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   Torrione d'Albiolo, mt. 2969 (da Nord), 02/06/2019
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Onicer  mario-bi      
Gita  Torrione d'Albiolo, mt. 2969 (da Nord)
Regione  Trentino Alto Adige
Partenza  Fontanino di Celentino (Pejo fonti)  (1675 m)
Quota arrivo  2969 m
Dislivello  1294 m
Difficoltà  BSA
Esposizione in salita  Varia
Esposizione in discesa  Varia
Itinerari collegati  nessuno
Neve prevalente  Farinosa
Altra neve  Farina pesante
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Leggere è sovversivo. Serve a fare tesoro “di ciò che non sta scritto”.

Ricapitoliamo.
Camminare è un gesto sovversivo, rivoluzionario, obbligato da queste parti e se lo si fa, sommando passo a passo con lentezza, per certuni, noi tra loro, appassionante. Camminare permette di guardare attorno con più calma, di pensare, di guardarsi, cercare equilibrio e ascoltarsi. E' una creazione che se la si fa da soli ci può rendere più liberi, se con gli Altri, anche migliori. La lentezza è il contrario della fretta e della frenesia che a valle ci sconvolge, travolge e condiziona. Diventata la Cultura di tutti, è nell'aria, la si respira e la si vive ormai senza metterla in discussione al punto che “il fare in fretta” è ormai assunto da tutti come una qualità e non vi è azione o gesto che lo si possa fare senza. Ecco perché camminare con calma e tranquillità sono gesti rivoluzionari: si scontrano con la Cultura imperante, con l'idea “di fare in fretta” e della superficialità. Condannati con il nostro benestare, tutti ce ne doliamo: il lamento ormai è solo indifferenza e quando la giustificazione raggiunge il “così fan tutti”, significa che, deposte le armi, siamo alla resa, e noi tutti diventati “servitori volontari”.
Naturalmente cosa sia il tempo tutti lo sanno ed è la cosa più nota, indiscutibile di questo mondo ma della fretta, parafrasando il filosofo (Agostino), potrei scrivere che “se nessuno me lo chiede, lo so; se invece qualcuno mi chiede di spiegarla non lo so più. Forse la fretta non è nient'altro che il cammino di un'illusione (guadagnar tempo cosa vuol dire veramente?) ormai diventata modo e comportamento, cultura, senso comune, perseguita da tutti (o quasi) al punto da non sembrare tale né letale, per il solo fatto che tutti condividono e la abitano. E' così ovvia che (ovviamente statistiche ufficiali non ve ne sono), se ci pensate un solo attimo, vi sarà chiaro che la fretta fa molti più morti del cancro, delle droghe, ed è complice indiscutibile delle morti sul lavoro, in montagna e sulle strade. La fretta diventerà (lo è già ?) una malattia sociale inguaribile. L'ho scritto, non di certo perché sono catastrofico, ma perché da oggi in poi non possiate più dire, io non avevo capito, non sapevo, fan tutti così. Quando “fan tutti così” c'è un problema ed è normalmente grosso o molto grosso. Fan tutti così non è una garanzia e quando “fan tutti così” generalmente “non si può più tornare indietro”. La televisione ed il suo uso perverso avrebbe già dovuto insegnare il sufficiente ma, evidentemente, non vi è riuscita perché il perverso non sta, si dice, nell'oggetto ma nel suo uso e nella “coscienza critica” che uno ha. Ma il nostro è un paese di analfabeti (lo dice, dati alla mano, l'Istat) e secondo voi gli analfabeti (milioni di milioni) hanno una “coscienza critica”? Facciamo un altro esempio a caso: tutti usano “la Rete”, fan tutti così. Qui il tutti