Home Gallery
Reports
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Mountain Bike
Archivio
Itinerari
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Fenio...menali
Forum
Ricerca
   meraviglie all'Alpe Veglia, 08/01/2023
Inserisci report
Onicer  oscarrampica   
Gita  meraviglie all'Alpe Veglia
Regione  Piemonte
Partenza  Ponte Campo  (1300 m)
Quota arrivo  2000 m
Dislivello  1000 m
Difficoltà  EE
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  ciaspe
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Dopo la rapida puntata pre natalizia all’alpe Devero, continuo l’esplorazione dell’Ossola puntando questa volta all’Alpe Veglia dove non ero riuscito ad arrivare la volta scorsa. Robi mi da buca e mi ritrovo il 4/1/2023 a partire solo per il Piemonte. Punto la sveglia alle 4 ma mi sveglio alle 3.30 e pimpante mi alzo dal letto. La roba è pronta dal giorno prima e decido di prepararmi il termos col tè caldo. Salgo in macchina e nel buio silente l’auto mi trasporta oltre Milano direzione Gravellona e poi la svolta a dx sulla strada del Sempione in direzione Varzo San Domenico lungo la tortuosa Val Cairasca. Improvvisamente premo forte sul freno con la macchina che in salita scivola sull’asfalto e riesce solo miracolosamente ad evitare l’impatto con un cervo enorme e dal palco gigantesco che ha attraversato la strada e come è apparso scompare nel bosco sottostante. Mai vista una bestia così grande. Ancora scosso, arrivo al park dell’altra volta e trovandolo sgombero di neve e non vedendo divieti scendo per la strada due settimane fa completamente innevata e che ora appare quasi sgombera. Arrivo così velocemente a Ponte Campo slittando un poco sui rimasugli di neve e ghiaccio che rendono l’incedere dell’auto simile ad una barca col mare mosso. Faccio manovra per sistemare un poco meglio l’auto ma le gomme iniziano a slittare e dopo vari tentativi desisto essendo comunque abbastanza di lato. Ci penserò al ritorno confidando nel disgelo. Eseguo nel buio e nel gelo il rito della vestizione invernale e alle 7 parto dai 1320 m. del park. La neve si è sciolta e anche il primo tratto di sentiero è pulito e rimbalzo duramente coi miei Scarpa invernali. Ammiro l’ampia carrareccia in piastrelle di porfido che la mia frontale illumina e poi inizio a traversare coni di valanga che sono rimasti dalle scariche delle pareti soprastanti del Pizzo valgrande e Forato che quasi verticali s’alzano sopra di me. Fotografo l’alba nel buio assoluto che colora il pezzo di cielo oltre le luci della dormiente San Domenico e procedo in salita a buon ritmo. Intanto rischiara e passato il bivio attrezzato per l’Alpe Vallè, arrivo in vista della Cappella Groppallo ma prima devo oltrepassare un rischioso traverso su neve gelata dove sono costretto a battere furiosamente gli scarponi sulla neve ghiacciata per avere un minimo di sicurezza. E’ impressionante guardare sotto dove si finirebbe in caso di malaugurata scivolata che non avrebbe nessuna possibilità di arresto visto il precipite dirupo che si apre oltre il bordo. Tre quarti d’ora dopo la partenza faccio una preghierina davanti alla cappella e svoltato l’angolo sono rapito dall’apparire di una bellissima montagna ( che scoprirò poi essere la Cima del Rebbio) e dallo spianare del sentiero che ora si sviluppa orizzontale sopra l’impressionante gola del Cairasca che scivolando si raggiungerebbe transitando su ripide colate ghiacciate. Un sentiero banale è oggi trasformato in un pericoloso procedere sulla dura neve svalangata o sull’esile bordo pulito ma a tratti vetrato. Procedo sempre con molta attenzione e un poco di tensione che si scioglie in ammirazione quando fotografo un incredibile larice il cui tronco come un serpente si alza sopra le rocce che ne fanno il basamento. Poi