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   Nel Boral de la Besausega, 27/07/2015
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Onicer  oscarrampica   
Gita  Nel Boral de la Besausega
Regione  Veneto
Partenza  Forno de Val  (700 m)
Quota arrivo  250 m
Dislivello  2100 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  in buone condizioni nulla..possibile uso di ramponi in bassa stagione e con lavinale carico di neve
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Buone
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Gennaio 2015 vacanze di famiglia a Caprile. Il giorno 5 complice la secchezza ormai diventata triste abitudine in questa stagione, propongo a Giona il più montagnino dei miei figli di accompagnarmi in un’ escursione pensata da tempo. Andare a vedere il Boral de la Besausega (Canalone della Strega) il cui nome già da solo vale il biglietto e dove leggenda vuole venivan portati i ragazzi di Taibon per un viaggio iniziatico che li avrebbe trasformati in uomini. Rotta su Agordo in un cielo blu come solo le giornate invernali sanno offrire e alle 10.30 la luce che inonda la seconda Pala di San Lucano vale già la giornata. Un cartello nuovo di pacca indica la direzione con la dicitura sottostante in rosso di sentiero difficile e toglie un poco di mistero al percorso immaginato. Ci troviamo dopo Taibon Agordino (660m) e ci siamo addentrati nel paese seguendo le indicazioni per la valle di San Lucano. Una volta passati dalla frazione Forno di Val, abbiamo parcheggiato a ridosso delle ultime case, nei pressi di una fontana, e proseguito per poco sulla strada asfaltata, per prendere a destra la ghiaiosa carrareccia diretta all’eco-piazzola comunale (pochi metri sotto la vecchia cava). La si lascia quindi sulla destra, continuando per la strada. Dopo qualche minuto i segnali biancorossi sulla sinistra, fan prendere la via del bosco che colpisce subito per la luce forte quasi estiva e il colore secco e giallo dei larici e del sottobosco che appare in veste tardo autunnale più che invernale. E fa caldo. Non par proprio di essere in gennaio. Solo l’Agner che sbuca fra gli abeti sul lato opposto mostra la cupola innevata a ricordar la stagione. Poi nel fitto del bosco torna addirittura anche il verde e la sensazione di secco si riduce un poco. Gio sale veloce nella sua felpa e guanti rossi fino a quando entriamo in una zona sassosa sotto una cuspide rocciosa che funge da orientamento come la piramide di roccia grigia che abbiamo davanti. Alle 11.45 entriamo in un grande macereto di pietre che purtroppo i segnavia ci invitano faticosamente a risalire come il successivo erto e lungo pendio erboso. Fatica e sudore. Dopo una svolta a sx fotografo Gio da sotto ergersi nel cielo limpido e pochi passi bastano a ritrovare spazi aperti che dominano sulla piana di Agordo dominata dai Tamer,dal Moschesin e dal Talvena e verso sud dai Monti del Sole con in fondo la Pala Alta che grida per farsi notare. Davanti a noi invece la punta dei Piloi con la selletta che rappresenta un passaggio chiave del sentiero e che raggiungiamo alle 12.30. Oltre entriamo in un mondo arcano con l’enorme seconda Pala di San Lucano che sbarra vista e pensieri e fa intuire dopo apparente e temibile traversata in parete l’esistenza del Boral, ancora nascosto da una quinta rocciosa. Troviamo un grande faggio sotto il quale Gio si siede a bere un po’ di coca, ansimante e nell’ombra della fermata lo invito a rimetter la giacca. Fuori i wafer e mentre lui si rifocilla faccio due passi in esplorazione individuando l’inizio della cengia che si alza in parete a traversare verso la porta del Boral. Quando torno da Gio, non ha molta voglia di proseguire anche perché non riusciremmo probabilmente ad arrivarci e tornare in tempo e la mission di studio può ritenersi soddisfacente e quindi tranquillamente invertiamo il senso di marcia e sui nostri passi scendiamo nuovamente a valle dove arriviamo per le 15 pronti per tornare a Caprile e bersi un bel tè fumante visto che la temperatura ora che ci siamo fermati è decisamente calata. Grande Gio. 27 luglio 2015, oggi riparto per il Boral deciso a completarne il percorso anche se la giornata non è molto ok dal punto di vista meteo con brume nebbiose e nuvole nere che passeggiano fra l’Agner e le Pale di San lucano. Parto alle 6.45 in un contrasto di ricordi inconciliabili con la volta precente: ora se non fosse per gli abeti, mi sembrerebbe d’essere in una foresta pluviale tanto tutto è umido. Seguo inizialmente una