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   Anello Lizzola Gleno tre Confini, 28/06/2023
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Onicer  oscarrampica   
Gita  Anello Lizzola Gleno tre Confini
Regione  Lombardia
Partenza  lizzola  (1250 m)
Quota arrivo  2880 m
Dislivello  2000 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  Curò
Attrezzatura consigliata  nde, passi esposti ma sotto il II° grado nella traversata dal gleno ai Tre Confini
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Questa gita inizia con una rinuncia. Dopo il pomeriggio passato alla casaccia, dopo la giornata alle pendici del Fop, torno a casa stanco ma convinto che una buona notte mi rimetterà in sesto per partire l’indomani mattina presto e presentarmi puntuale alle 5 a Nembro all’appuntamento con il mio amico Zeno che è tanto che non vedo e che tante cose abbiamo da raccontarci. Invece la notte non riesco a dormire a causa di un misto tra mal di gola e raffreddore che cola un poco ovunque. Quando alle 4 suona la sveglia sono lo straccio che durante la notte temevo d’essere. Non ce la posso fare per una gita con così tanto dislivello e mi spiace impegnare un amico per una giornata che andrà certo male e così chiamo Zeno che non risponde e gli invio un wapp di scuse. In mattinata ci sentiamo lungamente e progettiamo la rivincita raccontandoci del desiderio di inventarci un Viaz sul Fop. Poi passo la giornata a dormicchiare e cercare di riprendermi dal leggero malore che s’è impossessato delle mie energie e la sera dopo aver cenato con Jari, decido per salire a Lizzola e dormire in tenda. Non conosco il paese e girovago alla ricerca di un prato o un boschetto dove piazzare il mio telo ma giro a vuoto per le vie del paese fino a trovare il posto giusto ma mentre inizio i preparativi un’altra auto si piazza vicino e non capisco le sue intenzioni. Poi dopo un bel po’ scendono due tizi che con le valigie si avviano verso una casa. Sono le 22.30 e riesco finalmente a montare la tenda e alle 23 prepararmi alle poche ore di sonno che ho deciso di concedermi puntando la sveglia alle 3. Fatico ad addormentarmi e dopo poco inizio a sentire freddo dato che tira una brezza che trapassa l’esile protezione della mia vecchia tenda e purtroppo memore del caldo dell’altra sera ho un telo che si rivela troppo leggero per coprirmi a sufficienza. All’1 scappo in macchina e cottissimo come sono, posticipo la sveglia alle 4. Poco dopo una botta incredibile sull’auto mi sveglia di soprassalto e con un colpo di addominali mi metto a sedere e a guardar fuori per cercare il responsabile che non trovo nonostante lo sguardo che setaccia allarmato in ogni direzione. Poi mentre mi sto ristendendo, noto la coda prima e poi una volpe che disorientata più di me non sa dove scappare e capisco che è lei l’involontaria colpevole. Uscita dal bosco si è schiantata contro il mio bivacco a 4 ruote! Riprendo a sonnecchiare ma prima delle 3 il freddo mi risveglia e decido di partire perché di dormire non se ne parla proprio! Smonto la tenda e alle 3.20 accendo la frontale e mi avvio sul sentiero che sale vs il Curò. Sono addormentato, faccio fatica i continui saliscendi m’indispongono: comincio a pensare che vengo da tre notti non dormite. La prima poche ore in auto poi una a casa a non star bene e l’ultima tra tenda e auto in cui ho dormito poco e niente. La stanchezza mi assale e la voglia mi abbandona: comincio a pensare di ritirarmi. Ma è l’ultima occasione e butterei via una marea di tempo. Procedo in modalità zombie. Dopo un’ora dalla partenza mi fermo su un sasso seduto: quando mi rialzerò il corpo deciderà la direzione. Qualche minuto