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   sulle tracce della Valgrande, 31/03/2019
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Onicer  oscarrampica   
Gita  sulle tracce della Valgrande
Regione  Lombardia
Partenza  alpe faievo  (950 m)
Quota arrivo  1700 m
Dislivello  2200 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  alpe nava menta ragozzale mottac
Attrezzatura consigliata  picca ramponcini ciaspe
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Mediocri
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Naufraga il progettato attacco al canalone nord del Pizzo Stella con Max e mi ritrovo rapidamente in brache di tela e solo, dopo un paio di tentativi infruttuosi di trovare un nuovo compagno. Ma è anche una situazione che amo perché sono libero di lanciarmi nell’invenzione degli itinerari assurdi che tanto attirano la mia fantasia. Data la stagione innevata opto per la Valgrande e le sue selvagge ma più modeste quote. Progetto un giro lunghissimo che in circa 15 ore dovrebbe portarmi in cima al Pedum partendo da Trontano con quasi 3000 mt di dislivello e ritrovarmi poi con 40 km da fare per tornare a riprendere la macchina. Ci sarà da ridere scrivo a Zeno che mi chiede info sul percorso, rimandando la risposta al report. Minuti contati. Riesco a svegliarmi alle 3 del 22/3 e partire vs l’Ovest e dopo esser uscito dall’autostrada a Domodossola, raggiungere il vicino Trontano e da lì salire in cima alla terribile strada sterrata che porta vs l’Alpe Faievo(q. 950). Parto alle 6 nel buio che cede campo alla luce sorgente da una parte e alla luna che sta andando invece a riposare dopo aver vegliato tutta notte, dall’altra e dopo 10 minuti sono alle case più alte dell’Alpe che fanno bella mostra con i loro muri di pietre grezze in un paesaggio tipico degli alpeggi d’alta quota. Tignolino e Cistelle, Albiona e Giezza dall’altra parte della valle Ossola, osservano muti nel silenzio cupo del mattino che ancora attende l’arrivo dei primi raggi del disgelo. Navigando in ombra raggiungo mezz’ora dopo l’Alpe Perpinasca 1200 mt che è chiaro ma senza colori e l’adiacente bello grande e nuovo rifugio. Il primo cartello che indica il Passo del Ragozzale (h 3.45!), mi lascia perplesso perché non c’è traccia di sentiero oltre a quello che invece corre vs il passo di Besagrana. Salgo nell’erba stopposa ma non ci son peste e cartina alla mano tengo la dx ma trovo solo tracce che vanno a sx. Niente da fare e allora dopo altro consulto cartografico, scendo a ritroso fino alla carrozzabile e ad incrociare un sentiero che si dirige vs l’Alpe Nava. Prima mezz’ora persa ma ora siam giusti e infilo il sentiero che si stacca per raggiungere nella neve 10 minuti dopo un bivio che indica in sequenza le alpi Pieso, Nava e Rina. Alle 7.20 raggiungo la prima a q.ta 1450 e il bianco copre già tutto. Il cartello indica il colle innevato davanti a me sul quale trovo ben presto delle peste che seguo contento anche se un poco dubbioso sulla direzione troppo vs sx. Però mi alzo rapido e il panorama si apre fantastico come la giornata che si è liberata delle nubi e dopo il Leone che la faceva da padrone, ora si vede anche la fantastica triade del Weissmies, Lagginhorn e Fletschorn. A destra del Monte Albiona, montagne che imparerò a conoscere gli anni successivi e che fannno da corona alla Val Formazza: Rebbio, Hillenhorn, Pizzo Moro, Helsenhorn, Pizzo Diei e Cistella. Ritorno nel bosco, il sole mi raggiunge insieme alla scomparsa delle tracce umane che seguivo. Sulla traccia delle martore non si può e sprofondo nello spesso manto nevoso. Sono out e torno a capo chino con un'altra mezz’ora persa nelle gambe verso dov’ero. Che bella l’alpe dall’alto: sono in ombra su un seno nevoso e i tetti come un nido d’api brillano nel sole. C’è tanta tenerezza e malinconia per un mondo che non c’è più e di cui quelle case sono le croci di un cimitero dell’architettura. Sono le 8 e di nuovo mi metto a cercare il sentiero a mezzacosta, niente. Poi dopo altre ricerche lo individuo...(mi sembra di essere un indiano che segue le tracce sul terreno)… leggera depressione nel manto nevoso, andarsene in direzione opposta al cartello praticamente in traverso orizzontale a dx. Qualche segno riscalda il morale prima che dopo un paio di tornanti nel bosco riprendo ad affondare drammaticamente nella neve fino alla vita. Penso di mollare e poi invece di arrivare almeno fino all’Alpe Nava. Mezz’ora più tardi trovo un cartello che indica l’Alpe Nava a 20 min: seguo la traccia delle martore; quella di dx è più attenta alle mie esigenze di alpinista pesante guidandomi su nevi più consolidate ma sprofondo quasi sempre oltre la crosta di superficie.