carrareccia fino a che (segno) non si incrocia, sulla sinistra, lo stacco di una traccia che si inoltra nella vegetazione: si imbocca il bel sentierino che, con pendenza moderata, comincia a salire nel fitto bosco misto di conifere e latifoglie. Non si trovano indicazioni di sorta, ma la traccia è buona e, di tanto in tanto, un segnavia rassicura sul fatto di essere sulla strada giusta, puntando all’evidente (già dal park)piramide nera. Dopo l'inizio segue una lunga quanto inaspettata traversata verso Ovest che porta innalzandosi lievemente fino alla base delle piccole e caratteristiche cime dei Piloi sul fianco Sud-Ovest della Prima Pala di San Lucano. Guardo perplesso l’Agner e lo Spiz sui quali infuria evidente il maltempo sulle rocce slavate e scure e poco dopo cerco riparo sotto dei costoni dalla pioggerellina fitta che da un poco mi aveva inzuppato completamente sostituendosi al sudore nel processo di raffreddamento del mio corpo. Dopo 10 minuti spiove ed esco dal mio anfratto godendo dell’aria fattasi più frizzante e assaporando il paesaggio da Jurassik Park con i vapori d’umidità che galleggiano ovunque. Giunto ad un piccolo pulpito ben affacciato sulla vallata sottostante e sulle altissime pareti del Monte Agnèr, il sentiero comincia ad impennarsi sensibilmente: prima attraverso una colata di grossi massi e poi nuovamente nel bosco, la traccia sale ripidissima, senza mai concedere tregua, fino a che, con progressivi spostamenti verso sinistra, si guadagna una piccola selletta appena sottostante la guglia detta "I Pilòi"(q.1400 m, h 8.10). Scavalcata la forcella, le nebbie galleggiano sul baratro rendendo dantesco l’ambiente mentre gli aliti della valle si proiettano sul luogo di un incendio mai scoppiato. Con felicità ritrovo i tre faggi dove mi fermai con Giona quest’inverno. Riguadagno la cengia che sembra artificiale da quanto nettamente taglia la parete e inizio a percorrerla nella nebbia che cela il futuro ad ogni mio passo rendendo l’incertezza sovrana. Comincia l’ incredibile camminamento che sospeso sul baratro fra cenge e traversi conduce comunque senza difficoltà tra un esposizione e l’altra, vari saliscendi e qualche ricerca della traccia migliore al distante fondo del boral. Dal fitto delle ramaglie s’intuisce solo che con percorso circolare si danza sul vuoto senza quasi mai rendersene conto e si traversa e si traversa tra saliscendi più o meno accentuati caratterizzati da cengette erbose, a volte esili ed un poco esposte e passando sotto gli appicchi vertiginosi della parete nord della Prima Pala. S’incrocia prima un’altro canalone orrido che s’alza verso l’alto inghiottito dalle nebbie e poi si avvista il parimenti vertiginoso approccio della Seconda Pala dove parte una famosa via di Gogna. Infine, dall’alto prima si avvista e poi si inizia a scendere per traversi erbosi verso il profondo e repulsivo solco del Boràl della Besàusega nei pressi di un enorme sasso franato che occupa gran parte dell’angusto canalone. Sono le 9.15 e provo l’emozione di essere in un luogo speciale sospeso fra gli abissi che stanno sotto e le muraglie verticali che s’alzano sopra. Io nel mezzo ho questa via che è una linea di sutura fra queste dimensioni verticali. Ambiente infernale, cupo e impressionante, e si cammina sovrastati da incredibili e sterminate pareti di roccia che hanno dimensioni sovrannaturali. Bolli rossi danno uno strano senso di civiltà e seguirli è simbolico perché non si può andare da nessun’altra parte. Tra enormi massi franati dalle pareti laterali salgo fino a scorgere sopra di me il pilastro staccato della Via Gogna e incontro salamandre nere in continuazione loro amanti dell’umido che qua certo regna sovrano. 15 minuti di salita dopo avvisto un grosso nevaio chiuso fra pareti rocciose e salgo in sua direzione: alimentato da enormi valanghe ma esposto in pieno Sud può presentarsi nelle condizioni più disparate e costituire anche un ostacolo insormontabile se sprovvisti di picozze e ramponi. Salgo sul dorso di questo gigante addormentato camminando piano e attento perché non si svegli e abbia a scrollarsi di dosso la mia insignificante formichina. Attento a non scivolare mi muovo con cautela e avanzo seguendo questa sporca onda bianca che come un serpente gigantesco sale e scivola fra le pieghe della roccia: sono sicuramente alto parecchi metri rispetto al fondo. I detriti sassosi e lo sporco aiutano la mia progressione ma quando vedo gli enormi crepi laterali ne rimango impressionato ma non come quando vedo il