annovera globalmente il tutto: Paesi, Istituzioni, aziende, economie e ...tutti noi. Se quei 5 o 6 che hanno in mano “La Rete” dicessero che da domani il gioco è finito, cosa faremmo? Mark ZucKerberg ha scritto e ha ammesso (furbo lui!) che “il gioco gli è sfuggito di mano e sta correndo ai ripari”, cosa significa? La chiave del “gioco” sono loro. Tutto, libero e liberi, tutto (o quasi) gratis. Tutti altruisti? E' possibile che, senza saperlo, stiamo trattando della più Grande Rivoluzione Capitalistica di tutti i tempi, quella dalla quale non si torna Più indietro e che, noi fanciulloni spensierati e servitori volontari, ci ha incastrato non con le idee (roba da '900) ma con un giochino, uno schermino e con il “gioco dell'apparire”. Con i nostri “dati”, ormai “la cosa più preziosa che c'è” (incredibile, sic!), ci rubano la vita e possono farci fare, in libertà ovviamente, ciò che vogliono e...per fortuna non sono il solo a dirlo e a pensarlo. Bamboccioni? E sì! Credo proprio di sì! Forse dopo esserci chiesti chi siamo, è venuto il momento di richiederci cosa sta diventando il mondo. Se ci va bene così, o se lo vogliamo cambiare. E se lo vogliamo cambiare bisognerà innanzitutto abitarlo. Essere se stessi e nello stesso tempo coltivare la socialità. La nostra interiorità e la nostra socialità, insieme, sono la nostra risposta. Se un giochino ha potuto allontanarci dai nostri figli, separando i nostri mondi e rendendoci, loro e noi autistici, forse una qualche domanda sarà opportuno farsela.
Siamo di Maggio, lasciamo un non Inverno per entrare in una non Primavera. Tra poco, è facile preventivarlo, toccherà alla non estate e l'autunno non sarà come la mia generazione ne ha visti tanti. L'Isola di Plastica (già nominarla è inverosimile) che sta tra la California e le Hawai è grande due volte e mezza la Francia e noi, con l'orchestrina che suona, stiamo giocando. Cosa ci facciamo qui? Cosa insegniamo e abbiamo insegnato ai nostri figli? Cosa lasceremo loro?Il fatto che sia la Greta Thumberg ad ammonirci (16 anni), non vi fa trasalire?
Come l'altra volta vado via per primo. Il motivo è lo stesso. Devo mettere alla prova il ginocchio sx. e nella prima mezz'ora capire se potrò farcela, se scaldandosi si scioglierà nello stesso miracolo, come allora. Vado lesto, per portarmi in avanti, per andare adagio poi e non seguire l'arrembante passo del gruppo, per scaldare i motori (sono un diesel), da solo. Per ascoltarmi, per sentire, per togliermi i dubbi. Potrebbe essere l'ultima volta, dell'ultima stagione, e la fine di un ciclo. Così la vivo. Questa cima s'è fatta la fama di essere irraggiungibile ma oggi non manca nulla e potrebbe essere la volta buona. Le temperature tenute sott'occhio (-4+2 al Tonale) sono quelle giuste (14 maggio!), la squadra è forte e più che mai determinata. Ma soprattutto c'è lui l'Ernesto, caparbio, irriducibile e determinato come pochi ne conosco e quindi ho tutte le ragioni per credere che sarà la volta buona. Al parcheggio è il solo ad accettare la mia provocazione ed i primi passi li faccio con lui, in silenzio ed in breve, come si voleva dimostrare, resto solo. La neve conforta, è quella di otto giorni fa e quindi c'è e ce n'è un'infinità. Buon segno. Il lago già corto al primo colpo quando di lui non sapevo nulla, oggi conosciuto, lo è ancor meno e qui, passeggiando, volano le pelli e le prime foto. Il gruppo si sgrana ed io al solito, vecchio arnese, “faccio scopa”. Stavolta mi accompagno ad