Home Gallery
Reports
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Mountain Bike
Archivio
Itinerari
Scialpinismo
Escursionismo
Roccia
Ghiaccio e Misto
Fenio...menali
Forum
Ricerca
   anello dei corni di nibbio, 26/08/2019
Inserisci report
Onicer  oscarrampica   
Gita  anello dei corni di nibbio
Regione  Piemonte
Partenza  bettola  (200 m)
Quota arrivo  1990 m
Dislivello  2000 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  no
Attrezzatura consigliata  corda 30/60 mt..fiato
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Il trasloco che come una valanga gentile sta portando via il tempo m’impedisce di trovare l’occasione per descrivere l’ultima mirabolante avventura in Valgrande. Per una strana combinazione di eventi c’è un giovedì libero da impegni legati ai lavori della nuova casa, e decido di assecondare il desiderio di Robi che da tempo mi chiede di riportarlo in Valgrande. Non andremo dove probabilmente lui desidera(la Val Pogallo) ma proveremo la fortuna dalle parti dei corni di nibbio puntandoli per quella che in una relazione trovata sul Web viene definita l’autostrada per il cuore della Valgrande. Partiamo alla sera del 4/7 , direzione Bettola dove abbiamo intenzione di dormire all’aperto ed essere belli pronti e pimpanti alle prime luci dell’alba. Nell’oscuro che scende come un manto a coprire la valle e svegliare i primi grilli troviamo spazio in un prato rasato prodromo di una fantastica notte sotto le stelle. Non sarà così. suddetto meraviglioso e invitante prato riposa(beato lui) a pochi passi dal passante ferroviario e per tutta la notte siamo svegliati dal continuo passaggio dei treni merci che ci risvegliano col loro rombo lontano che diventa pian piano frastuono, oppure se non è il suono ad avere la meglio, è il tremore tipo scossa tellurica che ci toglie il meritato sonno. Non riesco ad alzarmi al suono delle 5 ma solo al bacio mattutino del sole. Con un ‘ora di ritardo sull’immaginata tabella di marcia e con gli occhi a palla per il sonno solo abbozzato ci avviamo alle 6.30 vs la foresta che si apre appena oltre il ciglio stradale. Mi sento come un protagonista dei libri di Salgari che infiammarono la mia adolescenza ed emozionato come un bimbo che ha appena trovato un buco nel bosco in cui infilarsi, infilo il passaggio segreto trovato negli anfratti del proprio giardino, muovo i primi passi nella lussureggiante vegetazione di bassa quota. Non sono mai entrato in Valgrande da qui, raramente capita di muovere i primi passi dalla quota 200 e sono curioso di vedere questa fantomatica autostrada rappresentata dalla Linea Cadorna. Viaggiamo in piano per pochi strani minuti in cui la sensazione è quella di trovarsi in una giungla più che alle pendici di qualche monte, mancano solo le urla degli uccelli. Poi rapidamente il piano s’inclina e la pendenza diventa quella abituale col bosco di latifoglie che diventa padrone. Appaiono immediati i tornanti della strada Cadorna con gli enormi muri costruiti a secco che come paraboliche segnano il fianco del monte. Il colpo d’occhio vs l’alto è davvero impressionante: si resta ammirati per l’imponenza dei lavori, per la precisione dell’esecuzione che resiste allo srotolarsi del tempo e pare d’esser al cospetto di una civiltà primitiva. In alcuni punti il sentiero è disintegrato e a malapena resiste all’oltraggio dell’ assalto verde e in altri le mura sono divelte dagli attacchi franosi del canalone di bettola che sale proprio a fianco e che immagino nei giorni di pioggia combattere furioso come un pugile sul ring a e tentare di abbattere l’arrogante costruzione umana venuta a provar di ordinare il suo reame selvaggio. In alcuni tratti si notano fino ad una decina di alte mure che si intrecciano e rincorrono nell’aprire la loro corsa vs l’alto. A fianco, alcune grotte e gallerie ci ricordano della vita e della guerra che fu. Un oretta dopo arriviamo al termine del ripido versante e finalmente un tratto di bosco quasi pianeggiante ci segnala che