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   Translagorai: the final, 03/08/2023
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Onicer  oscarrampica   
Gita  Translagorai: the final
Regione  Trentino Alto Adige
Partenza  Rif. Refavaie  (1100 m)
Quota arrivo  2750 m
Dislivello  2500 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  vari bivacchi
Attrezzatura consigliata  nde
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Fil mi convoca per terminare il progetto Translagorai iniziato due anni fa e terminato al Passo Sadole per la defezione causa epistassi di mio figlio Giona che ora sta in Africa e che comunque non aveva manifestato eccessivo entusiasmo verso il completamento del tragitto. E così complice questo periodo di libertà dagli impegni famigliari (Greg se n’è andato e trte figli su 4 sono in missione…) dopo il turno del pomeriggio, ho la macchina già carica del materiale necessario e alle 22.30 del 21/07/2023 lascio Codogno e la Padania direzione Zortea dove la famiglia del socio, appena 18enne, ha uno stupendo baitino dotato dei comfort essenziali. Lavori, code, deviazioni e arrivo solo alle 2.15. Un quarto d’ora dopo sono sopra il letto preparato e sotto una coperta per dormire le poche ore che ho deciso di concedermi. Alle 5.30 suona la sveglia e pimpanti facciamo una buona colazione con caffè abbondante. Alle 6.45 dopo aver nascosto le chiavi della mia Peugeot, lasciamo il park davanti al Rif. Refavaie (q.1100) e ci incamminiamo per ampia carrozzabile che sale nei boschi della Val Vanoi. Quando il bosco si apre un poco ci troviamo di fronte il massiccio di Cima d’Asta con la sua nutrita schiera di punte e cime varie fra cui spiccano Cima Diavoli e il Col del Vento. Dopo un’oretta passiamo da Malga Laghetti e poco dopo abbandoniamo la carrozzabile per prendere il sentiero segnalato vs il Lago Nero che s’inoltra nel bosco e dopo un dubbio e non segnalato bivio va a morire nelle erbe alte attorno al bel laghetto. Dopo esserci urticati abbondantemente le gambe scoperte, ritorniamo sui nostri passi per la seconda passata e recuperiamo infine la carrozzabile. Iniziamo a vedere gialletti ovunque e alla fine concludo di averne visti in poche ore più di quanti ne abbia mai raccolti in tutta la mia vita. Per bosco e radure saliamo verso la Busa di Sadole osservati dall’alto dal pinnacolo slanciato verso il cielo del Piccolo Cauriol. Raggiungiamo la Busa(q.1915) alle 9 e per ultimo strappo il Passo di Sadole( q.2145) un quarto d’ora dopo. Pausa, memorie …siamo di nuovo dove volevamo arrivare ed eravamo giunti due anni fa dopo tre giorni di marcia carichi come i muli provenienti dalla Valle dei Mocheni. Ricordo con dolcezza la crisi di Giona e poi la fuga inseguiti dal temporale che ci raggiunse prima e durante il nostro soggiorno a Malga Sadole nel fienile. Ma ora dopo un piccolo spuntino è ora di guardare al futuro e rimetter passi su quel tratto di sentiero dopo pochi metri rimasto inviolato. Poco dopo troviamo il sentiero che scarta a sx sul pendio e punta alla cima del Cauriol salendo deciso per ripide erbe dove Fil esprime la potenza fisica dei suoi diciottanni passando sotto la bella pala del piccolo Cauriol che fotografo nel suo divenire. Entriamo in una valletta che brilla di verde brillante con i fili d’erba trasformati in luccichii che tutto inondano di luce. Mentre io ammiro, Fil è diventato un puntino lontano lanciato verso la sella che verde attende custodita da bellissimi pinnacoli rocciosi che sembran guardie a presidio. La raggiungo in un tripudio di nuvolette bianche che danzan nel cielo azzurro poco prima delle 10. Fotografo la vallata coperta di detriti da cui siamo saliti, un bel fiore di genziana maggiore, le creste articolate e frammentate del Piccolo Cauriol, i