Tengo botta e alle 9.15 un cartello lanciato nel blu su un colletto erboso liberatosi dalla neve, mi preannuncia il Passo di Nava a quota 1700. Pochi resistenti ultimi passi nella neve alta e atterro sul prato di valico al sole e con un panorama sorprendente e immenso in cui centralmente campeggia il colosso a più punte del Rosa e poi tutti i giganti svizzeri a far da corona. Qualche passo in direzione dell’Alpe Nava mi consegna ad un pulpito panoramico a picco sulla sottostante Val d’Ossola: mi siedo a contemplare estasiato da tanta bellezza. Fotografo e zoomo su tutti i 4000 che vedo, donati al mio orizzonte. Menzione speciale per la triade Weissmies,Lagginhorn,Fletshorn ma senza dimenticare Stralhorn, Rimpfishorn, I Dom che alzano la loro cresta abbacinante oltre la mole più scura del Pizzo d’Andolla. Zoomo sulle punte del Rosa, incredibilmente in posa da questa prospettiva fantastica. Impressionante anche la vista sulla Val d’Ossola che a Piedimulera s’apre nella Valle di macugnaga che sale sale sale fino al colosso del Rosa. Ho i piedi fradici e mi metto scalzo a provar di scaldarli al tiepido sole. Faccio il bucato stendendo i panni bagnati e freddi per l’immersione nella neve. Osservo le poco sottostanti 2 casette dell’Alpe Nava e mi perdo a pensare alla vita com’era e a cui certo sarei stato più adatto, perdendomi in dolci pensieri cullati dal fluire lento del tempo nel silenzio che mi abbraccia e carezza. Non mi sposterei più, mi chiama Filippo parlandomi della casa e scuotendomi dal quieto torpore. Riprendo coscienza del luogo e mi guardo in giro per valutare proseguio e senso. Dalla carta deduco che mi sposterò in traverso sotto le pendici boscose dei Pisoni in direzione del Passo del Ragozzale depressione che anticipa la bella parete nord del Pizzo Desen cui seguono i più alti ma meno attraenti Testa del Parise e Punta del Pozzolo. Il versante, in ombra, appare però abbastanza sgombro da neve. Decido dunque di provare a proseguire dato che la pausa di mezz’oretta al sole m’ha ritemprato nello spirito. Riassaporo il piacere di camminare libero nel bosco su tracce di sentiero che mi guidano vs Togano, Tignolino,Pisoni e Testa di Menta. Poco dopo finalmente trovo una pozza d’acqua da cui riempio il bag e bevo avidamente. Alle 10.20 fotografo l’Alpe Rina che sembra un presepe in mezzo alla neve con un foglio blu a fare da sfondo. Anche qua trovo un cartello girato rispetto alla direzione corretta che intravedo fra la neve e la cosa mi infastidisce; lo riposiziono correttamente e proseguo la marcia nel sottobosco finchè la vista si apre vs una depressione della cresta che penso possa essere il passo che attendo. E non c’è neve sul versante. Intravedo sull’altro versante l’Alpe Menta immersa in un fiabesco paesaggio nevoso e penso allora non sia da raggiungere. Ma alle 11 il sentiero piega improvvisamente in discesa raggiungendo un canale innevato e lì scompare sotto la coltre. Deduco che salga in direzione del Passo degli Uomini avvistato sopra e mi trovo impegnato a risalire un fianco ghiacciato e dirupi terrosi al limite dell’equilibrio aiutandomi col piccozzino del mio bastoncino Grivel. Risalgo ma non rinvengo traccia del sentiero finchè in una zona più aperta e libera da neve concludo di aver sbagliato ancora. Ridiscendo all’inizio del canalone nevoso, riguardo la carta e capisco che devo probabilmente traversare: non un segno indica la direzione e mi trovo su traversi pericolosamente inclinati a battere furioso gli scarponcini nella neve ghiaccia e ad