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   cimecreste della Val Pogallo, 11/10/2018
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Onicer  oscarrampica   
Gita  cimecreste della Val Pogallo
Regione  Lombardia
Partenza  Cicogna  (700 m)
Quota arrivo  700 m
Dislivello  2000 m
Difficoltà  F
Rifugio di appoggio  rif. bocchetta di campo
Attrezzatura consigliata  leggera da escursionismo. occhio all'acqua che è sempre poca tranne alla fontana di Pogallo
Itinerari collegati  nessuno
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Irrompe questa improvvisa decade di giorni di vacanze forzate subito dopo i giorni passati in scozia con consorte (vedi report sul Ben Nevis) e mancando di preventiva organizzazione sono preso un poco in contropiede e le persone che sento poi me la danno buca. Mi ritrovo così alla sera stanco ancora delle bravate scozzesi, senza compagno e con la voglia di stare a casa. Spiace solo che l’indomani sarà bello ma tantè decido solamente di puntare la sveglia senza preparare lo zaino e vado a dormire poco convinto alla prospettiva dell’alzataccia. Fra l’altro all’1.30 di notte mi devo alzare perché torna Ilenia chiusa fuori casa e mi sento così cotto che decido di levare la sveglia. Alle 3.50 del 2/10/2018, apro gli occhi, riposato. Cosa mi trattiene? Schizzo a preparare lo zainetto e balzo in macchina direzione Valgrande per proseguire nel tentativo di esplorazione delle creste della Val Pogallo che non ero riuscito a completare nell’uscita con i figli, anche per un clamoroso errore di percorso proprio all’inizio. Viaggio al buio anche su per la stradina che penetra nel Regno di Valgrande passando sul Ponte Casletto fino ad interrompersi nella capitale all’estremo confine della civiltà. E’ appena chiaro quando alle 7.15 lascio la piazzetta di Cicogna e rampo su per il sentiero in direzione dell’Alpe Prà(esattamente da dove eravamo scesi a fine giornata, coi bimbi quel giorno di luglio,un paio di mesi fa). Ho un passo veloce (forse troppo) che risente ancora della scalata al Ben Nevis fatta con il tempo contato avendo abbandonato in albergo il mio amore. Spavento col mio incedere delle caprette che percorrevano il mio stesso sentiero e un attimo dopo la meraviglia mi possiede con la pennellata arancione dell’alba che gioca sul colle del Mottarone a cavallo fra i Laghi Maggiore e d’Orta. E un attimo dopo è la mia grande cresta dei Corni di Nibbio ad esser massaggiata dai raggi caldi col dorso del Fajè che si colora e così via passando dal Corte lorenzo al Torrione di Bettola e fino al Proman. Poi oltre il Corte Lorenzo la neve e zoomando appaiono la Dufour e la Nordend: che spettacolo di sovrapposizione! Salgo nella meraviglia di una giornata che si manifesta stupenda, passo dalle indicazioni delle incisioni rupestri e così in 45 m sono già al Rifugio Alpino all’Alpe Prà (q.1225) che brilla nelle luci del sole avvolto in coperte di faggi dorati. Ora dalla meravigliosa cresta dei Corni emergono tutte e 4 le cime principali del Rosa perchè si sono aggiunte Punta Gnifetti e la Zummstein. Poco dopo il rifugio, si passa per la caratteristica spaccatura nella roccia scavata per farvi transitare “i vacc” e si arriva ai ruderi dell’Alpe Leciuri (q. 1310, h 8.15) dove a sx c’è il sentiero per Cima Sasso. Mentre sto per raggiungere il colletto sopra l’alpe Leciuri i raggi entrano nel sottobosco e l’azzurro intenso filtra attraverso i rami regalandomi un’ emozione incredibile e la voglia di ringraziare il Signore per il dono ricevuto nell’ essermi alzato. Quando esco dal bosco