pali divelti della sella, il panorama che abbraccia Latemar, Catinaccio e Sassolungo e infine la mole del cauriol che ci attende vicina ed innocua e verso cui muoviamo. In un quarto d’ora raggiungiamo la bella croce lignea (q. 2500) piantata nell’immancabile cumulo di sassi della cima. Ora ci attende la discesa descritta un poco sommariamente nella relazione che ci propone di scendere direttamente seguendo trincee e camminamenti militari marcati da segni e paline tricolori e che dovrebbe portarci ad incrociare nuovamente il sentiero proveniente da Passo Sadole (abbandonato per salire in cima) e che porta alla Forcella e all’omonimo Bivacco di Coldosè, risparmiandoci di riscendere da dove siamo saliti. Un tizio che sopraggiunge ci dice che dobbiamo perdere 400/550 m. di dislivello e che non finisce mai per arrivare al bivacco. Ma bollo come eccessive le sue parole. In effetti il pendio è ripido e detritico e non è facile seguire la traccia ma segni e poi paline aiutano nel difficile orientamento sul terreno infido e scomodo. A volte perdiamo la retta via ma alfine la ritroviamo con un poco di traversi e pazienza. Mazzi di Astri alpini colorano di gioia il nostro incedere. Poi il terreno migliora e diventa più morbido e boscoso: quello che non cambia è che continuiamo a scendere ben oltre la soglia dei 2000 m. che era la quota alla quale pensavo d’incrociare il sentiero. In un bel bosco di abeti, giungiamo all’ex cimitero (q.1930, h 11.30) e poco dopo ai ruderi dell’ex posto di Comando italiano. Sempre in lieve discesa attraversiamo ora aperti pendii di erbe alte e rientriamo in un bosco di incredibili e stupendi abeti alti una quarantina di metri e dalla chioma verde chiara e luminosissima. Troviamo un cartello che ci indica mezz’ora a Coldosè di Dentro e irritati continuiamo a perdere quota sapendo che poi dovremo risalirla tutta. Il tipo in Cima al Cauriol, aveva perfettamente ragione! Ancora spazi aperti di erbe in cui ci muoviamo aprendoci il varco con le braccia e pendii disboscati di scheletrite piante vecchie dai resti ormai schiariti da fulmini e sole e poi per contrasto subito dopo un fitto e scuro bosco dove la luce penetra a tratti colorando di sole un verde così acceso da sembrare fosforescente e che mi regala scatti bellissimi. Arriviamo 10 minuti prima delle 13 sui prati di Coldosè di Dentro e incrociamo cinque ragazzi con grandi zaini che accelerando supero. Tengono duro dietro di noi e spiego il piano a Fil: farò come Kuss al Tour imponendo un ritmo alto per preparare lo scatto del capitano perché dobbiamo arrivare al bivacco (presumibilmente pieno, assolutamente prima di loro!). Fil mi segue ma i ragazzi dietro su un tratto ripido cedono pian piano terreno e diventiamo sicuri della vittoria. Entriamo così nella valletta erbosa che accoglie l’ampio spazio della forcella e il sottostante bivacco ormai in vista. Fil non ce la fa più a star dietro ed allunga nel bel pascolo fra acque e cavalli. Di buon passo raggiungiamo il bivacco alle 14 e occupati subito due posti liberi nella cuccetta superiore sottotetto facciamo amicizia con una coppia intenta alla preparazione di risotto coi finferli per la cena serale. Fil li aiuta a pulire i funghi mentre io salgo a provar di recuperare un’oretta di sonno perché il nostro piano prevede di lasciar sfogare il preannunciato temporale pomeridiano che dovrebbe arrivare attorno alle 16 e poi proseguire la nostra corsa. Dormo a tratti per un’oretta e quando ridiscendo il tempo è ancora incerto e titubante come noi e nel frattempo i ragazzi di verona che abbiamo preceduto hanno costruto il loro campo base all’esterno della costruzione in legno e tirato fuori ogni bene di conforto legale e meno. Poi fa due gocce di pioggia e torna il sole ma sembra troppo