termine del nevaio rappresentato da un’onda da surf gelata che mi chiedo come farò a risalire senza ramponi. Mi avvicino attento a trovare soluzioni laterali ma poi il colpo di scena è rappresentato da un foro nella parete nevosa che mi permette di passare sotto l’enorme antro ghiacciato e con un poco di apprensione sbucare sano e salvo dall’altra parte e volgermi quasi incredulo a fotografare le incerte, incredibili ed enormi vele nevose sotto il quale sono passato. Trovo l’ennesima salamandra che soprannomino dei ghiacci. Ora davanti a me il canale prosegue fra enormi massi sovrapposti che comunque si superano facilmente fino ad arrivare ad una placca/parete rocciosa appoggiata che, solo una decina di minuti prima, pareva il fondo d’un vicolo cieco e che invece si può salire con facili passi di arrampicata(I/II° grado) oppure servendosi del cavo metallico con cui è attrezzata(stonano un poco i ferri in questo ambiente incontaminato tanto che poi non sono così necessari perché dubito che chi si caccia in questo posto non sappia arrampicare sul II° grado!). Superato questo passaggio (h 10) la traccia devia decisamente a destra uscendo definitivamente dal Boràl che prosegue verso l’alto a dividere la prima dalla seconda pala. Abbandonato il canalone, un’esile cengia mi riporta sui verdi. il sentierino comincia ad inerpicarsi su ripide pareti macchiate d'erba sotto l’enorme parete nord della Prima Pala che troneggia alta e minacciosa; salgo con fatica (e aggrappandomi ai mughi!), con visibilità sempre pessima, per traccia e qualche facile roccetta, fino a guadagnare la sommità di un primo dosso (1800 m circa). Da qui il percorso prosegue inesorabile verso l’alto, non molla mai e favorisce un silenzio che si fa ascolto, fino a portarsi sotto un saltino erboso nei pressi di un larice solitario. Sono le 11 e vedo sprazzi di cielo azzurro per la prima volta nella giornata. Risalgo un canale terroso e supero qualche facile salto di roccia, fino a guadagnare l’orlo del terrazzamento soprastante; in uno di questi passaggi in traverso( molto esposto per via della frana del sentiero) i miei occhiali messi sulla fronte per il sudore, s’impigliano fra i mughi e spariscono di sotto senza possibilità di tentarne il recupero. Un branco di camosci prende il primo sole di giornata fra l’erba che luccica di rugiada. I panorami cominciano a farsi sempre più ampi e il cielo sempre più azzurro. La seconda Pala alla mia sinistra appare fra nebbie e macchie di azzurro e col Campanile della Besausega ora ci guardiamo negli occhi. Vapori salgono veloci dal basso e tutto attorno a me nuovamente sparisce: inghiottiti i colori torno a vivere in bianconero ma da quel che vedo e percepisco potrebbe non mancare molto perché si sente aria. Segnali guidano e aprono il varco verso l’alto fra stelle alpine genzianelle e tante tante calendule . Mi esalto davanti ad un mazzo stupendo di sassifraga e poi ancora nebbia e mura rocciose che sembrano interrompere la mia fuga verso l’alto..ma c’è un varco una sorta di canale erboso che punta l’apparente vuoto soprastante.. lo salgo praticamente di corsa, curioso ed eccitato e la felicità mi esplode dentro alla vista dell’immenso altipiano che inizia ai miei piedi ed esalta la differenza di vbedute fino a poco tempo fa di raggio limitato e in spazi angusti. Ora erba, distese di mughi e di cielo e oltre una piccola spalletta l’altipiano con le nebbie che lo percorrono. Un’onda di luce mi rivela il piccolo colle dove brilla come un gioiello il rosso Bivacco Bedin sulla piatta e ampia cima della Prima Pala di San Lucàno (2221 m, h 11.30). Il panorama è davvero grandioso, e la vista è libera di spaziare a 360 gradi dai vicinissimi e imponenti Civetta, Moiàzza e Agnèr fino alle più lontane cime dolomitiche; bellissimo davvero! Come superlativo è anche il piccolo e confortevole Bivacco Bedìn (9 posti letto, serbatoio di acqua piovana e ... grande vista, non oggi, assicurata dalla grande pareti a vetri dove godere la sky line!). Ora il cielo è abbastanza azzurro ma nuvoloni enormi aleggiano tutt’intorno e solo le Moiazze emergono massicce e imperiose. Si vede poco dalle parti del monte San lucano, dove vorrei andare. Dopo ampia pausa in attesa di schiarita riparto alle 13 e causa scarsa visibilità non punto vs il san lucano come avrei voluto ma sbagliando vado verso il basso e traversando incredibili prati di calendule, mi trovo inaspettatamente sopra una baita che quando ci arrivo, scopro essere Malga Ambrusogn(q.1770, h 13.30) . Ora il cielo