Alvaro P. giovane ragazzo in quanto a chiacchiere e curiosità ma “vecchio del mestiere” nel portare “assi”, esperienza e compagnia. M'accompagnerà tutto il giorno; anche lui sa di un passo che deve tener conto “di colui che va più lento” e mi lascerà “per l'assalto finale solo quando, ai laghi, “il mio io”, intorbidito e accecato, lo solleverà dall'incombenza. In fondo al lago, poco dopo il ponticello sulla grande forra, tiriamo su, ormai di casa , risoluti. Gli sci, ora in salita, nel favorire (si sa!) il moto a luogo, rimandano l'idea di noi che, pur piccoli, pur bipedi e umani, miracolosamente stiamo camminando sulla neve. Per le acque, come sapete, ci stiamo allenando ma intanto il miracolo (camminare!) si concretizza ed anche qui come se fossimo alle nozze di Cana, il gesto da normale si fa sovversivo e appunto, rivoluzionario. Poco, poco, e ormai a memoria, usciti dal Bosco di Montozzo annichilito dai fendenti di questo primo sole ci presentiamo ai piedi di questo primo canalone che è nello stesso tempo, invaso di slavina, ripidità e passaggio obbligato “per andare oltre”. All'approccio, più che sgranati, ormai siamo lontani: le leggi della fretta sono intellegibili e spietate e noi disgregati. In cinque, sfidando “quello dei miracoli” riusciamo a formare tre gruppi. Se giocassimo al calcio sarebbe un 2,2,1 e una sola squadra, qui invece, come annunciato, le squadre saranno tre. Ernesto, che va da solo e comunque da solo fa squadra a sè (è DNA e non vi è nulla da fare), è ormai lontano. Ben guidato da Oscar G., ha girato a sinistra in modo opposto a quanto facemmo otto giorni prima e, su cengia birichina, lo insegue suo malgrado. Minime ed esili tracce ci diranno dove ma non come, cosicché, “il mio io” smarrito a canalone ghiacciato, poco prima di girare sui loro passi, attanagliato dalla p...rudenza, dopo i rampanti, infila anche i ramponi. Il Comiciolo dolomitico che qui fa da sponda garantisce un Nord Ovest che sta molto a Nord e quindi la neve dura come il ghiaccio si conferma e senza smentirsi incuterà (in tutti?) una paura che inespressa si scioglierà a tempo debito. Poco dopo il fantomatico bivio un cartello deciso confermerà l'errore della scorsa settimana cosicché ora potremo risalire il canalone successivo (aperto ed arioso) con certezze che, come capirete, via via si van consolidando. Riprendiamo a salire ed ancora i rampanti cantano, tranquillo ancora non lo sono del tutto, ciononostante, dagherrotipo digitale alla mano in concorrenza con Alvaro P. mi prendo alcuni clic che attraversando di sbieco alcuni larici, riescono nell'impresa di fermarli nel cielo blu universo che sta alle loro spalle. E' proprio un bel vedere, turbato solo dalla preoccupazione di scivolare giù senza freni e finire a forte velocità con un grande salto nella Grandiosa Forra sottostante che, non sapendo com'è (furbo io), mi appresto ad inzuccare con il casco calcato in testa ed all'uopo. Da vecchi si diventa anche gatti: bastano le parole e quindi le scrivo, così esorcizzo. Scrivere è anche un sentirsi liberi di dire tutto ciò che si pensa possa servire anche agli altri ed io, come s'è visto, l'ho fatto. Leggendo, se volete, potete entrare nel mio mondo ed abbracciarlo. Immaginare, in fondo, è come assicurare “al mio io” una resurrezione almeno nel futuro prossimo venturo, per voi, se ci credete e lo posso anche dichiarare, per sempre. La mia è una voglia matta di salvare il mondo ma talvolta penso che se non riesco nemmeno