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   Fondovalle Bosco Gurin Piz Bièla, 16/07/2023
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Onicer  oscarrampica   
Gita  Fondovalle Bosco Gurin Piz Bièla
Regione  Svizzera
Partenza  Fondovalle  (1200 m)
Quota arrivo  2865 m
Dislivello  2600 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  nde passi tra il I° e il II° grado esposti sulla cresta SE del Piz Bièla
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Mi ero ripromesso dopo aver letto i libri di Paleari sull’area che va dal Sempione alla Val Formazza ed altri su quella zona di contrabbandieri di esplorare quelle terre a me sconosciute e così dopo aver visitato le Alpi Devero e Veglia, volevo andare al borgo Walser di Bosco Gurin prima che iniziassero i lavori del tunnel di collegamento con l’Italia che forse lo toglieranno dal quasi secolare isolamento e sciuperanno un poco il selvaggio paesaggio. Volevo farlo con la neve e con la famiglia ma come al solito fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare ed ecco allora che complice un poco più di libertà nata dal passqaggio in adozione del piccolo Greg, mi ritrovo domenica sera 2 luglio in viaggio verso Fondovalle villaggio di poche case adagiato come dice il nome in val Formazza qualche chilometro dopo il borgo di Formazza e prima che la strada cominci a salire decisamente verso la fine della valle, a Riale. Ci arrivo che è mezzanotte e giro fra le case alla ricerca di una fuga verde che trovo in un grande prato dietro alcuni grandi tabiè. E’ tardi e non sto a montare la tenda ma decido di dormire in auto. Mi sveglio alle 4 senza sonno ma ami accorgo di avere il cell. quasi scarico e allora mi appisolo ancora sul sedile davanti aspettando che salga la batteria. Vado a parcheggiare l’auto oltre il fiume e parto che sono quasi le 6 attraversando i bei prati oltre il paese ed inoltrandomi nel bosco dove un cartello gentile segnala che il sentiero potrebbero trovarsi in brutte condizioni per le recenti piogge. Bosco Gurin è dato a 5.30h. Salgo subito rapido nel bel bosco attraversando una bella placca di granito su cui l’acqua gioca lasciando le sue scie e poi ne esco all’Alpe Stivello(q.1600, h 6.30) dove il sentiero si perde un poco entrando in quello che una volta era certo un grande alpeggio ora assediato dalle erbe alte e dal tentativo del bosco di abeti di riprenderne possesso. Una traccia di erba pestata mi permette di seguire il filo misterioso e tra ciuffi di timo selvatico e cewspugli di rododendro continuo ad alzatmi velocemente. Ah come sto bene oggi se penso alla giornata sul Gleno! Sempre per prati arrivo al sasso-bivio che divide le vie per giungere all’Hendar Furggu dritto e al Guriner Furggu a dx. Dovendo compier un anello non so bene dove andare prima ma alla fine opto per la dx per centrare con certezza l’obiettivo principale della mia escursione: il villaggio di Bosco Gurin. Il Monte Giove alle mie spalle osserva silente dall’altro lato della valle. Mi alzo ancora immerso nei rododendri fin quando alla mia sx si alza la piramide del Piz Biela su cui salirò lungo la via del ritorno. Alle 8.15 arrivo al passo per scoprire che è quello della Foglia e che c’è ancora un traverso da fare per arrivare a quello del Bosco (Guriner Furggu) dominato dal Monte Rizzo. Guardando da dove sono salito ora invece domina la scena la grande mole del Monte Leone, del Pizzo Diei e poi le innevate ma un poco rannuvolate sagome del Fletschorn e del Lagginhorn. Fotografo meravigliosi anemoni alpini e con un saliscendi arrivo al piccolo laghetto del Guriner Furggu (q.2320, h 8.40). Si vede la Svizzera e l’occhio segue le ondulazioni