è tornato azzurro e sopra di me sorride beffardo il Monte San Lucano..ma chi ha voglia di tornare su ..che magari poi si copre e mi prende in giro un’altra volta. Consultata la carta e riorientatomi, per erbe altissime e fastidiose che celano completamente il sentiero mi dirigo a risalire vs F.lla gardes, erbosa come il percorso per arrivarci (q. 2000, h 14.30). Il panorama si apre sulla costellazione rocciosa delle Pale di San Martino che mi diverto a zoomare (Focobon,Cima della Vezzana,Zirocole e Bureloni) tra una foto e l’altra a dei cardi meravigliosi che si fanno a spallate con le erbaglie. Sull’altro lato della forcella c’è più ordine e l’erba è meno alta e selvatica tanto che il sentiero finalmente in discesa man mano riprende dignità e aiuta a scendere dolcemente per i bei prati della Valle di Gardès. Continuando a scendere, si giunge alla Casèra di Gardès (1774 m, possibilità di ricovero, focolare e acqua) ormai fatiscente ma dove l’antropizzazione e gli animali hanno lasciato scorie azotate permettendo alla lavazza di crescere rigogliosa e indisturbata. Poco dopo alle15, trovo un piccolo rigagnolo al quale estinguo la mia sete bevendo avidamente. Intanto il sentiero si è trasformato in mulattiera e, poco dopo, abbandona i verdissimi prati della valle per immettersi nel bel bosco di conifere; cambiano i panorami e ora davanti ai miei occhi la pala ricoperta di verde della Lastia di Gardes. Scatto bellissime foto ad uno scoiattolo giocherellone tra i grandi rami di un abete e seguendo un cartello sbuco nella stupenda piana erbosa che accoglie Casera Malgonera( q.1580,h 15.30) magnifica costruzione in legno bella fuori e ancora più bella dentro con principesca zona cucina e inverosimile camerata per dormire con materassi lenzuola e cuscini da ostello. Durera’…in questi tempi strani dove i vandali sembrano non conoscer confini?..speriamo. Fatico ad abbandonare la quiete e la serenità che si respira in questo luogo incredibilmente bello, solitario e tuttosommato vicino alla civiltà. Poi con calma fra un reportage fotografico dell’agner e la sua corte (Lastei,Croda Granda,Cime Vani Alti, Cime dei Marpr e del Coro e infine l’aguzza Cima Alberghetto..che hanno il solo torto di stare un poco discosti e farsi i fatti loro all’ombra del borioso padrone…) ripenso al sogno chiamato Spigolo Nord e lo fotogra fo all’infinito anche perché ora la luce è caldissima e brillante e da qui se ne ha la prospettiva migliore perché un poco laterali e non oppressi dalla sua immensità come quando si è troppo sotto e la visuale resta un poco schiacciata e alterata. Arrivo così tranquillamente a Pont(q.1150, h 16.15) e alle sue belle cascatelle. Poi l’incanto si apre sul lato sinistro della valle e via di foto anche sulle pale di san lucano (dove invece il sogno si chiama Via del piano inclinato) e da cui qui si ha una vista fantastica mentre sale verso la Prima e Seconda Pala sotto l’occhio attento e vigile dello Spiz di Lagunaz. Che posti,che montagne,che dimensioni ciclopiche e ultraterrene! E poi scendendo in valle le pale si allineano e salutano dalla Quarta passando dalla Cima Van del Pez, alllo Spiz e poi la Terza e la Seconda. Zoomo sui tratti alti dello Spigolo Nord dove sono nascosti i tiri chiave della via e sul Piano Inclinato che ora vedo di profilo. Lo Spiz Nord d’Agner brucia come una fiaccola di roccia nella luce del pomeriggio e buca il cielo azzurro e dall’altra parte a destra la Torre Armena montagne incredibili che altrove sarebbero regine e che invece qua sono solo l’intro per l’Agner che si alza liberandosi sopra il loro abbraccio. E gli abeti stendono il loro tappeto verde come si deve al cospetto del Re. Attraverso una calda e semideserta Col di Prà e per stradina fino al bivio che induce a traversare il Tegnas(h 17) e correre verso il Biv. Cozzolino..ma sarà.. speriamo per un’altra volta. Ormai superato lo spigolo mi volgo a rimirarlo. Ora sembra un gigante che dorme sdraiato e ha fattezze più morbide. Ma è ancora la sagoma incredibilmente slanciata dello Spiz Nord a catturare l’attenzione con la sua incredibile verticalità di colonne e torri che s’arrampicano a far solletico al cielo. Esaurito il compito fotografico uso le dita per l’autostop e poco dopo sono all’auto. Che postone ragazzi, per gli amanti della solitudine (viste solo decine di salamandre e qualche camoscio…) e del wilderness. Evviva il Boral. Foto1 le pale di San Lucano Foto2 nel Boral Foto 3 l’inizio del lavinale

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