dopo per inerzia e vergogna riprendo a salire ma proprio non va: mi gira anche la testa e ho un vago senso di nausea simile a quelli sperimentati durante le partenze notturne per i bei tempi dei 4000. DEVO dormire, così non posso continuare. Mi siedo sul sentiero spalle appoggiate al pendio e provo a chiudere gli occhi. Mi assopisco accaldato che è quasi notte e riapro gli occhi un quarto d’ora dopo scosso dai brividi di freddo (cè vento!) che è quasi mattino. Non sono ancora le 5. Poco dopo la bella vista della cascata del Serio, imponente come non l’avevo mai vista mi conferma nel sospetto che era lei a causare quel rombo continuo che sentivo e non il mio stato mentale di prostrazione. La cascata mi distrae un poco chiedendomi spesso di essere fotografata, anche accanto al Pinnacolo di Maslana che brilla delle prime luci. Non sto tanto meglio ma proseguo e quando alle 5.30 arrivo al “grande down”, come sto chiamando il tratto di discesa più lungo di questo sentiero a montagne russe, e vedo il Curò mi dico che almeno fino al Rifugio mi sforzo e poi vedremo. Tento un altro pisolino ma fa troppo freddo (sono in pantaloncini!) per stare fermi al vento. Scendo pensando a come farò poi a risalire quei 200m di dislivello che mi fan paura come fossero 2000. La cascata è sempre più bella vicina e fragorosa e transito all’incrocio col sentiero che sale da Valbondione. La scritta Curò h 0.30 mi infonde energia: la troverò un posticino per dormire e uscire da questo stato letargico. Il sole bacia la cima del Coca e della costiera di Scais e mi soffermo sulle lapidi del tratto largo ma precipite che precede l’arrivo al lago. Sono le 6 da poco passate quando i casermoni dell’ostello e del rifugio appaiono davanti al mio sguardo quasi incredulo. Ci ho messo comunque meno delle 3 ore prevista dai cartelli con tutte le pause fatte per dormicchiare e ho un timido sussulto di speranza. Comunque non ho altro pensiero che stendermi al riparo del vento, protetto dalle mura dell’edificio, sul praticello. Ma pochi attimi dopo colpi di tosse e manovre all’interno mi fanno capire che fra poco qui inizierà la vita e non ho voglia di farmi vedere in quello stato. Riempio il bag d’acqua alla fontana e a passo lento mi avvio per il periplo del lago artificiale sperando che la passeggiata quasi orizzontale mi porti vicino alla meta sperata per l’ultimo sforzo. Così vicino da considerare fuori luogo la rinuncia. Passo la bella cascata che da’ sulla Val Cerviera e come un mantra mi ripeto che ormai mancano “solo” 800m di dislivello. E cammino cammino ciondolante immaginando di recuperare le forze e fotografo apatico il sole scendere(beato lui! a illuminar d’arancio le pareti del Coca e del Redorta subito dietro). Alle 6.45 due pietre larghe sul pendio indicano la salita verso il Gleno: la traccia non è molto evidente e ricordo bene la bella pietra posta alla confluenza sul sentiero che sto percorrendo e che incrociai scendendo l’altra volta con Robi. Sarà più avanti …ma decido comunque di salire e mi rendo conto che probabilmente questo è l’accesso vecchio perché poco dopo cammino in traverso fra ciuffi d’erba e grovigli di rododendri tendendo vs sinistra dove spero di confluire nel sentiero giusto. Cosa che infatti accade poco dopo. I primi passi in salita sono andati abbastanza bene ma ora sono di nuovo affaticatissimo e mi consolo con la bellezza delle guglie del recastello che brillano di luce sopra di me che ancora fatico e assonnato lotto nell’ombra gelida. VOGLIO arrivare al sole, VOGLIO fermarmi a dormire..solo così avrò qualche speranza di potercela fare. Dietro di me stanno radunati e abbracciati fra loro Cappuccello, Cavrel e