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   Punta d'Arbola, 14/04/2019
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Onicer  mario-bi      
Gita  Punta d'Arbola
Regione  Piemonte
Partenza  arrivo seggiovia imp. Valdo  (1740 m)
Quota arrivo  3235 m
Dislivello  1495 m
Difficoltà  BSA
Esposizione in salita  Varia
Esposizione in discesa  Varia
Itinerari collegati  nessuno
Neve prevalente  Trasformata
Altra neve  Trasformata
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Ottime
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento Ancora il Caso, ancora gli Dei ...e ancora coincidenze (ed anche un grido).

Del Caso, degli Dei... e delle coincidenze ho scritto e riscritto al punto che temo siano le troppe conferme a farli esagerare. Oggi, qui all' Arbola, come vedrete, hanno strafatto al punto che comincio a chiedermi se sono loro ad esagerare o il “mio io” ad aver capito l'antifona e, trovato il modo, ogni volta buttarsi ed assecondare. In questo va e vieni, pare che anche il Mario (nomignolo, ormai dovreste saperlo, del mio inconscio), abbia voluto metterci del suo con il risultato di ingrossare la compagnia e fomentare il gioco delle probabilità.
All' Arbola c'ero stato un paio di volte cinquant'anni fa quando, volontario, aiutai nella costruzione del Claudio e Bruno, ma mai con gli sci. Il Mario è uno che lavora con il passato (?) ma al presente, in questi giorni, pur sapendo che qualcosina vi ha messo, pare dormiente. Non sogna, non ricorda, non interviene: silente sembra essere in balia del “mio io” che cerca, che continua a pretendere un porto. Perché proprio oggi, potremmo chiederlo a Lui, ma anche a chi addetto agli impianti di risalita nel pomeriggio di ieri, ci richiama per avvisarci della repentina riapertura di oggi. Stessa domanda andrebbe fatta al rifugista del Margaroli che, nonostante i due metri di neve caduti di fresco non esclude, complici quattro guide e un gruppo di francesi, che l'indomani si possa salire. A convincere l'Aldo M. e l'Ernesto, sempre pronti a partire, ci vuole un nulla ma, prima di farlo, pongo all'Aldo M. la condizione di “un voto” di lentezza. L'Aldo, che sa che sulla lentezza ho scritto un libro di 430 pagine, malvolentieri accetta ma, per l'Ernesto, cimista spietato, ormai non vi è più nulla da fare. Performer è stato, lo è, ed è possibile che lo resti per sempre. Alla partenza della seggiovia i convocati, dal Caso e dagli Dei, saranno sei (tre più tre), e senza sapere cosa li aspetti... pronti, via!
Subito, infrangendo il voto, il gruppo sgrana mentre io, attardato “dalla mia lentezza” lascio fare al sentire e adoratore di Dei che alimentano e manovrano la luce, me la godo. E' luce vera, luce da luce, qui e in ogni luogo come solo Zeus sa inventare al punto che persino la digitale che normalmente tra luci e ombre arranca, qui stravede e pretende. Io assecondo, scatto e pigio salendo nel bosco, sin dalla seggiovia. Il troppo è già in mostra e al solito mi ci ficco. L'immensità (occhio alle foto) non è da meno ed io piccolo ed insignificante, ritraggo i compagni a loro volta piccolissimi e, mentre la Regina presenzia, anche lontanissimi. Un po' di elastico salva l'Aldo M. dai rimbrotti (sono bravissimo) ma di fatto, ognuno (incredibile), si fa la sua gita.
A parte tre proiettili urlanti che ci “zippano” vicinissimi per richiamare (riincredibile) l'attenzione, noi potremmo persino dire di aver salito l'Arbola da soli: Soli, al Sole e ognuno per sé. E' successo, continua a succedere, cosicché al Passo del Vannino (m. 2754, Ernesto quasi in vetta) sciolgo “dal voto” l' Aldo M. e decido di scendere. Mentre lui ridiventa piccolo e lontano e il “mio io” affamato si rifocilla, scopro lì sul poggio, di nuovo solo, quanto il desiderio sia fuori luogo. Un calabrone, grosso come un aquilone, bruno con l'addome a strisce gialle, si staglia, così nitido tra la roccia e la neve, da sembrare lì ed impossibile.
Si sta sfregando le zampette e il Mario, dite voi se c'è collegamento, ci prova e quel che salta fuori, solo lui lo potrebbe chiarire. Penso (o mi fa pensare?) che il calabrone sia arrivato sin lì per godersi un'ultima volta lo “Spettacolo del Poggio” per poi morire. Oppure che sia lì perché come Arcadio Buendia, il Patriarca in Cent'anni di solitudine, aspetti, seduto sopra una panca, sotto un fico, nell'orto di casa, la morte. So che sulla morte ci sto lavorando e quando tutto mi appare chiaro, il “mio io” apicoltore, realizza (per annacquare?) che l'insettivoro e predatore, sarebbe potuto arrivare lì al passo dal fondovalle in pochi minuti e ritornare sui suoi passi in pochissimi secondi e così, per meglio indagarlo mi giro ed eccolo, come in un miraggio è già svanito. Così messo, quasi che la sua presenza fosse stata una condivisione, mi risento solo, ma stavolta ben piantato sui piedi e stretto negli scarponi inizio a volare. Lascio al passo gli acciacchi del corpo e dell'età e i grandi salti e gli enormi valloni, come giù al lago poco fa, mi fan