l’esplosione di colori è un tuffo al cuore: azzurro verde giallo marrone tutto luccica nel mattino baciato dall’astro e io procedo nel silenzio d’ammirazione rotto solo dal tac tac dei miei bastoncini. All’orizzonte la cresta di laurasca e Marsicce e lo svaso della Bocchetta di Terza. Le bianche pietre che brillano al solle dei resti dell’Alpe Leciuri ricordano vite di tempi che furono in questo museo all’aria aperta dove a parlare è solo la Voce della natura. Incredibili colori vs la Colma di Belmello e un ovulo da cartolina, rosso fuoco coi puntini bianchi emerge dal suo nido di foglie mentre il Rosa si eleva sempre più onnipotente e maestoso come un sole che sorge. Ora dalle creste a dx, emergono anche i giganti del Vallese: Weissmies, Lagginhorn e Fletschorn. Che spettacolo! Zoomo sulla Bocchetta di Lavattel: overdose di sogni. Zeda e Marona oltre le erbe bruciate in cui procedo e son quasi le 9quando medito sulla bellezza della vita mentre disteso fra le passite erbe della colma di Belmello (q. 1590) saturo di meraviglia le mie pupille scrutando le mille pieghe dei corni di nibbio ( stampate sull’immensa mole della est del Rosa) e sognandone la prossima traversata, prima dell’arrivo delle nevi. I tempi segnati dai cartelli sono esagerati per il mio passo e dopo 2 ore ho già 1000 mt di dislivello nelle gambe e la vetta della Cima Sasso non così distante per cui decido per il primo errore della giornata e cioè di deviare dal sentiero per raggiungere la cima Tuss e il suo millantato panorama. Purtroppo nella corsa verticale ho saltato il colletto della deviazione a sx ed essendo troppo salito mi tocca forzatamente ridiscendere e avventurarmi fra pendii scoscesi e canaloni prima di rinvenire l’esile traccia che taglia orizzontale il pendio e adduce al colle erboso antistante la cima Tuss da cui si vede anche il simbolo di queste zone selvagge: il Pedum e la sua Zona di Riserva Integrale appoggiata come un castello sullo zoccolo che la protegge dagli intrusi. Poco dopo calco la vetta con grande omino in pietre (q. 1730, h10) notando purtroppo che dovrò tornare esattamente da dove sono venuto perché la Cima Sasso precipita su questo lato verticale sulla Val Grande sottostante. Unica consolazione: si vede l’Arca, luogo mitico. Il Rosa argenteo saluta dietro i verdi Lesino e Proman. Fra andare e tornare perdo un ora e mezza e anche diverse energie. Quando recupero il sentiero per Cima Sasso (q.1915) sono stanco, riparto dopo colazione e raggiungo la vetta alle 11.15 dopo qualche bel passaggio semplice su placche assolate: mi sono giocato l’anticipo sui tempi previsti. Poco male, il proseguio vs la cima nord senbra tracciato e perfino segnato e si vedono le creste della Corona di Ghina, altro mistero che si svela . Però c’è da sprofondare un attimo nel panorama che rimbalza fra laghi, Rosa, cime del Vallese( Taschorn, Dom, Lenspitze,Pizzo d’Andolla,Weissmies,Lagginhorn,Fletschorn,Stralhorn,Rimpfishorn,Allalinhorn,Alphubel) e poi il Monte Leone e il vicino Pedum con tutta la sua rocciosa cresta vs Laurasca e Marsicce, Zeda e Marona e le lontane vette Svizzere del gruppo dell’Adula e del Pizzo stella in un 360° visto poche volte. Mi dirigo ora verso il tratto di cresta che mi separa dal Bibacco Bocchetta di Campo sul versante nord del Pedum. Traverserò per luoghi mitici come la Corona di Ghina e successivamente le Strette di Casè. Percorro in mezz’oretta le divertenti e semplice crestine della Corona di Ghina (trovando anche un bollo ed un ometto..) e, superando un breve spigoletto attrezzato con catena alla cui