ancorarmi col provvidenziale piccozzino. Sperimento anche lo spavento di una scivolata prontamente arrestata dalla provvidenziale becchetta, e proseguo con più calma fino a che la neve torna morbida e sono consegnato al pianoro immacolato, inondato di sole in cui sono incastonate le splendide casette dell’Alpe Menta. Sembran tartarughe scure radunatesi sulla spiaggia prima di gettarsi tutte insieme nel mare. Le fotografo..prima che mi scappino. Un deserto bianco e cangiante di luce mi aspetta senza alcuna ipotesi o traccia direzionale. Sono ormai le 11.30 e si rende necessario nuovo studio della carta. Valuto un poco di ipotesi morfologiche salendo in traverso e poi punto all’ultima depressione della cresta. Salgo pendii che s’impennano fino a 50° e capisco di essere nuovamente fuori rotta perché non si vede il passo. Decido comunque di arrivare fino in cresta per avere una visione dall’alto. Raggiungo quota 2000 alle 12.30 per vedere sotto di me a dx il bivacco del Ragozzale (per raggiungerlo oltrepassando il passo avrei dovuto stare più a dx scavalcando un colletto che lo celava alla vista) che decido comunque di raggiungere scendendo lungo la cresta e poi per il sentiero che lo collega all’Alpe Mottac. Dalla cresta grandioso panorama sulla Valgrande dominata dai Pizzi Proman e dal Lesino appuntito come il Cervino e dalle rocce del Pedum, meta per oggi assolutamente irraggiungibile. Sotto di me Domodossola dominata dalla mole bianca del Monte Leone. Oltre a tutti gli altri 4000, ora sono spuntati anche l’Allalinhorn e l’Alphubel. Scendo lungo la facile cresta e alle 13 sono al bellissimo bivacco in pietra mantenuto perfettamente, con acqua di cui mi rifornisco,stufa a legna e piano dormitorio sopraelevato con luci elettriche. Porta con vista sul pedum. Visito e faccio foto alla Porta e Scala del Ragozzale (che sta sopra di qualche decina di metri rispetto al bivacco), opera in pietra con cui veniva agevolato il transito bovino in tempi che oggi paion immemori. Ne fotografo entrambi i lati con quello nord completamente innevato...e da cui sarei dovuto risalire se non avessi preso la via della cresta. Mi vien voglia di salire sul bel cuneo innevato del Pizzo Desen che precipita a nord con una fantastica placca calcarea…ma rinuncio per mancanza di tempo. Ridiscendo al bivacco e riparto prima in leggera salita e poi in traverso sotto la cresta da cui sono disceso in direzione della soprastante testa di Menta. Camosci corrono allegri e attenti fra le erbe secche e gialle liberatesi dalla neve e arrivo alle 14 al bivio per il Passo di Besagrana che non riconosco perché non ci sono tracce (coperte dalla neve) sull’altro versante e del cartello indicatore è rimasto solo il palo. La cosa mi scoccia, amo il selvaggio ma non il vandalismo e poi avrei voluto sapere quanto mi mancava per arrivare all’Alpe Mottac. Proseguo il mio peregrinare stanco per i saliscendi della cresta fino a quando incontro ciò che rimane di un vecchissimo larice che sembra più segnato di me dal passare del tempo e poco dopo intravedo dal bosco la cupola erbosa del Mottac, inaspettatamente vicina e che nasconde sull’altro lato l’Alpe omonima. Mi riempio di entusiasmo che si spegne poco dopo quando ritorno sul versante nord e sprofondo nuovamente nella neve: ci sguazzo alla ricerca di un segno o di un percorso fino a quando