verde coperte di nebbioline della Valle Maggia. Comincio a scendere e poco dopo si vede in fondo alla valle Bosco dominato dalle verdi punte del Pizzo Bombogno e prima il grande alpeggio della Grossalp dominato dx dalla rocciosa figura del Madone, che chiude la valle come una saracinesca. Mezz’ora dopo mi stropiccio gli occhi davanti alle bellissime casette in pietra dell’alpe dopo aver saltato con qualche rimpianto la grossa stazione della seggiovia che era funzionante ma solo per delle prove. Sembra un villaggio delle fate o ti aspetteresti di veder sbucare Heidi inseguita da Peter che corrono nei prati inseguendo le farfalle. Scatto foto ripetute ai bei muri a secco e ai prati pieni di fioriture e poi scendo verso il paese immergendomi presto in un grande bosco di grandi abeti che credo diano il nome al luogo incantato dove sto per arrivare. Il sentiero diventa ben presto carrareccia e con alcune ripide discese ne taglio i tornanti per arrivare infine alle 10 (q.1530) alla grande spianata verde che costituisce il tappeto d’ingresso al borgo che appollaiato sta su una piccola collinetta. Si vede tutto il paese preceduto da una sorta di linea retta fatta di tante malghe costruite una attaccata all’altra e con quella centrale che non ha le mura per permettere il passaggio della strada e quindi l’ingresso. Cose Svizzere. Un carro sta scaricando balle quadre di fieno e l’agricoltore gentilmente mi chiede se riesco a passare..gli rispondo di non preoccuparsi e che la precedenza è a chi lavora. Parla un italiano strano. Mi dedico quindi all’esplorazione del villaggio,tipicamente Walser con le caratteristiche case in legno e altre in muratura con tetti in lastre di pietra. C’è un museo che illustra la loro storia ma è il paese ad esserlo con le sue viuzze strette che scorrono fra i muri e tutte costruite con grandi gradini di pietra o lastricate se in piano. Fomtane,cappellette, prati rasati adornano ogni angolo e il tempo sembra essersi fermato a trattenere il fiato mentre salgo e scendo dalle viette. Gerani appesi alle finestre brillano di rosso su sfondo bianco e mentre salgo alla chiesa mi piace guardare i tetti in pietra che si spintonano l’un l’altro. Passo dalla Coop che vende formaggio prodotto in loco ed entro poi in chiesa rigorosamente aperta come si usa in montagna. Quando esco mi colpisce la vista dall’alto del cimitero con tutte le croci in fila praticamente uguali in legno sul prato verde ben rasato…allineate come fossero in parata. Credo sian più le croci di quanti sian rimasti in vita per piantarle. Mi metto poi a cercare i cartelli che mi guidino verso l’Hendar Furggu ma non ne trovo e la cartina stampata dal web, non mi è d’aiuto. Incrocio un tipo a cui chiedo se parla italiano e che ha una casetta qua ereditata dal papà. Si offre di aiutarmi, sa dov’è il borgo di Fender dove devo dirigermi e mi accompagna. Pochi passi verso valle e ci arriviamo: sono tutte bellissime casette in pietra risistemate che lui mi spiega erano ex stalle. Attraversiamo lo sparuto gruppetto di case con alcune verande e vetrate da sogno e poi seguiamo consultando una sua app mappa svizzera la stradina che sale permettendomi una stupenda visuale dall’alto dei due borghi. Arriviamo così al fatidico cartello che girato verso un prato di erbe alte indica Hendar Furggu 2.40 h e Fondovalle 5(h 10.45). Saluto il gentile compagno e mi butto nella macchia seguendo la scia di erbe abbattute sperando che continui. Attraverso una zona di pascoli in cui perdo la scia ma che poi riesco a recuperare più sopra. Attraverso un torrente che crea due belle cascate e poi prati pieni di fioriture di timo,Pilosella,Margheritoni e tante