base sta una targa commemorativa, raggiungo la Cima Nord di Cima Sasso (q.1900, h12) con vista sui reconditi anfratti della misteriosa Val Caurì. Scendo a picco diretto per lo scuro umido tetro, e a tratti ghiacciato, versante nord fino a risbucare nel sole sopra i Prati di Ghina. Davanti a me le torri e torrette delle Strette del Casè e sotto a sinistra sprofonda la Val Caurì. Il sentiero scivola e si nasconde come un serpente nei fasci di erba alta e gialla erba e io mi abbasso troppo dalla linea di cresta fino a capire di aver sbagliato. Ritorno sui miei passi e stando più alto trovo un masso con una freccia rossa e poco dopo un altro con la scritta Corona. Segnali di vita fra le erbe che forse han mangiato e coperto il sentiero, di cui non c’è traccia. Salendo un ripido canalone erboso mi ritrovo in cresta e dopo averla percorsa per pochi minuti, mi ritrovo nei pressi della prima stretta del Casè, segnalata da un ometto. Ho perso un’altra mezz’ora e sono già quasi le 13.30. Scendo il ripido canalone erboso e subito dopo il secondo roccioso e agevolato da due scorrimano metallici infissi nella parete a sinistra. Clamorosa la vista retro con queste spaccature fra le pareti rocciose. E poi si torna a salire per una finta stretta bollata e poi per un grande e più largo canale erboso in un ambiente ampiamente spettacolare tipicamente aspro e Valgrandino. Punto un forcellino e la vista su un tozzo torrione che sovrasta l’ultima stretta mi emoziona ma non quanto la parete Est del Rosa che ruggisce nel cielo con inaudita potenza: che montagna enorme, sembra il Nanga Parbat così lontana immensa e apparentemente irraggiungibile. Mi guardo indietro ed è difficile capire dove diavolo son passato in questa cresta irta di punte come un istrice e di precipizi che la tengono insieme. Scendo oltre e inizio a risalire passando sotto caratteristici e slanciati pinnacoli e poi in ultimo la stretta finale che mi regala al suo culmine la vista della vallata dall’altra parte. Davanti a me la triade Weissmies,Lagginhorn,Fletschorn, e tra la Testa di Menta e il Togano, il Monte Leone. Riassunto: Le Strette del Casè altro non sono che una sorta di montagne russe in cui segui il sentiero fra un canalino e la successiva risalita o traversata fino all’ultimo canalone più lungo che si percorre in salita e porta alla forcelletta che domina la linea di cresta che termina alla Bocchetta di Campo(q.2000) e al relativo rifugio che raggiungo in breve traversata alle 14.15 (7 ore dopo la partenza, possibile risparmiare 2 ore senza errori e non transitando per cima Tuss). Domina la vista il massiccio versante nord muschioso del Pedum a destra del quale sfila in parata la lista dei 4000 vallesi. Nell riparo nel rifugio mi rilasso un poco (sono stanco!) bevendo dalle taniche lì lasciate (stavo bevendo una gramissima acqua recuperata dalla fontana dell’alpe Prà gocciolante) e consulto la carta per decidere il da farsi e sentendomi in trappola perché comunque non ci sono vie di fuga rapide. Di salire sul Pedum (come da programma originario) non ho tempo né forze. Voglia di tornare da dove sono arrivato nemmeno e allora decido di lanciarmi all’avventura e alla scoperta del Sentiero Bove senza conoscenza dei tempi necessari, sperando solo di non far troppo tardi e di non esser sorpreso dal buio prima di essere almeno a Pogallo dove un comodo sentiero mi riporterà a Cicogna. Riparto alle 14.45 e la salita che riprende si fa sentire sui quadricipiti già provati dai quasi duemilametri di dislivello superati con i vari saliscendi e digressioni