tardi per rimettersi in marcia anche perché ci giungon voci che anche il prossimo bivacco è zeppo. Faccio un salto in forcella per fotografare il bel Lago delle trote sulle cui rive trovo un‘ogiva di bomba e il fresco della sera che arriva mi mette voglia di ripartire ma poi studiando il percorso vedo che per arrivare in tempo utile al riparo dovremmo saltare l’ascesa a Cima Cece e quindi accantoniamo l’idea di spostarci e scherzando e condividendo coi ragazzi di Verona, tra una risata e l’altra tiriamo l’ora che non arriva mai in cui Mastro Canavacciuolo spadella il riso coi finferli. Alle 9 ci tiriamo in branda preceduti solo dai due collassati veronesi e inizia la lotta con il caldo perché sono vicino alla canna della stufa e perché il bivacco pian piano si satura di gente..anche in terra. Mi spoglio quasi completamente e all’1 mi rendo conto felice di aver dormito un paio d’orette. C’è un silenzio insolito e a sonnelli mi riaddormento fin quando suona la sveglia delle 4.30. in silenzio raccogliamo le nostre cose e sgattaioliniamo fuori dove al fresco facciamo ricomponiamo gli zaini e ci rivestiamo per la partenza. Poco dopo le cinque la luce illumina la forcella e noi siamo quasi pronti per andarle incontro. Dalla forcella scendiamo al lago e poi seguiamo il bel sentiero fino al bivio per il vallone di Lago Brutto che incastonato fra Cima Moregna e Col Rotondo non merita l’appellativo assegnatogli. Risaliamo l’ampio vallone detritico con l’impennata finale che suona la sveglia ai nostri quadricipiti e ansimanti raggiungiamo il valico di Forcella Moregna( q.2397, h 6.10). Scendiamo nelle nebbie che avvolgono la vallata successiva e per sentiero evidente ci dirigiamo vs Malga Valmaggiore. Stiamo parlando e io ancora avvolto nei fumi della serata non mi rendo conto che stiamo scendendo troppo. Se ne accorge Fil e allora scartiamo verso destra per prati e in breve raggiungiamo il bivio di Lasteot, q. 2240 dove riprendiamo la via corretta. Ora ci attende evidente una grande traversata in falsopiano su costoni detritici che hanno almeno permesso la costruzione di un sentiero a tratti lastricato e comodo. Sassi ovunque e arriviamo all’ennesima forcella ( Dos caligher q.2190) manco segnalata sulle carte ( ma son troppe per farlo….). Continuiamo a traversare comodamente e ad un certo punto oltre un dosso emergono scure fra le nebbie le sagome di due roccioni imponenti, passiamo sopra il solco della ValMaggiore, e una nuova imponente pietraia che ci conduce alla Forcella di ValMaggiore dove è annidato il Bivacco Paolo e Nicola(q. 2175, h 7.20). Facciamo una rapida colazione e ci avviamo per il tetro vallone di Cece l’ennesima pietraia infinita dove facciamo favoriti dalle nebbie una sosta bisogni. Salendo passiamo proprio sotto le enormi moli rocciose del Palon e del Dente di Cece che ora assumono forme indipendenti e non più sovrapposte. Il dente è proprio una creatura mostruosa appuntita e credo difficilissima da scalare anche per via della roccia che sembra estremamente friabile e poco proteggibile. Il Palon presenta invece una cresta abbordabile che noi pensavamo fosse quella della Cima di Cece che in realtà se ne stava coperta e nascosta dalle nebbie. La relazione parla di una soglia erbosa a q. 2600 posta oltre un canalino che tosto individuiamo ma che sembra portarci fuori dalla nostra direzione. In realtà al suo termine troviamo un cartello con l’indicazione verso dx di Cima Cece a 30 min. Ci raggiunge un signore con cui parlo degli scarponi che indossa (Equilibrium della Sportiva…che sono poi quelli acquistati anche da Fil..) e che mi spiega che è la linea che sostituisce i Trango pensata per esigenze tecniche differenziate. Ci sembra strano poter arrivare sulla nostra cima in così breve tempo.. in realtà