altrec essenze che non conosco. Tafani mi perseguitano e salgono accompagnandomi sotto il sol leone..e io mi chiedo a quale quota mi abbandoneranno…succede verso i 1900 metri quando entro nel bosco per poi uscirne nei fantastici prati che precedono l’Alpe Bann. Sopra litiga con le nuvole la cresta dello Strahlbann che pensavo fosse il Biela essendo la punta più alta e che anche il tipo mi aveva spacciato per il Biela. Oltrepasso una casetta in muratura costruita con particolari pietre arancioni e dispersa nella grande prateria verde che si estende sotto le propaggini del Madone del Rizzo e del Matschenspitze e poi salgo ancora per prati ed onde verdi fino ad individuare le costruzioni in muratura dell’Alpe Bann(q.2100) dove arrivo per mezzogiorno e dove una bella panca e la fontana m’inducono a far la pausa pranzo. Mi sento il re del mondo: ho cibo, acqua di fonte e domino la valle verdeggiante mentre le rocce che litigano con nuvole impigliate sulle loro creste mi stanno sopra. Beato al sole mi godo la vita. Come al solito in montagna, sono solo ma non mi sento solo. Il creato mi parla in silenzio e ascoltarlo mi riempie il cuore di gioia. Sto bene. Venti minuti di pace dopo riprendo ad alzarmi seguendo senza traccia e con qualche dubbio la direzione del cartello che indica Hendar Furggu. Trovo un altro sasso bivio che mi conferma nella direzione scelta ma ora il sentiero è riapparso e anche i segni: l’unico dubbio che mi rimane è di capire quale fra le punte di cresta, sia il Bièla. Più mi sposto verso sx e più lo Strahlbann sembra nettamente la cima più alta e allora consulto Peakfinder per vedere di localizzare la mia montagna: a sorpresa sembra indicare una puntina a sx ma che sembra decisamente più bassa così ad occhio. Oltrepasso un dosso verde e mi si presenta davanti(anche se al momento non ne ero ancora consapevole) la spiegazione geografica della zona. Ho davanti a me la quota 2592 con a sx l’Hendar Furggu e a dx il colletto che segna la partenza della cresta SE del Piz Bièla. Ancor ignaro salgo all’ennesimo cartello infisso sul masso con i biancazzurri segni che guidano vs la Bocchetta di Formazoo e su un altro masso l’indicazione Fondovalle che punta al passo Hendar. Ora consultando la relazione sembra chiarirsi tutto e prendo a seguire i biancazzurri segni lungo la giavina di grandi massi che risale verso l’alto. Lascio a sx i segni rossi che salgono al passo e viro vs dx fin quando salito circa all’altezza del passo decido di cambiar maglietta e lasciare lo zaino per salire più velocemente ( h 13.30). Ho diversi dubbi perché sono un poco stanco, perché il terreno è incognito e la relazione dice che ci vogliono ancora due ore alla cima e perché il terreno è disagevole con tutti questi enormi e instabili blocchi sul quale mi tocca saltare senza perdere equilibrio causa rischio distorsioni o peggio. Ma la primavera più ricca di tentativi che di successi mi spinge a voler terminare la giornata secondo programma di partenza. E via allora comincio la danza fra i massi seguendo il filo dei segni. Leone,Cervandone, Helsenhorn seguono impassibili ed indifferenti le mie evoluzioni di piccolo moscerino sul fianco dirupato della montagna. Margheritoni e nontiscordardime mi salutano dalle rade macchie erbose e finalmente alle 14 recupero il colletto dove attacca la cresta SE della montagna con bella vista sulla paurosa q.2592 che si alza verticale ed esposta, e sul retrostante Matschenspitze. Davanti a me la montagna si alza senza traccia di passaggio scomoda irta e dirupata. Mi infilo nelle zone erbose e poi su per un canalino troppo verticale per essere percorso in discesa e venti minuti dopo raggiungo una