a salvare me stesso, il compito che mi sono dato è, a dir poco, da megalomane. Mi sarà quindi difficile, ma il pensare di riuscirci con l'immenso potere della letteratura (illudermi) mi basta anche se il mondo in cui vivi o vorresti vivere a volte ti rifiuta. Anche questo è Alpinismo signori, perciò attrezzatevi. Abbiamo bisogno di regalare a noi e ai nostri figli “cose più grandi” di loro e di noi, e per farne un piccolo esempio per intenderci, cose del tipo, utopie, il senso del viaggio e della battaglia, l'idea che non muore, il coraggio, la responsabilità. Tutte robe del secolo scorso lo so, ma pur sempre ferri vecchi e di seconda mano, ancora utilizzabili. Ci riuscirà l'oscar beletti, l'alpinista, a salvare il mondo? Non credo proprio. Se però, il cambiamento lo avete in testa, se ci proverete, in mare aperto, sono certo, troverete compagni di viaggio. Domande di questo genere, immagino l'abbiate capito, sono piuttosto complesse ed io non ho nemmeno il becco di una piccola risposta ma ci sono, mi faccio come voi domande e cerco come voi, strada e risposte. Ad esempio qui, lasciate le possibili scivolate e zuccate alle spalle e ingannata la morte con la scrittura, concentrato, per la mente mi passano due parole che potrebbero avere se non lo stesso significato, la stessa radice e sono: risorgere e resuscitare. E come se, prendendo metri, alzandomi quel tanto o quanto basta ad ogni passo (ormai la metafora è nel pieno), tentassimo di sbirciare dentro nuovi universi, l'inconoscibile, l'inimmaginabile, il folle e il fuori, il tutt'attorno, ci desse una mano. Ormai il Caso e la Paura hanno smesso di insidiarci, di tediarci e mentre la bellezza si fa avanti sono gli Dei a padroneggiare, sfoderando bellezze e grandezze ed in progressione nuove grandezze. E' come uscire da sott'acqua ormai senza fiato e riprendere come in una esplosione a respirare, oppure, aperto l'abbaino, mettere fuori la testa ed essere travolti dalla luce, e ancora uscire da un boccaporto improvvisamente al vento generoso che increspa i mari e gonfia senza tregua vele e cuori. Dal buio alla luce in un cambio di scena continuo e tutto, manco a dirlo, in cielo blu. Ora i cinque sono formichine distanziate e lontane che procedono allineate verso la provvista e l'approvvigionamento. Tutto questo sentire pare essere condiviso, mi si permetta di crederlo, in gioia e volontà, persino dalla marmotta che scavando un tunnel vicino ai buchi d'acqua nella piana è passata per approvvigionarsi, proprio come noi, dal buio della tana al blu di questo cielo. Ora il sole, la nostra stella, comincia a fare il sole, senza però scalfire il gelo della notte che ancora come una morsa tiene la neve imprigionata. E' il grandioso e l'immenso in un continuo sorprendere che tiene banco, lo stesso di otto giorni fa quando ospitando la battaglia, il via vai delle consorterie e il furibondo sconquasso del cannone già azzardava lo sconfinato, l'indefinibile, annunciando, dietro le selle e i forcellini, anche l'infinito. E' la mia prima volta qui, e dopo averla sfiorata e intravista più volte, oggi sono dentro “il senza limiti”, ingigantito dall'appiattimento che le recenti e poderose nevicate hanno ottenuto trasformandolo da improbabile ghiacciaio in ipotetico deserto. Questa è la prateria del Montozzo oggi, ed a tratti il silenzio è così “rumoroso” che mi terrorizza. Inveisce, infierisce, stupisce: mai mi era successo, sino a temerlo, a farmelo diventare insopportabile.