siamo probabilmente arrivati al Mot di Sass a quota 700. Usciamo dal bosco e pochi minuti dopo ci fermiamo davanti ai ruderi dell’Alpe Corte, vestigia di un passato che fu e che ancora parla da quelle vecchie pietre che immote ti osservano contemplarle mentre la mente vola a vite e mondi che erano ma che sembrano impregnare ancora l’aria. Affrontiamo un passaggio esposto percorso da un vecchio cordino metallico e seguiamo i segni alzarsi appena dopo e cominciamo un insolito tour che ci riporta a valle in un punto dove eravamo già passati: ripercorriamo l’anello per una terza volta per notare eventuali deviazioni saltate ma ci ritroviamo sempre daccapo. Perdiamo mezz’ora e finalmente sveliamo l’arcano: il sentiero scende coperto all’inizio dalla vegetazione folta e l’anello segnato peraltro rappresenta la congiunzione fra il vecchio sentiero che passava alto e quello nuovo che corre più sotto. Scendiamo sul fondo del vallone e alle 8.15 varchiamo le soglie di un altro luogo leggendario. l’Or Piciocch dove si trova una delle poche fonti d’acqua(segnalata su un masso) della zona. Ci abbeveriamo, per rispetto del dono e assorbiamo l’energia che il luogo emana. Ripartiamo dieci minuti dopo e riprendiamo a salire dominati dal Torrione di Bettola e alle 9 transitiamo dal Balm du GIovann ( è tutto segnalato da affreschi e pure i segni sembrano appena rifatti(manutenzione straordinaria in Valgrande?). Ora le visioni vs l’alto e lo spazio si allargano : appare il Rosa e il cuore della traversata con la Bocchetta di Lavattel e le punte innominate tra il Corte Lorenzo e il Torrione di Bettola. Alle 10 scopriamo un altro sito mitico: il Funtanin, piccolo rivolo d’acqua che genera belle pozzette di raccolta , ultime fonti umide prima dell’arsura che caratterizza la parte superiore di queste creste selvatiche. Anche qua breve sosta contemplativa e di approvvigionamento idrico e poi ripartiamo vs l’Alpe e il Balm Sautì che raggiungiamo alle 10.30. Ormai la cresta sembra a portata di mano e la raggiungiamo finalmente alle 11 svelando il mistero che camminava con noi. Siamo al Passo Sautì’, il sentiero è stato completamente risegnalato e al passo ci sono cartellini e sasso con le indicazioni( qualche mese fa quando ci passai, non notai nulla perché non c’era nulla. Ora il Passo Sautì è un luogo uscito dal mistero e consegnato alla geografia. Un bene o un male? Mi fermo e respiro il luogo cercando particolari che lo definiscano oltre i segni lasciati dall’uomo come se potesse sparire nuovamente. C’ è perfino un cartellino su una betulla che indica Rodugno…e quindi dopo, credo Orfalecchio. La Valgrande torna ad esistere con i suoi sentieri che rinascono dalle erbe che li hanno per tanto tempo inghiottiti e dall’oblio a cui li avevano consegnati i passi assenti dell’uomo. E’ bello essere di nuovo su questa cresta che per tanti anni ho sognato di percorrere e il prossimo obiettivo è il masso sotto il quale con Zeno passammo una notte di tempesta: lo raggiungiamo alle 11.45 dopo esser saliti e scesi dal verdeggiante Turinell e alle 12.30 seguitando a seguire le onde della cresta siamo al Passo del Tita da dove scappammo qualche mese fa con Zeno. Ora proseguiremo vs il Pizzo Lesino e l’ignoto. Stare in cresta è arduo per i continui saliscendi ma è presto chiaro che anche naufragare nella boschina inseguendo improbabili tracce che vengono regolarmente inghiottite dagli arbusti non è soluzione migliore. Continuiamo a salire e scendere( con più fatica e qualche deviazione lato valgrande)tutte le gobbe che incontriamo sperando sia l’ultima e ci lasciamo così alle spalle i corni di Nibbio propriamente detti. Perdiamo tempo ed energie, Robi accenna a dolori muscolari e con tanti dubbi continuiamo a litigare per trovare passo fra i rododendri e i noccioli. Fa caldo, il tempo passa ma la sommità crestosa e priva di vegetazione lentamente si avvicina. Poco dopo le 14 abbandoniamo la boschina fastidiosa e ci lanciamo con le ultime energie vs la vetta