alle 8 nel silenzio che attende carico di meraviglia esplode l’emozione quando le cime innevate davanti a me si accendono di luce e dolcemente virano dal rosa tiepido all’arancione sempre più intenso. La Cima del rebbio diventa una torcia spettacolare e poco più avanti tutta la cresta s’incendia fino alla Punta di aurona. Cammino esterrefatto con un occhio a dove poggio gli scarponi e l’altro rivolto al cielo e alle cime. Che spettacolo che fortuna essere qua ora a ringraziare per il dono che l’Universo mi concede. Saprò amare dell’amore con cui sono amato? Intanto procedo in questo contrasto cromatico tra il buio e gelido abisso della forra sotto i miei piedi e il calore infuocato delle cime sopra la mia testa. Arrivo cxosì allo spiazzo detto La Porteia(q.1710,h 8.10), immagino perché è di fatto l’ingresso alla grande piana dell’ Alpe Veglia. 5 minuti dice il cartello..e poi capirò. Intanto il panorama si apre sulla destra fino a cima delle Piodelle con la rossa carezza che tinge le dorate rocce che splendono sull’ovattato e silente bianco sottostante: un mondo da risvegliare con dolcezza! Pareti vanno a fuoco e diventano irresistibili in un mondo ancora biancoenero. Un cartello sulla prima casa avvisa dello “scarghè” avvenuto mesi prima e cioè il giorno in cui i malgari sono scesi a valle abbandonando alla neve dell’inverno la stalla. Un attimo dopo emerge fra i larici un altro incredibile trapezio rossastro (Punta di Terranova) che mi fa sussultare di bellezza. Ma è la visione successiva di una mostruosa parete su cui il sole gioca a lanciare i suoi raggi e la neve mossa dal vento crea pulviscoli dorati a rapirmi il cuore. E’ immensa come il k2 ed è la stupefacente parete Est del Monte Leone che giganteggia in questo angolo di mondo dall’alto dei suoi oltre 3500 mt di quota. Resto incantato, basito per la magnificenza e l’immensità di questa improvvisa apparizione. Mi sposto ancora un poco in avanti e non so più dove guardare perché l’incendio si è propagato e tutto brucia di rosso. Scatto in continuazione rapito da troppa grazia e alle 8.25 finalmente si apre sotto i miei piedi la grande piana immacolata dell’Alpe Veglia. La prima immagine del villaggio di Cianciavero con i suoi tetti di pietra galleggianti sul mare bianco e con alle spalle la grande onda pietrificata del monte Leone, non me la dimenticherò mai. Mi guardo in giro smarrito in questo deserto bianco circondato da dune rocciose dorate di sole e non so bene dove dirigermi che un programma preciso non ce l’ho e per ora scatto foto da ogni parte che tutto merita in questo tributo alla grandiosità alpina. Tutto brilla con tonalità miele ovunque che colano sulle bianche mura delle casette di aione che sembra un villaggio uscito da una fiaba. Il Re Leone sta ad est e al suo fianco illuminata di riflesso sta la grandiosa cresta di confine che partendo dalla Punta di Terrarossa passa per la Cima Vallaperta, la Punta di Aurona, il Rebbio e poi fino alla Cima Piodelle. Vago per la piana scattando fotografie con il sole che ora sta entrando anche nel fondovalle regalando ulteriori giochi di luce ed ombre che rimbalzano un poco ovunque. Mi avvicino alle bellissime case in pietra di Cianciavero e mi appunto il numero di una che è in vendita e poi raffreddato dall’ombra mi dirigo verso le case di Aione che stanno invece al sole per concedermi una colazione riscaldata. Ci arrivo seguendo un torrente incantato che si snoda gorgogliante fra la neve e superando un ponte in legno chiaro in stile Walt Disney. Mi arrampico sui gradini esterni, in pietra chiara, di una casetta risistemata ad arte con le classiche piode per tetto che ne fanno costruzioni mirabili e bellissime. Fa freddo, il sole non scalda perché i primi raggi sono ancora gelati ma tutto è troppo bello