ad un certo punto il cielo sostituisce la roccia e fra la nebbia emerge la croce di vetta di Cima Cece(q. 2755, h 9.20) che nascosta era in realtà sopra di noi. Il tipo trentino ci regala una foto e poi gli parliamo della discesa dalla cresta nordest direttamente su Forcella Cece ma che lui non conosce e che con questo tempo non lo convince. Io muovo titubante qualche passo ma poi mi par di scorger tracce di passaggio e urlo a Fil se ha voglia di un poco di avventura. Acconsente e ci lanciamo allora sulla cresta dirupata che purtroppo per via delle nebbie non consente di intuirne lo sviluppo e ci lascia sempre in dubbio sulla direzione e sulle difficoltà che ci troveremo ad affrontare. So solo che si può scendere ma non ho nessuna relazione. Comunque nell’intrigo della cresta appaiono ometti e tratti pestati tanto che mi rassicuro. Ogni tanto c’è qualche passo tra il I° e il II° grado da disarrampicare ma lentamente perdiamo quota. La zona sommitale è sempre immersa nelle nebbie e non riesco a fotografare l’erta cresta da cui scendiamo. Ad un certo punto falsi ometti mi conducono in un canale placcoso che mi sembra un poco arduo da affrontare e allora fermo Fil e risalgo e trovo un altro passaggio comunque attorno al II°. In effetti abbiamo disceso un muretto alto qualche metro che fascia tutta la montagna. Dico a Fil che ora dovremmo essere fuori dai guai e in effetti arriviamo su terreno più facile anche se sempre sgarruppato tanto che perdiamo la traccia e arriviamo al passo ormai in vista traversando a vista verso le nuvolette che da lì risalgono. Non ci son salti e rimettiamo i piedi su terreno solido al valico di Forcella di Cece( q. 2393, h 10.30). Svalichiamo e traversiamo in direzione del bel profilo a vela della Cima di Valbona incontrando una macchia di neve residua ultimo baluardo dell’inverno che fu e poi dei bei muretti a secco che ci introducono alla frastagliata cresta che scende dalla cima e che in qualche punto dovremo risalire. Troviamo seguendo il sentiero il piccolo muretto da affrontare e siamo alla Forcella del Valon (q.2480) venti minuti dopo. Arriva un tipo vestito da sky runner che ci spiega di voler fare la Translagorai in circa 30 ore senza correre troppo per via del terreno accidentato e che ha in programma di rifocillarsi al Rif. Cauriol dalle 14 alle 16 e poi proseguire per tutta la notte senza fare tappa. Per un po’ mi attira l’idea e penso di provarci…ma vedremo. Fil non s’entusiasma. Salutiamo il tipo raccomandandogli buona fortuna e l’aguzza da questo versante punta della Cima di Valbona e iniziamo a scendere il vallone dall’altra parte pietroso e vagamente ingentilito dalla presenza di un laghetto blu che però sta in basso e non raggiungeremo. Superiamo una piccola paretina attrezzata con una cengia ricavata per permettere il passaggio mentre una famiglia di tedeschi senza acqua cerca di riempire le borracce da una chiazza di neve perché pensavano di trovarla al bivacco A. Moro. Mi spiace per i bimbi che non placheranno certo la loro sete bevendo neve sciolta..anzi! ma spiegarlo in inglese mi sembrerebbe troppo complicato! Ci troviamo in un deserto di distese pietrose o placcose che stanno diventando un filo monotone sotto le Cime del Valon e il Coston dei Salvaci. Procediamo in traverso in un orizzonte quasi sempre uguale a se stesso, un mondo pietrificato di lastronate infinite. Sento che Fil è un poco stanco di questo sguardo che vede sempre solo pietre ma finalmente dopo un’altra svolta sotto la Cima di Bragarolo appare la rossa macchiolina del bivacco verso il quale dovremo ancora però ben risalire. Sudati ci arriviamo giusto per la pausa pranzo (q.2565, h 12.30) e mangiamo gli ultimi residui alimentari guardando il lontano Lago di Paneveggio. Ripartiamo mezz’oretta