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   Tre giorni per il Bus de le Neole, 25/07/2006
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Onicer  oscarrampica   
Gita  Tre giorni per il Bus de le Neole
Regione  Veneto
Partenza  agre  (400 m)
Quota arrivo  1600 m
Dislivello  1200 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  ciaspe se inverno
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Vacanze pasquali a Caprile e sentito il Mot, libero solo nel pomeriggio, lo aspetto per andare a vedere la selvaggia Val Pegolera, al cui termine dovrebbe trovarsi il mitico Bus de le Neole (1807 m), un grande buco naturale di oltre 150 metri e di 30 metri di diametro, difficile da raggiungere come tutti i luoghi magici dei Monti del Sole. Il nome deriva dal fenomeno per cui le nuvole sembrano uscire da questo buco, aspirate dal verso l’alto dal sifone che crea l’apertura sottostante. Alle 14.30, traversiamo il ponte e partiamo dal paradisiaco villaggio di Agre che veglia sugli immensi prati, una fra le poche oasi piane e verdeggianti della Val Cordevole. La comoda strada forestale oltre le Agre supera con un bel ponte di legno il greto del rio Pegolèra proseguendo in quella che è stata battezzata “la via degli ospizi” e che fa parte di uno degli itinerari tematici del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Noi invece pieghiamo a destra ad angolo retto, un cumulo di sassi a mò di omino segna l’inizio del sentiero che si alza subito molto al di sopra del greto del torrente inerpicandosi sul versante destro della valle. Il distacco dall’ambiente antropizzato è immediato e ci troviamo catapultati nella natura più integra e selvaggia. Il monolite roccioso chiamato il gendarme(10 min.) ci avverte che oltre è terreno per pochi. Dopo 50 minuti, un piccolo ponticello di tronchi risulta provvidenziale per superare la Val del Colàz, una delle tante che caratterizzano il percorso, rudi e severe a tagliare i fianchi della montagna. Cominciamo a trovare neve e il colpo d’occhio è emozionante sulle cime del Piz de Mezodì e Piz de Mez che si intravedono nella tenue luce di questa giornata animata da un pallido e timido sole. Non manchiamo di rimanere stupiti ogni qualvolta ci si presenta davanti quella parte di sentiero che fino allora era rimasta nascosta dal versante del monte, incredibile come stiamo camminando sul filo di una esile cengia che appare solo un po’ meno ardita perché celata dalla vegetazione. Nei punti dove non ci sono alberi però il vuoto si mostra in tutta la sua verticalità sotto di noi a picco sul fondovalle e il grado di attenzione è altissimo. Val de le Antene(1 ora), val dei Faghér, una dopo l’altra si susseguono in uno scenario mutevole e ricco di fascino, viottoli dirupati che conservano i nomi dialettali di un tempo, la scarsa frequentazione dei Monti del Sole ha salvaguardato pure la toponomastica rimasta immutata negli anni. Ormai la neve è alta e affondiamo fin oltre le ginocchia. Alle 16.30 arriviamo al bivio per Forcella Coraie e mi arrendo al mot che da un poco ha cominciato ad insistere per tornare. Alle 17.45 siamo di ritorno e fotografo il tramonto sulla Pala Alta (allora credevamo fosse il Burel) ignaro che anni dopo ne avrei traversato la parete per vertiginosa cengia. Il giorno dopo 20 marzo da solo riparto e già alle 7.30 mi muovo da Agre e arrivo al massimo punto raggiunto il giorno prima. Sono le 9 e mi trovo a circa 900 metri di quota dove si stacca l’itinerario per la forcella delle Coraie ben segnalato con tanto di cartelli, rarità in questi luoghi. Io devo proseguire e da qui sarà dura perché dovrò batter traccia in neve alta fino alle cosce. Ho le ciaspe che calzo. Entro nella neve e comincio a rovinare il mare placido segnandolo con le mie impronte stile Yeti. Presto no rieco più a scorgere la depressione della traccia che sto seguendo e comincio ad avanzare casualmente scegliendo le parti meno pericolose o più agevoli. Capisco che sto perdendo tempo e che spesso devo correggere la traiettoria perché dirupi troppo accentuati mi bloccano l’incedere, ma non c’è altra soluzione: la neve alta e vergine copre tutti i segni. Giro a vuoto come un profugo ubriaco in un mare di vino ma finalmente quasi tre ore dopo riconosco l’imbocco della Val Chegadór, qui una scritta sulla roccia indica il secondo ed ultimo bivio: diritto si prosegue alla volta di forcella Zana (altra bella avventura), invece io devo affrontare una ripida discesa fra rocce e loppa per giungere sul greto ghiacciato del torrente Pegolèra. In breve sono a valle in un profondo e scuro canyon nuovamente a 900 metri di quota. Le nere pareti di roccia da cui precipitano enormi candelotti di ghiaccio mi inducono a scattare molte fotografie che non vedrò mai perché la macchinetta che mi aveva prestato Alessia, si rompe a fine