zona più appoggiata. Cerco di imprimermi i passaggi per ricordarmene nel ritorno ma temo sarà inutile perché il paesaggio è piuttosto indefinito. Poi cavalco delle rocce per evitare l’assurdo vallone detritico che sta a sx e improvvisamente mi trovo alzato su una cresta tipo stegosauro abbastanza ampia ma precipite da entrambi i lati. Comincio a preoccuparmi un poco perché a volte l’esposizione è parecchia ma i passaggi sempre semplici. Poi però mi trovo a cavallo di alcuni spuntoni col vuoto da ambo le parti e salgo qualche passaggio vicino al II° grado che mi fa dubitare della pericolosità di farli in discesa. Salgo intimorito perché capisco che è ancora lunga e ad un certo punto un muretto quasi verticale da superare in placca ferma tutte le mie convinzioni. Nulla d’impossibile ma se sbaglio qualcosa qui non mi trovano più. Ho praticamente deciso di tornare quando distrattamente guardo a sx dove sembra di poter fare qualche passo verso il vuoto ma appena girato oltre il bordo roccioso, una cengia molto esposta pare prometter di poter passare. Con cautela avanzo e mi lascio alle spalle l’ennesimo passo scabroso…troppi mi dico per ridiscendere di qua. Finalmente con un ultimo passo in discesa e abbastanza esposto fra blocchi enormi, scendo dal dorso della cresta e riatterro fra le pietre della montagna. A destra un canale precipita nel vuoto mentre a sx il solito vallone detritico. Sono su una sorta di anticia..non si arriva mai…per quello che non sembrava così alto…c’è sempre un pezzo oltre. Probabilmente dal basso non si vedeva neppure la vera cima. Quando intravedo l’ometto finale cumulo di pietre fra le pietre, e metto mano alla macchina fotografica, mi rendo conto che non ho scattato neanche una foto di tutto il tratto impegnativo della cresta..ero troppo preso mi dico. Ora la zona mi garantisce un poco di comodità sul pietrame accumulato nella zona sommitale come se la montagna fosse stata costruita lasciando cadere le pietre dall’alto. Mi ci siedo trafelato e un poco preoccupato! (Piz Bièla q. 2863, h15). Scatto veloce delle foto al panorama non eccezionale vista la montante nuvolosità e comincio a pensare a cosa sia meglio fare per scendere da quassù. La vista vs il Lago Superiore incastonato sotto il Matschenspitze è bella ma quasi da brividi vista l’espozizione e l’area così selvaggia. Si vede comunque la piramide senza neve del Basodino e oltre il Monte Giove a destra Punta d’Arbola e Blinnenhorn (il Corno Cieco) mentre a sx i soliti Leone Cervandone ed Helsenhorn. Decido di tenere la via di discesa dalla cresta sebbene l’unica che conosco come ultima opzione. Il vallone detritico alla mia dx è quasi senz’altro con fatica percorribile ma non ho la percezione di quando scenda sotto il colletto di partenza dove dovrei poi sperare di poter risalire. Dalla relazione che ho sembra di poter scendere a sx e allora un poco titubante ci provo. Discendo disarrampicando un enorme placca descritta e prendo coraggio..poi però il prosieguo della cresta finisce su un vuoto immane e sono daccapo. Ritorno sui miei passi..sbagliando resto sotto la placca dove avrei voluto tornare e quando me ne accorgo decido comunque di avanzare in direzione della cresta di salita per valutare la percorribilità dei canaloni laterali e se non ci sono salti per raggiungerli. Trovo quello che sembra un ometto e poi poco più giù un altro..lo sguardo s’illumina di speranza quando cade su un canale parete di grandi placche e che sembra scendere a sbalzi. Non voglio illudermi ma mi sembra la via di salvezza e quando ci arrivo sopra ne sono quasi sicuro..di slancio inizio ad arrampicare godendomi la bellezza, la solidità della roccia e