varie. Raggiungo velocemente la vicina linea di cresta: il sentiero me lo immaginavo più largo ed invece anche se molto evidente resta abbastanza in stile Valgrande snodandosi tortuoso fra crinali e creste contorte: il panorama diventa una babele di valli e linee di cresta e talvolta un toponimo serve per tornare ad avere una parvenza d’ orientamento. Viaggio in cresta in direzione dei Monti Zeda e Marona, profili ormai familiari. Lo sguardo retro invece è estremamente interessante sull’intricato profilo della Corona di Ghina appena attraversato che s’interseca col Pedum e i Corni di Nibbio in un tripudio di creste e crestine, torri e torrette. Lo sfondo è sempre la colossale catena del Rosa che si fonde con quella del Vallese. Mentre transito sopra la bella piana di erbe ormai secche ed autunnali dell’Alpe Scaredi strane nubi fusiformi nel cielo azzurro, attirano la mia attenzione. Alle 15.30 transito dalla Bocchetta di Scaredi (q.2095), incrocio macchie spruzzate di neve, qualche bel laghetto blu intenso e scarta alla mia sinistra 20 minuti dopo la traccia che sale alla Cima Laurasca. Non mi faccio sedurre perché oggi sarà dura e sarà buio. Proseguo invece per la dorsale nord fra valloni e creste lasciandomi alle spalle la scura silohuette della Laurasca e trovando un curioso masso con accumulate sopra in ordine le ossa bianchissime di un camoscio: dura la vita anche per le bestie dalle parti della Valgrande! Contorno il Cimone di Cortechiuso passando per la bocchetta omonima e raggiungo nuovamente la linea di cresta nei pressi dell’ennesima elevazione sotto forma di dosso erboso e che decido di chiamare finto Marsicce. Parlo con me preda della solitudine e di questi luoghi in cui ti penetra dentro come l’umidità che oggi non c’è. Guardo come si guarda negli occhi un amico in cerca di consolazione la cresta della Corona di Ghina stamparsi su quella che si eleva appena dietro e sopra dei Corni di Nibbio. Scatto uno zoom incredibile per la quantità di punte che giocano insieme nel vuoto che le sostiene. Da brividi. A nord invece il panorama è di più ampio respiro e nuovo perché si apre vs la vicina Svizzera e a destra del leone, scorrono Breithorn,Nesterhorn, Schinhorn ed Helsenhorn. Davanti a questi tremila ormai imbiancati l’ancor spoglia di bianco ma appuntita sagoma del Monte Cervandone. Dietro sfilano in un tutt’uno Pedum Laurasca e Cimone di Cortechiuso, davanti solo il Marsicce con lo sfondo dello Zeda. Per cresta semplice un poco affilata in alcuni tratti, raggiungo l’ultima cima alle 17 ( Marsicce q. 2135). Altro panorama infinito con le creste traversate oggi che si fondono in nuova prospettiva sulle retrostanti dei Corni di Nibbio. Scendo in versante nord lungo il sentiero e poi lo seguo risalire verso una bocchetta di cielo azzurro che sta sotto una tonda roccia. Mezz’oretta fra discesa e seguente risalita mi permettono di arrivarci ed entusiasmarmi per la dolcezza e bellezza delle gialle erbe che una leggera brezza muove a far solletico al blu del cielo. Mi riaffaccio finalmente e nuovamente sulla Val Pogallo a contemplare l’ombrosa e rocciosa traversata verso l’ancora invisibile Bocchetta di Terza. Inizio rinfrancato a scendere anche se sento sul collo il fiato dell’imbrunire e sono un poco agitato all’idea di smarrire il sentiero che in questo tratto non è evidentissimo. So di avere i minuti contati prima che più avanti il buio mi colga e voglio cercare di arrivare il più avanti possibile. Poi esco dal fosco catino e il sole riappare a colorare i prati della Bocchetta agognata (q.1835) che non