e fatato per non gustarsi il momento e il tè caldo è poesia allo stato puro anche per lo stomaco. Mi beo della pace silente che regna e poi mi metto a consultare i foglietti scaricati dal web per decidere cosa fare. Seppur attirato dall’ipotesi di sfidare le montagne e salire ai 2650 metri della Forca d’Aurona per guardar giù la Svizzera dall’altra parte propendo per una scoperta del luogo e delle sue particolarità. Mi muovo alle 9.30 ben rifocillato e un poco riscaldato per tornare nell’ombra: comincerò dalle marmitte dei giganti che si trovano disegnate sul foglietto sopra Cianciavero (q.1730, h 9.40) che quindi attraverso godendomene le straordinarie e rurali architetture oltre che la suggestiva vista dall’alto. Un cartello indica 15 minuti e la neve regge abbastanza, già trasformata da quest’inverno caldino. Mi dirigo vs il Leone seguendo vagamente il sommerso sentiero coperto dalla neve e che scorre accanto al giocoso rio Cianciavero. Supero l’evidente sentiero che scarta a destra verso Pian cucco e proseguo seguendo il fiume fino alla prima ampolla con tanto di legenda che spiega che più avanti se ne trovano altre. Forse con più acqua l’effetto è migliore e siccome la neve è alta e questa prima non è uno spettacolo incredibile, desisto e scendo con l’intenzione di seguire la direzione scartata prima. Mi si offre una bella vista sulla cresta illuminata de Gli Amonciei che brilla come una corona sopra le tenebre del bosco per andare a saldarsi come una costola sulla parete del Leone. Ora seguo la bianca e intonsa linea bianca che si snoda fra un maestoso bosco di larici e che termina ai 2000 metri di Pian Cucco ( h10.30) un grazioso spazio bianco racchiuso in un cuore di larici sotto l’onnipresente grande parete. Mi guardo in giro e non rinvengo altre tracce e allora ad occhio cerco di recuperare la direzione verso la Piana del veglia e scendendo per il bosco con belle visioni sull’ora evidente Pizzo Moro, perdo quota rapidamente e quando avvisto un cartello, lo raggiungo e con divertita sorpresa scopro di essere al lago delle Streghe( q.1830, h 11) la seconda tappa che avrei voluto vedere. Il lago non c’è ma se ne intuisce lo spazio nella piccola valletta che ora è tutta innevata. Vado oltre e sempre in discesa recupero l’aria aperta fuori dal bosco proprio sopra le case dell’Alpe Aione e stavolta virando nella piana a sx mi dirigo verso i villaggi di Ponte e Isola che stanno a nord. Non prima di aver fotografato l’incredibile rifacimento di due casette accostate che sembrano le gemelle più belle della classe di casette una più graziosa dell’altra. Cammino in piano verso la Cima del Rebbio che si eleva imperiosa sopra le case del primo villaggio in questo viaggio che sembra svolgersi nella tundra canadese. E’ raro in Italia trovare spazi piani in quota così estesi. Raggiungo prima le casette di Alpe Ponte e poi traversato un altro bel ponticello in legno anche quelle di alpe Isola(q.1740, h 11.30) caratterizzate dal ristrutturato per metà Albergo Alpino. Fonti che danno acqua sorgono ovunque e impreziosiscono il paesaggio. Qui davanti c’è un grande prato bianco che si apre in ogni direzione donando poesia al luogo : verso l’ingresso della valle, verso il Monte Leone o verso sinistra dove mi aspettano le casette di un altro villaggio. Cammino nel bianco immacolato e raggiungo un’altra fonte, una bella panca in legno sagomata ad onda ed una tabella con illustrate le cime che si vedono. Un cartello ligneo indica la direzione per le vicine e ammassate case di Cornù che in coro gridano per attirare la mia attenzione: le vedrò per ultime ma non son certo le meno belle. A mezzogiorno sono in località Cornù (q.1750) dove potrei chiudere il cerchio e tornare a Cianciavero ma l’indicazione Pian Du Scricc h 0.45 diventa