Alvaro P. attardatosi per cercare di ritrarre le sue gioie ed il suo sentire, ora che dopo qualche chilometro la neve riprende a salire, mi raggiunge mentre “il mio io” sta maturando, sottosopra e nel disordine dei presentimenti, di fermarsi e lasciargli la libertà di prendersi le sue vette. Siamo sul costone appena sopra i laghi e mentre io m'appresto a combattere “i possibili morsi della fame”, lui scende una trentina di metri e veloce riprende determinazione e marcia. Per arrivare in cima al dossone e non perdermi lo spettacolo delle formichine che raggiungono il culmine, ho dovuto dare “tutto quel che avevo” ma soprattutto lentezza per paura che le esagerazioni potessero stroncarmi. Sto pensando a me, alle mie forze e al non dover pesare a coloro a cui mi accompagno. Salire e scendere con le proprie gambe è l'imperativo per chi va in montagna e chi ci va, lo sa. E il malessere che provo, indefinito ed indefinibile non mi aiuta. Nemmeno la luce, mia adorata, lo fa. Manca, o anzi, ve n'è troppa. Quella che c'è, impietosa, scolora, acceca, annichilisce e le nebbie, le nuvole, ora e qui prepotenti, l'aiutano. Le pennellate di poco fa sono svanite e con loro anche le dune, i dossi, le pieghe e le cornici. Vince l'invisibile, l'insieme è sfumato e occluso forse dalle nubi che sono vapori o nebbie. Il “luminismo” ottunde, smorza ed acceca. A tratti e a squarci il deserto, le gobbe tornano a mostrarsi, a limitare, a dar senso. Alla fine è una troppa luce non luce quella che acceca. E' un'opera naturale. La solitudine “avvolta nelle nuvole di luce” è difficile da accettare, né vuole scendere a patti ed insieme mi acceca, mi becca, mi strazia. Un'opera della solitudine, potremmo dire, unica e così l'abbiamo anche scritto. Impalpabile anch'essa indefinibile, quasi (se non la conoscessi e non sapessi), anti-umana. Ora un'apertura prolungata rimette su lo spettacolo, ridà alla luce la sua vera forza ed il suo vigore. Ernesto, quello che fa gruppo da solo, toccata la vetta, immagino, sta già scendendo. Cambia traccia e traiettorie e si prende la direttissima. Da lontano, piccoli e soli ci guardiamo e io lo fermo con il dagherrotipo tecnologico, sul balcone dei laghi. Prima gli occhi poi il digitale, tentano di registrare, ancora una volta il possibile ed il grandioso sorretto da pilastri che sono onde e cornici di un mare aperto ed in burrasca. Ancora scende, ancora traccia e quando là in fondo lo rivedo, è così piccolo da confondersi con il nulla e con l'inesistente di questo “altro deserto”. Vagando, ormai debbo andare per non restare lì, solo e per sempre, affido l'equilibrio ai soli piedi, perché gli occhi son ciechi e già non vedono. Tra le nuvole mi muovo con circospezione, senza fretta, combattendo i sentimenti di accelerazione che la loro velocità (l'orda nel frattempo ci ha raggiunti) tenta d'impormi. Li raggiungo, e nell'avvicinarli scaccio in un colpo solo, solitudine, vuoto e cecità. Ora i tre gruppi si sono ricompattati e filano veloci come il vento al pelo della neve. Senza attriti, scivolano, scodinzolando come pesci improvvisamente liberi in un mare più grosso di loro. “il mio io”, ora tra loro se la gode e a volte anche di più. Roba che gira attorno ai 30 gradi e che nel caso , se sbagli, non te la fa pagare. Giù così sino al lago che in otto giorni abbiamo percorso quattro volte. Alvaro P. mi segue, stavolta sono io che, senza parole, mi accompagno a lui senza fretta, con calma, perché per combattere i sentimenti di accelerazione che i due gruppi davanti tentano di imporci, ci vuole determinazione e tenacia. ”Il mio io” ha potuto frequentare quattro generazioni di alpinisti e con buona ragione può fregiarsi di aver goduto con le prime due di un tempo infinito (andavamo lenti, eravamo sempre in anticipo) oggi deve registrare che terza e ultima generazione fanno a gara per rovinarsi il Grande Viaggio. Che, cosa molto facile, riesce bene quando lo si fa in proprio. Anche Ernesto lo sa. Eppure continua.
Itinerario effettuato il 14-05-2019

foto 1 : Il primo canalone
foto 2: Il Torrione da Nord
foto 3: La terrazza dei laghi




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