risentire piccolo e le neve, pur con il tempo che vola, sino al rifugio continuerà a fare la sua parte e solo al tocco del mezzogiorno solare, s'affloscerà. Al rifugio tiro dritto e sarà là, dove iniziano i primi tornanti ripidi, che dietro di me sentirò alcune voci che presto mi toglieranno l'apprensione di dover scendere, solo, sino alla pista da sci. Con calore e interessato cameratismo accolgo l'uomo e la donna che stamane avevamo salutato frettolosamente e in modo solo formale. Dietro loro che stimo più o meno coetanei, ora vado sicuro. La loro presenza conforta e potrebbe essere di aiuto in caso di... Lui, là davanti, ben controlla sci e traiettorie e alle richieste di lei, considera e suggerisce con garbo, cautela e qualche tenerezza; la qual cosa, in giro abbastanza rara, tranquillizza anche me. Così guidati, in tutta pacatezza superiamo cumuli di neve alti come gli individui nel bosco, passerelle distese su baratri senza fondo sino ad atterrare finalmente in pace, sulla piatta radura alta della seggiovia.
Ora le coincidenze accelerano. Ci presentiamo. Alberto, Cinzia, Oscar. Io ne ho settanta. Io sono un mese più giovane di te. Perché non ci diamo del tu? Posso chiederti di adottarmi, posso scendere la pista con te. Condividendo. Con lentezza. Certo, perché no, fa lui. In fondo la neve non è poi così brutta. Preferirei, e nel dirlo mi viene in mente che quel “non è così brutta” l'aveva già detto su nei precipizi e ovviamente, io pur in disaccordo, ammiravo il suo saper fare e il suo stare. E così, su le vele, si riparte. Provvisoriamente davanti, tiro i primi bordi. La scia del gatto delle nevi pur inverosimilmente granosa, incoraggia, ma presto capisco che non sarà una passeggiata. Sul primo ripido, ci sono i segni, per troppa neve anche il gatto non ce l'ha fatta e mentre Alberto se la diverte, il mio corpo scendendo, arranca. Il ginocchio sx. ha smesso di far male, i “lievi girar di testa” non ci sono più, di fiato ora ne ho quanto voglio, ma qui dove la neve è a tonnellate, quasi quanto le stelle, ma molto più aggrumate, non posso e non voglio rischiare nulla. E' la tara di tutti questi ultimi anni. Ancora, ma controvoglia, devo lavorare e non posso permettermi un fermo prolungato, pena un naufragio, e così alle vele metto i terzaroli e rallento l'andatura. Alberto, paziente, aspetta e mi cura sino a che calati quasi sul fondo e all'inizio dell'ultimo ripido, incontriamo l'Adriano, un amico “local” di Alberto. Dopo i convenevoli ecco aprirsi il Vaso di Pandora e l'inaspettato. Non sai, dice l'Adriano, che questo qui è uno scrittore, anzi un vero grande scrittore, e poi,come nei sogni ad occhi aperti le narrazioni continueranno, sorpresa dopo sorpresa, citando titoli e pubblicazioni, a descriverlo. Nei sogni così, ci si sta bene, e se ciò che resta dopo il sogno sono buone impressioni, eccone alcune. Capisco di aver a che fare con “un mito”. Un mito al quale stranamente, ma molto stranamente, “assomiglio”. Troppe le somiglianze: l'età, l'idea che sorregge la scrittura, lo stato delle relazioni, il gruppo di lavoro...solo che lui mi pare abbia già provato tutto prima che io lo pensassi. Anzi, abbia già provato ciò che io non potrò nemmeno immaginare...ma conoscendomi, a mio modo ci proverò. Ruminando qualche giorno dopo sull'incontro...oggi, mi vien da chiudere con un grido ed una sterzata improvvisa, così.
Nel Bel Paese, noi scrittori (perdonatemi l'inclusione), buttiamo lì “a fatica” 84.000 (ottantaquattromila) nuove pubblicazioni l'anno, e lo facciamo con disinvoltura (230 titoli la media giornaliera) pur sapendo che i lettori “sono molto meno degli scrittori”. La battuta serve per rivelare un dato di fatto: che sono pochissimi quelli che leggono un libro all'anno e le statistiche, feroci, confermano. Nel farlo danno però voce ad una leggenda e a moltissime menzogne. Ai questionari è possibile cioè che si risponda “una volta all'anno” (leggenda e menzogna) per non coprirsi di vergogna cosicché è facile immaginare che a contendersi i vari titoli siano una minoranza e la lettura un fatto di nicchia. L'editoria di montagna? Peggio. Molto peggio. Ora considerate che (ancora statistiche vere) il 70% dei laureati hanno una vera difficoltà nella lettura e nella comprensione dei testi e che a scrittura non se la cavano un granché, ecco che il panorama si fa fosco. Idealisti e sognatori, gli scrittori continuano ad esistere e, rivoluzionari (perché la letteratura è rivoluzionaria), a scrivere. Ma, c'è un ma, resta da capire perché in questo magico paese l'analfabetismo (e quello di ritorno) sia dilagante. Gli editori lo sanno, gli intellettuali che dissertano già non si contano. Ai politici l'ignoranza fa comodo e noi, “massa”, continuiamo a non leggere, a mugugnare e quando possiamo, a “scappare in montagna”... Non la vedo bene. Forse è venuta l'ora di scendere a valle. O no?
(Lui è Alberto Paleari, Io sono Oscar Beletti).

Itinerario salito il 09-04-2019

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