Diavolo di Malgina a ricordarmi quando pieno di energie percorrevo indomito le loro creste. Li ringrazio e procedo nella mia cronometro guadagnando metro su metro e cercando improbabili conferme nella consultazione dell’altimetro. Eppure salgo, eppure il panorama cambia e la diga del Barbellino si allontana in basso. Poi arrivo sopra il grande canyon, oggi completamente colmo di neve che scende dal Vallone superiore e soprattutto ne vedo la fine. Quando sarò arrivato là, vedrò la mia montagna, la valle da cui mi ritirai qualche anno fa e tutto spero sarà diverso. Spunto oltre il costone e come un miraggio vedo la silohuette della cresta Glenino Gleno: ci siamo, contatto visivo raggiunto! Sono le 8, è prestissimo…mi mancano 400 mt di dislivello e se li faccio anche pianissimo in un paio d’ore potrei arrivar e su e quindi verso le 10…chi mi ferma più. Comincio la paranoia di controllare di quanti mt di dislivelo salgo ogni 15 minuti e ogni mezz’ora per confortarmi che sono lento ma che ho abbastanza tempo per permettermelo. Salgo come fossi in Himalaya, a passi e fermate. Mi ritorna sonno e recuperato il sole provo ad addormentarmi appoggiandomi ad un diedrino di roccia. Niente torna quasi subito il freddo a brividi ma quando mi rialzo so che ce la farò: rimangio qualcosa, non mi gira più la testa e devo solo resistere un poco alla fatica. Passando sotto le torri del Recastello risalgo un pendio che alle 8.20 mi consegna alla bellezza nevosa del Vallone del Trobio: Costone,Trobio già saliti nella cavalcata precedente e poi il mio futuro prossimo, vale a dire il nuovo tratto di cresta che prosegue col Glenino, il Gleno e fino al Tre Confini di cui a sorpresa vedo la croce. Tra neve e ciuffi di fiori che colorano la pietraia, riesco a seguire segni e ometti che l’altra volta in discesa avevamo certo saltato scendendo a caso. Vado così piano che mi concentro a non perder la traccia per risparmiare ogni grammo di energia. A tratti mi sembra quasi di stare meglio. Ora cammino quasi sempre sulla neve la cui crosta dura regge il mio peso sprofondandomi fino alla coscia in poche occasioni: cammino sulle uova attento a leggere i tratti molli. Alle 9 mi fermo quasi emozionato perché ora mi resta solo da puntare il colletto nevoso che unisce le due cime. E’ fatta! Ce l’ho fatta! Fotografo con lo zoom un omino che scende dal Glenino e poi incerto si muove sulla cresta vs il Gleno. Poco dopo quando sono a tiro di voce mi chiede se ho i ramponi perché lui senza non riesce a salire. Io li ho nello zaino e salgo col piccozzino pensando di non averne bisogno ma poi quando arrivo agli ultimi 50 metri del pendio la pendenza e l’ombra che rende più dura la neve m’inducono alla sosta. Calzo i miei Grivel 12 e subito mi accorgo che ho preso gli Scarponi salomon che non hanno lo scavetto sul tallone per facilitare la presa della chiusura del laccio del rampone. Comunque tengono e salgo senza problemi fino a quando “Tlang” il rampone sx si apre e per la quarta volta nella mia carriera mi trovo in equilibrio su un piede solo: certo questa è la situazione meno critica ma da quando avevo capito la causa speravo non succedesse più. Il rampone si flette non restando aderente alla suola e provoca l’apertura della clip per far scorrere il perno bucherellato! Aggiusto il rampone, riparto con cautela ma ogni volta dopo un certo numero di passi ,si riapre. Fortuna che il destro regge. Mi prende una rabbia sconsiderata e la voglia di buttare i ramponi ma capisco che oggi è un concorso di colpa con la mia scelta degli scarponi non adatti. Ormai mancano una ventina di metri al colletto in cima roccioso anche se è la parte più ripida e più dura. Con