il mio nuovo obiettivo e prendo a salire per la lieve depressione nevosa del sentiero che si perde nel bosco e proseguo sulle tracce delle martore che a lungo mi guideranno nel mio successivo girovagar per boschi colmi di neve. La neve regge quasi sempre e solo talvolta sprofondo e quindi le ciaspe rimangono inutili appendici al mio zaino. Salgo ora e punto deciso ad ovest verso il Pizzo Moro che troneggia sempre più autoritario e padrone incostratato di queste lande. Mi affaccio oltre i larici sul candido pianoro dove in fondo occhieggia una baita che dovrò raggiungere se riuscirò ad attraversare il deserto di neve che da lei mi separa. Mi addentro in questo paesaggio dall’atmosfera sempre più canadese ora che il cielo azzurro si è coperto di velature e il timido sole occhieggia spaurito donando tinte metalliche tipicamente invernali al muto bosco e alle montagne che non respirano. Rivi d’acqua mi corrono incontro abbracciati da alte sponde di neve e penso a quanto dev’esser bello anche d’estate questo posto. La neve un poco più riscaldata regge meno ma non è tempo di ciaspole. Passo a lato di un enorme macigno che sembra tagliato tanto è squadrato e che nel suo volo da chissà quale altezza, è atterrato e s’è diviso come colpito da una spada. Riparato fra le due parti qualcuno ci ha ricavato un posto da bivacco e guardando il Leone che sorride un poco lontano oltre chilometri di bianca coltre, sogno di passarci una notte sotto le stelle. Alle 13 sono all’onnipresente cartello che segnala Pian Du Scricc q.1935 e traversando un paio di ponticelli su tronchi raggiungo la baita, bellissima,grandissima e chiusissima. Cercando trovo solo un ingresso riparato, un buco dove mi rintano felice a consumare il mio pranzo e dove posso sedermi all’asciutto abbracciato dalle pietre che costituiscono le pareti di questo anfratto. Che buono il tè caldo, che piacere quella dolce onda di calore che passa a scaldare un poco il corpo gelato. Era tempo che non succedeva mentre ho passato interi inverni a Caprile a battagliare con neve e gelo..mi mancava una giornata così…mi piace ancora tanto e bevo la tazza fumante di felicità sorridendo al grandioso panorama che mi accetta, mi accoglie…duro ma sincero. Grigio bianco e nero ora la Punta di Terrarossa mi sembra il Gasherbrum…mamma mia quanta bellezza! Mezz’ora dopo riprendo la via della neve dove i cartelli stanno in un indefinito bianco indicando direzioni indefinite e sono sempre le martore a batter traccia (salvo qualche scostamento improvviso, troppo netto per essere del sentiero…) questa volta in direzione dell’Alpe La Balma da cui poi dovrei chiudere il mio giro ad anello tornando al Veglia. Passo sopra al bellissimo pian du Scricc lasciandomelo a destra e poi affondo nel bosco immacolato risalendo l’altro lato della valle e pronto ad usare le ciaspole se la neve non torna dura. Larici incredibili segnan la via e so già che tornerò in Autunno ma questo sembra un luogo 4 stagioni. La martora mi guida e raggiungo dopo essermi perso un cartello che indica Alpe Staralegno a 10 minuti ma San Domenico a ore 2 passando dall’Alpe Ciamporino e mi viene il dubbio di non trovare con la neve il sentiero segnato su una carta per andare direttamente a San Domenico. Sono le 14, rischio di perdermi, far tardi e non riuscire a liberare l’auto dalla neve per cui declino l’offerta e su ampio sentiero immacolato scendo felice vs La Balma. Ad ampie svolte stile surf su onde di neve raggiungo l’ultimo insediamento (q.1770) mezz’ora dopo. E’ un altro luogo da sogno con l’onnipresente Leone a dominare e casette ristrutturate ad arte e che si fondono mirabilmente con il paesaggio. le casette in pietre lavorate e per questo solo un filo più chiare degli enormi massi erratici che le circondano sembrano