gita.Lo scorrere sotto il ghiaccio dell’acqua fa eco in questi spazi ristretti coprendo ogni altro suono. Mi barcameno alla meglio per risalire la valle passando talvolta a destra, talvolta a sinistra della stessa. Il terreno tortuoso costellato di enormi massi, cascatelle d’acqua e salti di roccia coperti da enormi cumuli nevosi rallenta molto il mio passo. In un paio di punti devo arrampicare per superare due grossi blocchi di roccia che apparentemente sbarrano il percorso. L’impressione di essere da qualche altra parte del mondo, in vallate sperdute chissà dove è marcata, affrontare questi luoghi in solitaria equivale ad una bella avventura….e pensare che a due passi passa la Statale! Lungo il greto a quota 1000 metri circa si trova il masso rinvenuto nel 2008, sulla cui superficie sono ben evidenti orme di dinosauro attribuite dagli studiosi a Coccodrillomorfi . La progressione mi impegna molto, guadagno… troppo lentamente quota. Intanto la valle si sta lentamente allargando in un idilliaca conca costellata da guglie, torri e pinnacoli e il sembrano stare in piedi quasi per magia sfidando tutte le leggi di gravità, uno scenario di rara bellezza nascosto alla vista, rifugio esclusivo mio e del sole che uscito dalla forra sembra aver preso più vigore. Tutto tace, immobile, qui l’uomo è veramente una presenza estranea. Si sente solo il frrr dell’inverno. Mi guardo attorno scrutando ogni angolo di questo paradiso, vorrei catturare nella memoria quanto più possibile per non dimenticarlo mai, approfitto per fotografare, rendo grazie alla Natura per aver creato tutte le meraviglie che il mio occhio può catturare e i miei sensi percepire. La valle è ancora molto lunga anche se la chiusa delle pareti è così incombente da farla apparire più corta. Quando arrivo nei pressi di un sassone alle 14, capisco che non ce la farò mai a farcela prima del buio anche perché mi mancano ancora 500 mt di dislivello, un‘enormità in queste condizioni d’innevamento. Faccio dietrofront e seguendo a ritroso il mio solco alle 17 sono di nuovo ad Agre. Tre giorni dopo ci riprovo nuovamente: parto da Agre alle 6.30 e poco prima delle 9, raddrizzando i ghirigori nella neve di qualche giorno prima, sono al bivio per F.lla Zana. Riattraverso il Canyon fantastico non scattando foto perché le avevo già fatte nel tentativo precedente e alle 11.30 arrivo al sassone di quota 1100 dove mi ero fermato qualche giorno fa. Ora un vallone di neve immacolata va affrontato ad occhio come direzione puntando vs dx dove dovrebbe nascondersi il celeberrimo Bus, tra le pareti del Piz de Mez a destra e quelle del Piz de Mezzodì a sinistra. Cerco la linea dove la neve sembra tenere di più ma è dura, cerco di evitare di alzarmi troppo presto e spesso arrivo ad affondare nella neve farinosa fino alle braccia: il bastoncino sparisce completamente nella coltre e rialzare le ciaspe dopo ogni passo ,diventa sempre più faticoso. Ogni tanto mi sembra di esser nelle sabbie mobili e mi viene il terrore di non farcela neanche stavolta, ma poi magari procedo bene per un piccolo tratto, fino a che improvvisamente attorno alle 13 sono quasi sul fondo della valle e appare il Porton l’enorme antro a volta di pietra. Esplode la gioia a mitigare la stanchezza e ora lo punto decisamente in salita. Alle 13.30 sono proprio dinanzi al portale del Bus de le Néole, l’emozione è grande! Se non fosse opera della natura con la complicità di eventi franosi, lo si potrebbe paragonare al capolavoro di un prestigioso architetto. Immenso, imponente, io sotto, piccolo, schiacciato dalla sua grandiosità. …..l’azzurro del cielo fa capolino lassù in alto, 150 metri sopra la mia testa….roccia….cielo e ancora roccia, pazzesco! Sono in una sorta di navata sacra ,in un enorme altare pagano che ha molto di divino. Quando riesco a smettere di fissare l’enorme volta e mi giro, il colpo d’occhio alle mie spalle è altrettanto mozzafiato ed ora dall’alto di questa posizione privilegiata si riesce a intuire lo sviluppo lungo ed intricato della valle con le cime delle Dolomiti di Zoldo e del gruppo della Schiara a chiudere l’orizzonte illuminate dal sole. Fotografo e fotografo la volta e l’enorme antro anche se è impossibile farlo entrare in unico scatto. Mi fermo un ora in questo luogo arcano che sprigiona l’energia della Terra. Mangio come se pregassi. Poi non resisto al pendio che ho davanti(ghiaione nella bella stagione) e rotta la compostezza mi ci butto a valanga e a grandi saltoni nei cumuli di neve fresca e con qualche rotolamento, divallo rapidamente. Più semplice e facile per via della traccia, ma sarà lunga anche tornare. E’ buio pesto quando alle 19, correndo dove ho potuto, rientro ad Agre.
Foto 1 la chiusa di Val Pegolera Foto 2 il Porton Foto 3 Bus de le Neole foto dal Web
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