due ramponi sarebbe comunque uno scherzo. Stufo di litigare e fermarmi continuamente a sistemare e risistemare il tutto, decido di sperimentare una nuova tecnica: scarpone dx con rampone sulla lingua nevosa e scarpone sx libero sulle roccette friabili laterali. Funziona e alle 10 sono finalmente sul colletto che unisce la cresta del Glenino a quella del Gleno. Mamma mia come sono contento. Vorrei quasi dormire ma ormai l’adrenalina mi ha svegliato quasi del tutto. Guardo con apprensione la placca nevosa molto ripida che ha fermato il tipo di prima e che precipita su salti rocciosi: scivolare lì sarebbe la fine e mi chiedo come passerò col mio rampone mongolo. Ci penserò poi, ora voglio dedicarmi al meritato panorama che mi sono duramente guadagnato. Faccia a valle alla mia destra il percorso fatto con Robi a partire dal Torena e la grande cresta piatta prima del culmine dello Strinato e poi il Costone coperto dalla mole del Trobio. A sx, le cime di Bondone e di lago Gelt e poi un grande ammasso che comprende Cappuccello, Cavrel Diavolo di Malgina e poi il Coca e il Recastello che copre parzialmente l’immensa scogliera di Scais. Dall’altra parte della valle, la Presolana e il Tornello con la sua parete concava davanti alla catena Camino-Bagozza. Muovo passi di gioia sulla facile crestina che da sul Glenino destreggiandomi fra ciuffi di Androsace rosa e Draba Gialle e in pochi minuti tocco il paletto di cima in brutta plastica con vista sul sottostante Lago di Belviso( q.2852, h 10.10). Qualche foto un selfie e ritorno al colletto pronto a sfidare la placca nevosa: la neve è molle sfondo a tutta gamba e calzare i ramponi aumenterebbe di poco la sicurezza per cui procedo con cautela attento a non far partire il pendio e dopo qualche minuto di brivido raggiungo le sicure rocce dall’altra parte ormai a pochi passi dalla cima del Gleno su cui per rocce lastricate rapido mi isso ( q. 2882, h 10.30). Non c’è vento, non c’è gente e veramente penso di mettermi a dormire ma ora che ci sarebbero le condizioni climatiche mi sono svegliato e allora per rassicurarmi butto un’occhiata alla cresta verso il Tre Confini dove vedo gente in arrivo. Splendida ai miei piedi la Valle del Gleno sormontata dalla lunga cresta che unisce Tornello e Cima di Cornalta che un'altra volta percorsi integralmente. Ora vs nord il cielo un poco più limpido mi permette di vedere il Disgrazia dietro il Diavolo e il gruppo del Bernina con le bianche distese nevose del ghiacciaio di Bellavista. Davanti a me anche la cresta che unisce Tre Confini a Recastello che sembra in realtà piuttosto complicata. Scatto una bella foto con la cima del Recastello che va ad indicare la tanto amata e rincorsa Bocchetta meridionale di Porola e dietro il Tre Confini invece la costiera dell’Arera dove son stato due giorni fa e dove torneremo col mio amico Zeno che come me ama il “dentro” delle montagne su cui noi passiamo a volte incuranti “sopra”. Sono un poco teso, ho voglia di mettermi alle spalle le ultime difficoltà e allora mangiata una barretta mezz’oretta dopo prendo a divallare lungo la cresta senza percorso obbligato cercando i punti più facili e non trovando grossi ostacoli tecnici se non nell’esposizione che nei tratti in discesa non aiuta la serenità. Incrocio coppie, genzianelle e tanti fiorellini che non sempre riconosco. Dopo il primo tratto precipitoso attraverso una cresta affilata ma semplice che mi consegna ad un terreno più semplice. Ora sto bene e ho solo una stanchezza normale per il dislivello accumulato e l’ultima cima si avvicina. Scavallo un piccolo nevaio, perdo un poco di quota ed inizio la risalita verso il coronamento finale dei miei