che sfida il cielo. Ci arriviamo alle 14.30 e immediatamente valico vs la cima secondaria per valutare il salto vs la Bocchetta di Valfredda di cui tante volte ho letto ma senza farmi un idea precisa. Torno da Robi e gli spiego la situazione: tornare da dove siam venuti è più sicuro ma molto lunga e gli propongo il rischio di affrontare la discesa ignota, potenzialmente pericolosa, probabilmente più veloce. Robi è rassegnato, stanco e non fiata. Decido io di rischiare, anche per curiosità e completare l’anello. Facciamo pausa e alle 15 iniziamo la discesa lungo la cresta che appare percorribile. Scendo con cautela sia per il terreno un poco al limite per Robi e per cercare ogni traccia di coincidenza con le scarne relazioni che descrivono questa discesa. Riconosco il primo salto della cresta che evito sulla dx e poi la recupero oltre il salto portandomi nel canalone di sx. Non trovo traccia del citato da alcuni muretto a secco e scendo finchè il canale da erboso diventa roccioso e indovino il passaggio al canalone di dx (faccia a valle che scendo per poco fino a riguadagnare oltre il salto roccioso il canalone sx che poi percorro fino al suo esaurirsi sopra(ancora di circa 100mt di dislivello) al canalone della Bocchetta di Valfredda. Sono circa le 16.30 e non mi è chiaro se devo scendere vs sx(sembrano alti salti rocciosi) o vs dx (dove vedo più boschina e non si vede l’arrivo). Non mi ritrovo neanche con l’interpretazione delle relazioni e provo vs dx salvo poi rendermi conto che i salti sono troppo verticali e allora risaliamo le erbe alte aggrappandoci a forza di braccia e riguadagnato il pulpito sopra la bocchetta divalliamo vs sx e tra boschina e rododendri perdiamo quota fino ad un saltello roccioso attrezzato. Armo un improbabile doppia col poco materiale a disposizione e mi calo, seguito poi da Robi, alla prima doppia della sua vita. Probabilmente con 60 mt di corda saremmo potuti arrivare direttamente in bocchetta. A noi tocca invece ancora aggirare vs dx e dopo aver toccato terra sotto la bocchetta, risalire entusiasti i pochi metri che ci dividono dall’agognato valico. Mi sembra di essere in paradiso quando passo sotto l’alto muro a secco che protegge e ripara questo luogo permeato di fascino e storia ma anche solo per la gioia di ritrovare un pezzo di terreno orizzontale sotto i piedi. Sono le 17.30 e riassaporiamo il gusto dolce del potercela fare: scampato pericolo, ora solo un grande vallone pietroso ci divide dal fondovalle. La tensione nervosa finalmente cala. Ma come sarà realmente il Vallone del Nibbio? Scattata qualche foto di rito 15 minuti dopo scendiamo verso la salvezza. Per la prima mezz’ora il canalone è franoso ma sostanzialmente regolare, poi la dimensione dei massi che ne compongono il letto cresce enormemente e la discesa ad occhio viene interrotta continuamente dai tentativi di trovare il passaggio giusto da cui disarrampicare nel mezzo di grossi salti che richiederebbero improbabili usi della corda. Incredibilmente il pertugio di fuga si trova sempre e la corda rimane nello zaino. Ma è evidente che i tempi di discesa si ampliano e comincio a temere di non esser giù prima del buio. Controllo al polso la quota che scende molto più lenta del tempo che scorre inesorabile vs l’imbrunire e ci guida nel canale che diventa sempre più selvaggio. Disarrampichiamo con passaggi al limite una placca scivolosa e apprezzo l’abilità di Robi nel guidarmi in alcuni salti frenati in aderenza in un misto di movimenti a metà tra il free climbing e il parkour. Poi per la prima volta ci troviamo bloccati e chiedo a Robi se se la sente per non perder troppo tempo di usare la corda passata dietro un alberello solo come sostegno senza stare ad imbragarsi. Piccole gocce accompagnano la mia discesa dimostrativa e mentre scende Robi praticamente appeso con le mani , si scatena l’acquazzone. Ci infiliamo in una piccola caverna che sembrava lì ad aspettarci e nei primi momenti ci godiamo il momento. Poi realizzo che