soprattutto la sicurezza dei gesti con cui disarrampico fino alla fine della parete che mi consegna alla terra martoriata del pendio detritico. Sono salvo, fuori dai problemi e con sollievo guardo verso l’alto compiaciuto di individuare la linea di discesa per cui mi ci è voluta una mezz’oretta. Ora su terreno detritico scomodo ma facile perdo progressivamente quota puntando alla giavina dove ritroverò i segni biancazzurri. Nel frattempo mi volto per capire bene le pieghe della montagna e la linea che ho assecondato riuscendo ad individuarla e che certo non corrisponde a quella descritta sulla relazione. Fotografo da sotto tutta la cresta percorsa e in un quarto d’ora sbuco al colletto d’attacco dove recupero i bastoncini. Genzianelle, Doronicum e Astri delle Alpi salutano il mio ritorno richiamando la mia attenzione distratta dall’occhio immensamente blu del Lago Superiore. Ritrovo i segni e la montagna ora che la conosco si lascia decifrare. Mi perdo fra i massoni e non trovo più lo zaino, risalgo un poco ma è chiaro che mi sto sbagliando e lo zaino dev’essere per forza più in basso..con gioia lo ritrovo poco dopo e anziché traversare sui sassi ( non ne posso più..è ormai un’ora che rimbalzo da uno all’altro…) fuorivia in orizzontale verso il passo, decido di perdere quota seguendo i segni nella speranza di camminare su terreno un poco migliore. Alle 16.30 sono alla base dell’Hendar dove il cartello su masso recita Fondovalle 3h, davanti all’ultima risalita di giornata. Annaspo ancora fra i massoni seguendo i segni stavolta rossi e un quarto d’ora dopo approdo all’Hendar Furggu (q.2420) da cui fotografo l’incubo giavina che si estende come un mantello sotto di me. Nooo un'altra giavina mi aspetta dall’altra parte e scocciato riprendo a rimbalzare fra i massi per altri 15 minuti di penitenza prima di ripoggiare il piede sul morbido verde dall’altra parte. Ora punto deciso al bel lago che s’ingrandisce man mano che mi avvicino e mi permette belle inquadrature fino alla suggestione delle nebbie che salendo dal basso trovano un canale d’accesso nella parte sotto il bacino e creano un flusso che piano piano riempie la conca e la copre con un effetto misterioso da lago scozzese. Saluto il lago e i rododendri che impreziosiscono le sue vie soffermandomi su curiose venature bianche che disegnano a strisce delle rocce sotto il pelo dell’acqua creando un effetto veramente particolare. Poi fra campi di rododendri e fioriture varie mi butto in discesa per il vallone planando alle 18 al masso dove al mattino avevo girato a dx vs il Guriner Furggu. Rientro al riparo dalla calura nel bel bosco verde prima e stile pineta poi e alle 19 non resisto alla tentazione del bel bar isolato come un rifugio nei prati di Fondovalle dove, strappo alla regola, mi concedo panino al salame e coca cola facendo quattro chiacchere con una signora del luogo che mi racconta del paese e della figlia avvocato scappata per noia in un paesino prima di Zermatt dove ha mille opportunità di fare sport alpini. Due parole sul ritorno con l’uscita obbligata dall’autostrada a Sesto Calende, il ritorno interdetto e la mancanza di indicazioni per farlo, l’arrivo in direzione Milano per statali che si blocca nelle code per lavori in corso a Malpensa e infine il riapprodo sull’A4. Sembra fatta ma la macchina va in ebollizione e sono costretto a fermarmi e dopo una breve ripartenza a chiamare il carro attrezzi. Vado a dormire alle 2.30 e 3 ore dopo mi alzo per andare a lavorare. Giornatonaaaaaa. Grazie montagna che colori la mia vita già bella. Foto1 Gross Alp Foto2 Bosco Gurin Foto3 cresta SE Piz Bièla


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