un presepe di cui io sono il solo protagonista o visitatore. Mi aggiro fotografando e sognando quanto sarebbe bello possederne una. Pietre naturali e tetti smaltati di neve chinano il capo al Re Leone che domina questa valle e la piana stesa ai suoi piedi. Ma non c’è timore, solo tanta armonia. Un’altra baita è in vendita, un cartello indica Alpe Veglia nella direzione contraria e poco dopo sono perso nella neve su un costone troppo ripido sopra la piana. Lo costeggio fin quando la pendenza diventa accettabile e a grandi salti raggiungo felice la piana. Ora sprofondo veramente tanto e questi passi, gli ultimi per riportarmi verso il sentiero percorso all’andata sono veramente faticosi e solo alle 15.15 raggiungo felice il cartello dove incrocio le tracce dell’andata. Mi manca solo di raggiungere La Porteia e seguire il sentiero che indica Pian Du scricc e che passa sopra l’orrido di cairasca per vederne il ponte. Scendo un poco di malavoglia (pensando alla risalita) vs l’orrido ricoperto di ghiaccioli e il ponte (di quelli sostenuti a travi puntate) permette di ammirare la sottostante forra dove l’acqua muggisce trasformandosi da verde in bianca schiuma ribollente: da tuffo in altra stagione! Qui l’uomo ha posato le proprie mani imbrigliando l’acqua e creando una condotta laterale non so se per ragioni di sicurezza o di sfruttamento idroelettrico che toglie un poco di fascino al posto. Risalgo e in neve molle prendo a traversare in leggera risalita verso la Cappella di Groppallo. Non distratto dall’alba furiosa dell’andata assaporo i pericolosi sprofondi a sinistra trovandoli veramente insidiosi. Nonostante la neve sia un poco più tenera la stanchezza mi rende più attento e insicuro e mi fermo spesso a guardar giù gli incredibili precipizi erbosi e poi ghiacciati. Un balzo di un centinaio di metri mi divide dal fondo della gola che tetra e nera, severa non sorride ammonendo il viandante che la contempla. Eppure il suo richiamo d’acqua che mormora seduce come il canto delle sirene di Ulisse e mi viene in mente un discorso fatto con Simone sul Viaz de l’Oliana dove parlavamo dell’attrazione un poco masochista che ci attrae verso i luoghi cupi e misteriosi dove la bellezza si mescola al timore. Ci penso mentre sono fermo ad osservare la svolta a gomito che la forra compie dopo un muro nero precipite che in essa sprofonda. Poco dopo le semplici mura della cappella del Groppallo da cui transito dieci minuti prima delle 16, segnano il ritorno alla luce e alla serenità che la preghiera sa donare e lo sguardo si apre agli spazi aperti verso la piana che precede San Domenico le cui luci non son ancora accese. Vedo ancor lontana la mia Peugeot e mentre fatico con gli scarponi pesanti sui ripidi tornanti lastricati e sgombri a tratti di neve, penso a se riuscirò a liberarla dalla sua gelida prigione. Mi distrae dal dolore ai piedi un’allegra combriccola di stambecchini il cui manto sembra un batuffolo di morbido cotone e che saltellano sotto gli sguardi preoccupati, per il mio arrivo, di mamma e capo branco. Poi più in basso una scorciatoia ripida diretta e soprattutto innevata mi risparmia passi sulle dure pietre del lastricato e dopo alcune foto al torrente Cairasca che scende a grandi balzi dalla valle che si è scavato nella roccia, raggiungo nuovamente Ponte Campo alle 16.30. L’auto partirà sgommando e rappresenta l’ultima bella notizia di una giornata straordinaria. Guidando come Starski e Hutch raggiungo le stradine pulite di San Domenico nel cui parcheggio mi fermo finalmente rilassato a sistemare il materiale e a cambiarmi. Foto1 alba su Punta d’Aurona e Cima del Rebbio Foto2 incredibile Leone Foto3 meraviglia Alpe Veglia
Report visto  2245 volte
Immagini             

[ Clicca sulla foto per ingrandire ]
Fotoreport