sarà molto dura proseguire la discesa con i massi così bagnati, che non è detto che smetta, che è probabile che passeremo lì la notte dato che sono ormai le 20.30. Afferro il cell. e vedo che incredibilmente c’è il segnale(incomprensibile in quelle zone e in quel punto infossato fra alte pareti) e ne approfitto per mettere in guardia mia moglie sul non ritorno. Nel frattempo l’acquazzone s’ è trasformato in quella forte e regolare pioggia capace di perdurare a lungo e comunico a Robi che passeremo qua la notte. Mangiucchiamo e ci prepariamo al lungo bivacco: il freddo arriva quasi subito con lo scuro e mettiamo quei pochi abiti che abbiamo con noi. Robi la passa tutta seduto testa raccolta fra le ginocchia su un masso piatto. Io mi accoccolo stretto fra due rocce su un fondo quasi piatto che provo ad ammorbidire con lo zainetto. E’ dura, i brividi ci scuotono, il tempo non passa, il freddo e l’umidità aumentano come la nostra insofferenza e come in tutte le brutte notti guardare l’orologio è una disfatta ma un bisogno insopprimibile nella discesa verso l’alba che porterà colore, poi calore e l’inizio di una nuova giornata, di una nuova vita. Verso le 2 smette di piovere e ne approfitto per sgranchire gambe e schiena fuori dal grottino girovagando fra i massi alla vana ricerca di tane migliori. Ripeto la procedura altre volte anche perché camminando mi scaldo e abbandono il mio gelido giaciglio. Poco prima delle 5 mi stiro all’esterno del buco e raccogliamo la voglia e le energie per rimetterci in moto anche per risentire il sangue liberare il corpo dal gelo e dall’immobilità. E’ bello ripartire e puntiamo con un poco di apprensione la zona dell’immensa frana che ha sconvolto il vallone del Nibbio qualche anno orsono e che avevamo già intravisto la sera prima. Ormai il percorso è un continuo salto di massone in massone con frequenti tentativi a vuoto di fronte a salti di parecchi metri…ma alla fine il modo di passare senza corda lo troviamo sempre e arriviamo alla frana per le 6. Massi e pezzi di montagna alti fino a 50 mt s’incastrano e sormontano l’un sull’altro creando un paesaggio suggestivo e inquietante al tempo stesso. Sul fondo molte ramaglie e polvere creano un tappeto che non regge e proseguire è come cercare l’uscita dal labirinto. Mi chiedo quanti sian passati qua in mezzo ma dopo circa mezz’ ora raggiungiamo il punto più elevato dell’accumulo e cominciamo ad attraversare l’immenso fronte preoccupati di poter trovare dall’altra parte qualche salto nel vuoto che superi i 15 mt garantiti dalla nostra piccola corda da 30. Ma si scende sempre fra molti ghiri gori e giri fra i massi e a poco prima del caratteristico frate di roccia un ometto ci rincuora. Per un buon tratto gli ometti ci guidano finchè più in basso quando usciamo dalla frana e il vallone si restringe rendendo il percorso pressoché obbligato, tornano a sparire. Più in basso troviamo l’acqua e beviamo assetati e alle 8.30 contempliamo la bella cascata del Rio Cornera, ormai nel fondovalle. Un’ora dopo vediamo l’uscita che ci guida in pochi passi al nostro ritorno nella civiltà che ha le sembianze di una falesia attrezzata per l’arrampicata. Ora dopo aver bevuto alla fresca fonte del parchetto in cui siam capitati non ci resta che la scarpinata finale vs l’auto. Chiediamo prima ad un francese e poi l’incontro. Dopo poche domande reciproche il signore con cui stiamo parlandi colpito dalla nostra avventura si presenta come il padre del Tita che da il nome al celeberrimo passo sulla cresta dei corni e ci invita in casa offrendoci birre e colazione in un entusiasmante crescendo di aneddoti sulle avventure del padre nella selvaggia Valgrande che ha fatto conoscere a Teresio Valsesia autore di tanti libri divulgativi sulle meraviglie di questo sperduto angolo di paradiso. E’ il degno finale per due giorni vissuti veramente intensamente. Valgrande alla prossima.
Report visto  2240 volte
Immagini             

[ Clicca sulla foto per ingrandire ]
Fotoreport