sforzi. Pulsatille, genzianelle, Gentiana Verna, primule..ma a queste quote i fiori ci son sempre stati?..mi sembra di viaggiare in un giardino botanico e con quasi ritrovata energia affronto l’ultimo centinaio di metri scarsi che mi dividono dalla Cima Tre Confini(q.2823,h 12.00) dove scambio due chiacchere con una coppietta salita da lizzola e che mi rassicura sulla semplicità ed evidenza della traccia che scende. Mi faccio fotografare sul trespolo con croce di cima e dopo aver scattato una foto alle cime della traversata fatta in Val Sedornia (Vigna Soliva, Sponda Vaga, Pizzul,Barbarossa, Pizzo di Petto e Vigna Vaga) mi butto in discesa per la pietraia che nasconde le svolte del sentiero e dando un saluto distratto a questa cima brulla. Belle invece le possenti torri del Gleno che ho attraversato per giungere al Tre Confini e che viste da qua sembran cosi minacciose. Il sentiero non è facile da seguire in questo primo pezzo anche perché scivola spesso sotto la neve mentre la coppietta è passata probabilmente sulle pietraie laterali perché la neve è sempre intonsa. Poi a rassicurarmi la depressione sulla lineaa di cresta che corre verso le elevazioni di Pinta Stefania e che sta ad indicare il Passo di Bondione (q.2650) dove atterro alle 12.30 con grandiosa vista su Adamello-Carè Alto e dietro il Cimon della Bagozza il Cornone di Blumone e la Cima di Laione prossime mete dei miei divagamenti alpestri. Sotto di me sprofonda l’innevato vallone che poi mi porterà alle pendici del Sasna che ho ancora in mente di provare a salire e concatenare per cresta con il Crostaro. Incredibile come sono rinato alla fatica. Faccio pipì e noto la disidratazione per cui mi sforzo di bere ulteriormente e di nuovo giù seguendo rade tracce e segni che mi portano al termine del vallone davanti ad un altro salto per scendere dove laghetti e strisce d’acqua intarsiano la valle del fiume Bondione. I segni mi hanno portato a sinistra, quasi sotto le rocce della bruttina Punta Stefania che non mi attira perché mi sembra un cumulo mal organizzato di rocce nerastre( o sarà solo una scusa per non doverla salire?). Faccio bird watching seguendo le evoluzioni di una bellissima pernice con il caratteristico sopracciglio rosso e le zampe pelose e poi mi siedo a studiare la situazione perché credo di essere fuori via perché non vedo più segni e la parete precipita un poco davanti a me anche se dopo dove sono sceso l’altro ieri non ci sarebbero certo problemi a farlo qui. Prendo la cartina dallo zaino e resto paralizzato dal terrore: non ho il marsupio in vita! Rapida l’analisi per capire il dramma: non ho più cellulare e chiavi dell’auto. Spaventato il cervello si attiva rapido a cercare soluzioni: devo trovare qualcuno ( ma dove se le persone più vicine le ho viste ore fa in cima al Tre Confini?) farmi prestare il cellulare, avvisare casa e dire di venire su a Lizzola con le chiavi di scorta ( fortuna che al momento non mi viene in mente che in realtà la avrebbe Andrea…) per poter poi tornare a casa e in tempo per il turno di domani mattina in ospedale. Panico poi comincio a pensare a dove potrei averlo perso e immediatamente mi viene la speranza di averlo tolto al passo quando mi son fermato a far pipì. Spero fortemente sia così ma non ricordo con certezza e poi mi viene il timore che qualcuno passando(difficile!) possa averlo preso. Non mi resta che risalire e sciropparmi 200 metri di dislivello extra e anche nella neve! Parto rabbioso in un mix di speranza e terrore di non ritrovarlo. Non lascio lo zaino, di cui mi libererei volentieri, perché non son certo delle mosse successive.Mi viene in mente ma non ho neanche il coraggio di andare