consumate le energie e apparsa come un incubo la strada che devo compiere a ritroso per tornare, decido che è meglio rientrare. Riprendo a salire ma poco dopo penso che dovrei insistere, cercare meglio, che probabilmente sono molto vicino e torno e sbuffo cercando vanamente una strada nella neve alta ovunque, sulla cresta, ma non si passa. Troppa neve, no traccia, no energia, buio garantito per il ritorno. Stremato alle 15.30 inverto nuovamente la rotta felice di consegnarmi ad un percorso conosciuto e segnato dalle mie tracce nella neve nei suoi tratti meno evidenti. Riprendere a salire è drammatico, i quadricipiti si gonfiano e mi mandano in acidosi respiratoria. So già che gli ennesimi 400 mt di risalita (passerò i 2000 totali) saranno un agonia ma inizio a contare e rinfrancarmi con l’altimetro. Alle 17 sono di nuovo in cresta e finalmente può cominciare la discesa vs il bivacco dell’Alpe Ragozzale. Mezz’ora dopo sono risalito alla Porta del Ragozzale e ammiro ancora l’incredibile placca della parete nord del Desen ora mezza illuminata dalla luce del sole. Sogno…mi scuoto …e mi getto giù per il nevaio dall’altra parte in direzione sx confidando di trovare quanto prima le tracce dell’andata. Rimiro per l’ultima volta questa grande porta che buca la cresta e che mi sorride bevendosi gli ultimi raggi del sole che va a morire. Insospettito ad un certo punto guardo sopra di me e mi sembra assurdo non riconoscere il pendio. Dove sono finito? L’arcano lo svelerò dopo (sono in realtà sceso oltre il colletto che mi divide dalla valletta dov’ero salito ). Quando sono circa all’altezza dell’Alpe Menta comincio a preoccuparmi ma poi per fortuna oltre delle gobbe di neve, appare come un miraggio con il suo porticciolo di piccole casette. Lontano ma raggiungibile. Sono salvo ma ora mi toccherà di traversare quasi in orizzontale pendii carichi di neve fresca. Naufrago nel mare bianco accusando la sorte di non meritarmi questo ma poi scavalcando un’onda dopo l’altra attracco finalmente al sicuro e soprattutto sapendo dove sono. Ora nei tenui e caldi colori della sera che scende, posso rilassarmi ed esser certo che è finita. Sono le 18 e rinfrancato accelero il passo per superare i traversi del mattino e cercare di fare più strada possibile prima che cali il sipario sulla giornata. Quando li ho superati la luce si è già spenta nella valle dell’Alpe Menta e auguro buonanotte alle casette che la passeranno al gelo ma illuminate dalla volta celeste. Ammiro la sera scendere sui colossi italo svizzeri che mi stanno nuovamente di fronte e si vestono con gli abiti eleganti per uscire sotto le stelle. Mi fisso mentalmente l’obiettivo di arrivare al colletto del Passo Nava prima della notte e percorrendo gli ultimi passi al buio pesto per gioco, mantengo fede un’ora e mezza dopo al proposito. Sono le 19.30 riscaldato solo dalla volta punteggiata di luci, mi accascio felice con le spalle appoggiate al palo a riprender coscienza della giornata trascorsa, a riaccendere il cellulare con campo per avvisare casa. Scende la pace su di me mentre bevo, mangio, e sono felice. Fra poco accenderò la frontale e il suo guizzo rincorrerà le mie tracce del mattino serpeggiare nel bosco fra la neve. Fra poco, non ora. Poi con calma ma gustando le energie che ritornano prendo a scendere gioioso guidato dal fascio che tutto rischiara. Qualche incertezza talvolta, qualche dietro front, qualche momentaneo smarrimento ma poi lieto fine alle 21.15 quando riguadagno il park e la mia Peugeot 207 dopo 15 ore di viaggio e oltre 2000 mt di dislivello (tenendo conto degli errori).
foto 1 Alpe Rina foto 2 Alpe Menta foto 3 porta del Ragozzale
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