dopo in un paesaggio che non cambia ma in fondo si vede l’enorme forcella del Colbricon (che noi pensavamo fosse quella di Ceramana) che si fa spazio fra i Colbricon Piccolo e Grande lasciando il palcoscenico alle Pale di San Martino che se ne stanno coperte ma da cui emerge però l’enorme parete del Mulaz che sembra la montagna più bella del mondo emergendo chiara e calcarea da questo ammasso marrone violetto. Fil si lamenta ma ora a me piace questa nuova immensa placconata che traversiamo e che si alza anche sopra di noi correndo a prendere le frantumate creste che ci stanno sopra. Poi di nuovo pietrame e l’inaspettata discesa a Forcella Ceremana che ci fa quindi gioire che quella che vedevamo era già la successiva. Un facile tratto attrezzato ci deposita al valico (q.2430, h 14) e poi via per nuove pietre e una nuova depressione che ci fa ridere perché scherzavamo su come dovessero chiamare questo viaggio non Tranlagorai ma Transforcellai. Risaliamo forse l’ultimo erto pendio di giornata e mezz’ora dopo la precedente, siamo a F.lla Colbricon (q.2420) dove lo sguardo cade felice verso la fine del viaggio all’annebbiato Passo Rolle e verso i ben più visibili e invitanti laghetti che allietano lo spazio attorno al Rif. Colbricon. Sembra di vedere apparire tra le nebbie che vanno e vengono la terra promessa. Una signora ci regala 2 scatti e iniziamo a scendere costeggiando una lunga e lineare parete che sembra eretta a confine fra il Lagorai e il resto del mondo. I laghi si avvicinano, le pietre rimangono e questo versante ha ancora la sembianza di quelli appena traversati. Intavoliamo una discussione sul senso della vita e su ciò che davvero conta e che diventa quasi scontro perché io sono forse troppo netto nel dire che vale solo amare e darsi agli altri. Che la felicità non esiste come meta personale ma solo in quanto relazione. Troviamo il tipo toscano col ginocchio sfasciato a cui dicop che da grande voglio esser come lui e sprofondiamo nell’ennesima depressione del Passo Colbricon a q. 1900 per poi riprendere a salire verso ilo rifugio. Improvviso appare il lago a far da sfondo all’erboso sentiero e racchiuso fra fronde di mugo. La voglia d’acqua mi assale e pochi minuti dopo quando siamo sulle rive e vediamo gente giocare pucciando con paura i piedi e le dita nell’acqua gelida, lancio a Fil la scontata proposta. Due secondi dopo siamo immersi nelle acque fra l’altro manco troppo fredde fra gli sguardi attoniti delle parecchie persone presenti. Che meraviglia..un momento di benessere e pace incredibile. Lunghe bracciate trasportano il fresco alla muscolatura surriscaldata con un effetto rigenerante. Quando stiamo uscendo una signora si avvicina e non capisco cosa dice…poi mi vien da ridere perché indica il cappellino di sua figlia che galleggia in mezzo al lago…se possiamo andarglielo a prendere che siamo già bagnati. Con quattro bracciate Fil glielo recupera e ci mettiamo a ridere perché gli dico che nulla succede per caso ma che questa scena è l’esempio pratico di quanto gli stavo dicendo prima: abbiamo fatto il bagno alla ricerca della felicità ma poi abbiamo condiviso con altri la nostra gioia! Usciamo in una condizione di beatitudine…mamma mia non sarei uscito più dall’abbraccio freddo e seducente di quell’acqua. Ci rivestiamo e rinvigoriti marciamo gli ultimi metri in salita vs il Passo Rolle q. 1980 deove ammirando i giochi di nubi attorno alla testa del cimon della Pala che ogni tanto si fa vedere, arriviamo alle 16. La grande giornata si conclude con Oriana al bar dove io e Fil dissetiamo la nostra sete con due Radler medie. Fantastico! Foto 1 rieccoci qua due anni dopo Foto 2 io e Fil Cioma Cece Foto 3 Fine Transalgorai ai laghi Colbricon

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