontale illumina i mattoni del forte militare che occupa l’ampia forcella del Moschesin a quota 1940. Bon, ora si dovrebbe solo scendere e senza problemi di orientamento! Scendo ora rincuorato nella notte buia gelida e silente…ma anche accogliente con la sua pace magica e fatata interrotta solo dal suono dei miei passi e del mio respiro. Il passaggio al Pian de I Palui anticipa soltanto l’arrivo al pian de la Fopa dove alle 20.50 terminano le mie fatiche. Che bella sei montagna, come mi riporti sempre alla gioia. Grazie a chi ti ha creato.
Foto1 tratto esposto vs il Van Foto 2 Il Van de I Erbandoi Foto3 la linea di discesa dal Van

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