a guardare se sulle foto che i ragazzi mi hanno scattato in cima, il marsupio c’era. Lo farò al passo se non lo trovo. Salgo con forza e in mezz’oretta recupero nuovamente i pendii sotto al passo e comincio ad aguzzare la vista finchè il cuore comincia a battere alla vista di una macchiolina marrone sull’erba poco più chiara. Sembra lui, dai che è lui…siiii è lui…lo raccolgo lo abbraccio e lo fotografo come avessi ritrovato un figlio. Sono le 13.35 e mi butto nuovamente verso valle attento ai segni che mi riportano ancora a sinistra ma stavolta guardando dubbioso il costone di destra, vedo lontano un tratto di sentiero e allora traversando nella neve in quella direzione scopro cartelli prima nascosti alla mia vista e recupero il sentiero originale che scosta sotto la neve di 90° a destra. Oh sembra che le cose si rimettano per il verso giusto. Il cartello indica Lizzola 2.45 h..sono le 14, ora sono di nuovo cotto ma dai è tutta discesa anche se sono ancora molto alto a circa 2400mt di quota. Più sereno ammiro la valle sotto di me che fulva di erbe secche è intarsiata di tanti laghetti blu e delle strisce d’acqua dei vari rami del fiume Bondione e delle macchie bianche di residui nevosi. Bel policromismo. Perfino Punta Stefania che chiude il vallone in alto da qua sembra meno brutta e arruffata. Giù si vede la verde valle di Lizzola..ma quant’ è lontana..guardo il Sasna e la cresta che lo unisce al Crostaro e so che ormai sarà per un'altra volta. Intanto atterro lungo i rivoli del torrente Bondione che serpeggiano divertendosi come puledrini liberi di scorazzare senza limitazioni per gli ampi prati ragalandomi scatti suggestivi coi loro giochi d’acqua. E poi ancora giù scivolando sulle verdi pendici del Cimone verso i grandiosi spazi verdi dei prati di Sasna anticipati da una zona paludosa con torbiera annessa. Poi lo spettacolo del verde che avvolge ogni angolo in una piana da fiaba e sono alle Baite di Sasna(q.1960,h 15) e fra altri giochi d’acqua e uno zoom rubato per l’ennesima volta alla Bocchetta di Porola, entro in quella che poi definirò la Valle Incantata. La prima immagine che colpisce è il fianco dx che verdeggiante la copre e la fascia ma subito dopo l’attenzione è catturata da un torrente che precipita costretto fra massi enormi e di un particolarissimo e strano colore tendente al rosso e in netto contrasto coi colori della zona. Fotografo e zoomo per verificare con calma a casa e poi m’immergo e m’illumino di verde che tutto fa brillare di meraviglia. Il torrente sotto di me scorre fra polle e pozze smeraldine che riflettono di schiuma e luce. Lo Scais occhieggia dietro i verdi abiti del Cimone, insoliti in questa prospettiva. Poi iniziano le cascate che inquadro fra mazzi di fiori e passeggio sul sentierino che mi trasporta dolce in questo paradiso perduto del tutto simile ad un giardino botanico dove domina il verde delle felci delle erbe, il rosa e le fioriture di rododendro, il giallo dei piccoli ranuncoli e tante altre specie che non conosco. Praterie si alternano a divallamenti verso il fiume che sul fondo rumoreggia sempre più insistente ed è spesso raggiunto da cascatelle laterali che ne decorano i fianchi. Arrivo ad un punto dubbio nel sentiero dove l’incrocio col sentiero delle Orobie mi fa perdere di vista il mio sentiero ( che di fatto scoprirò dopo, segue quello delle Orobie contrariamente a quanto segnato sulla carta!). Attraverso il torrente su bel ponte in legno salvo poi ritornarmene da dove sono sceso dopo aver girato intorno ad anello alla ricerca di indicazioni per Lizzola, che ritroverò solo più avanti sempre in sponda sinistra orografica. Alle 16.15 trovo infatti il cartello