raggiungo alle 18.15 dato che prima di raggiungerla IO VEDO UN SENTIERO CHE SCENDE. Evito di perdere i pochi minuti necessari a risalire al valico. Mi sento quasi in salvo, l’ansia svanisce un poco e per ragioni di sicurezza (non vorrei trovarmi al buio su tratti poco segnati ) e scaricare un poco la tensione accumulata comincio a corricchiare vs il basso. Ora posso finalmente farlo visto che non devo più sgranare gli occhi per capire dove andare con la paura di perdersi nell’indefinito labirinto di erbe e rocce che stavo percorrendo. Ritrovato l’orientamento e di conseguenza l’entusiasmo. Saluto da sotto con un poco di rammarico la Bocchetta ( a cui prometto di far visita la prossima volta…) e il Torrione omonimo che la presidia …e vado giù. Tappeti d’erba gialla che più in basso diventa verde, attraversati da fasci di luce entusiasmano la mia via vs valle, lo zeda assume tonalità calde e l’ombra col suo freddo cala improvvisa e la luce scappa in alto. Passo dai ruderi dell’Alpe Terza (q.1430) poggiati, in fin di vita su un piccolo poggio fra erbe e dirupi. Un’ immagine struggente di pietre cadute che meriterebbero di essere riposizionate sui muri dai quali sono crollate. La val Grande meriterebbe di diventare un museo a cielo aperto per render grazie alla generazioni di uomini prima e contadini poi che hanno speso la loro vita fra questi alpeggi e queste vallate. Scendo sempre correndo ma mi devo fermare a fotografare lo Zeda che si sta incendiando. Alle 19 riposo la mente, non solo le gambe, nell’ameno e grande prato dell’alpeggio più grande della Valgrande, Il Pian dei Boit. Pogallo e qua, due grandi prati regalati a questa valle dura e avara di spazi orizzontali. C’è anche proprio al centro della radura un bel bivacco, incantevole quando apri la porta e ti accolgono panche e tavolata e soffitta in legno rifatto. Riprendo poi la corsa sperando di guadagnare sui tempi dei cartelli( riuscendoci in realtà non di molto perché la luce comincia a calare) che mi danno Cicogna a 2h.40! E corro corro per i boschi, traversando guadi e posti incantati animati solo dai miei rumori e dai folletti che comincian le loro sortite serali. Traverso diversi ponticelli di recente fattura sul Rio Pogallo e anche un filo metallico teso da sponda a sponda poggiandosi sui massi finchè gli ultimi chiari vengono inghiottiti dalle montagne e faccio al buio la risalita verso il mistico villaggio di Pogallo. Alle 19.45 entro nel borgo al buio guidato dalla fioca luce lunare, in un atmosfera magica. Gli occhi ormai assuefatti all’oscurità, mi abbevero sudato e infreddolito alla fontana di un’acqua fresca e di lunga vita e mi copro sentendo la vita pulsare nel battito accelerato del mio cuore, il freddo sulle gambe nude e la schiena bagnata. Mi ridesto dal sogno di una vita ancestrale in cui son caduto e di cui ho perenne nostalgia nelle fibre del mio corpo, quando una folata di vento freddo passa per le case del paese ad annunciare il ritiro notturno. Allora accendo la frontale e felice attraverso il grande pratone per imboccare la Strada Sutermeister fatta di larghe piode sicure e impossibili da non vedere. Fra 1 ora sarò a Cicogna, fra 1 ora sarò all’auto. E tornerò a casa, contento. Alle 21, trafelato dopo 14 ore di viandare poggio le palme calde sulla fredda carrozzaria dell’auto…che però mi fa festa come un cucciolo quando rincasa il padrone. Foto1 prima stretta del casè e creste di cima sasso Foto 2 Corona di Ghina e Corni del Nibbio Foto 3 le creste percorse dalla cima Marsicce
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