che definisco del sollievo perché indica Lizzola a 50 minuti. Fotografo dall’alto un magnifico scivolo d’acqua che cade su una pozza verdeblu sognando di potermici tuffare: che posto incredibile. Davanti a me una valle rasata di erbe sfalciate, mi ricorda il Tirolo (scoprirò poi che sono Le Piane di Lizzola) mentre ora il torrente è sprofondato rombante in un canyion di cui intuisco la presenza senza riuscire a scorgerlo. Poi riappare il nastro lucente d’acqua in nuove pozze e rapide e cascate con altre polle. Sembra un paradiso per amanti dei tuffi naturali e scatto foto e giro video per registrare il forte rumore delle acque che saltano e cadono festose ma anche potenti. Poi un altro scivolo con polla e continuo a pensare a quanto sarebbe bello scendere a toccare tutti questi posti che ammiro solo dall’alto del mio punto di osservazione. Ma ci tornerò. Ancora cascate, ancora polle, altre rapide in un susseguirsi continuo, fino a quando la valle si allarga e ne vedo la materna e ammiccante parte finale dove ampi prati e boschi d’abete si stendono ai lati del fiume per aspettarlo e accoglierne la ritrovata tranquillità. Che paesaggio da sogno, sembra una valle del Canada. Il verde continua a dominare e il torrente imperioso e ruggente è diventato ora un fiume che scorre sereno fra le erbe e i massi. Passo sopra un’altra distesa di placche lucide e bagnate da un velo d’acqua e che poi precipita in un’altra cascata e finalmente sono praticamente in piano. Non prima di essere attirato da un’altra enorme cascata a doppio salto che rumoreggia alle mie spalle nell’alveo principale. Resto basito per tutto quello che continuo a vedere e che è raccolto in un paio d’ore di marcia. La valle ora scende dolcemente per grandi distese d’erbe alte e volgersi indietro è sguardo di meraviglia e ammirazione per la bellezza che esplode in forme diverse in ogni direzione. Altre cascatelle solcano i fianchi ripidi che proteggono questo scrigno delle meraviglie e dopo aver letto un paletto con pensiero di Bonatti, incontro una strana coppia di figlio dei fiori e padre anziano del sud che mi raccontano del loro amore per questo posto dove hanno una seconda casa. Poi restano loro basiti sentendo il giro che ho fatto e mi trasformano in superman. Passo senza rendermene conto 10 minuti a parlare con loro dimenticandomi del ritardo ( solita cena promessa a mia moglie e per la quale non arriverò mai in tempo…). Oltre il fiume gli schiamazzi di una festa numerosa alla Casa degli Alpini e costruzioni in pietra adornano come fiori i prati ora rasati. Passo davanti alla baita dei miei sogni e con Fabio del posto facendo gli ultimi passi fatati, mi faccio spiegare altre curiosità su questo posto stupefacente che chiaramente lui apprezza solo in parte. Il sentiero ora è diventato carrozzabile e fra prati accuditi, mi conduce per mano con dolcezza alle case del paese fino al nastro asfaltato al cui inizio è posto il divieto d’accesso automobilistico. Sono le 17.20 e il mio viaggio fra le meraviglie è finito ma un’ultima gradita sorpresa mi attende: un lavatoio tutto per me dove tolti gli scarponi affondo nell’acqua gelida prima i piedi e poi tutto il resto in una scossa che mi ridona inaspettata vitalità e freschezza. Rigenerato torno all’auto e poi sosto al negozio dove con pochi euro mi faccio fare un panino al salame che mangio bevendomi una schweppes al limone. Che momenti! Che giornata pazzesca. Ora posso davvero tornare. E dire grazie. Grazie Montagna, grazie Natura, grazie Dani. Foto1 Glenino e Gleno nevaio del Trobio foto2 cresta Glenino Gleno Foto3 io dal Tre confini vs il Gleno
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