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   Gran Paradiso, 17/05/2015
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Onicer  Pierpaolo      
Gita  Gran Paradiso
Regione  Valle d'Aosta
Partenza  Pont Valsavarenche (AO)  (1977 m)
Quota arrivo  4058 m
Dislivello  2100 m
Difficoltà  BSA
Esposizione in salita  Varia
Esposizione in discesa  Varia
Itinerari collegati  nessuno
Neve prevalente  Trasformata
Altra neve  Trasformata
Rischio valanghe  2 - Moderato
Condizioni  Mediocri
Valutazione itinerario  Ottimo
Commento “Quest’anno ormai il Gran Paradiso è andato, se ne riparla per il prossimo anno”. Tra un impedimento e un altro, questo è ciò che ci siamo ripetutamente ripetuti da un mese a questa parte, sebbene il richiamo di questa cima echeggiasse sistematicamente nelle nostre orecchie ogni volta che ci fosse da decidere dove andare a fare scialpinismo di un certo livello.
Poi, abbandonata definitivamente l’idea, galeotta fu la visione in settimana di spettacolari immagini su Facebook riguardanti scialpinisti alla conquista proprio del Gran Paradiso. Ma… “Perché non ci andiamo anche noi questo weekend??”. Tutto quanto, meteo compreso, sembra dalla nostra parte. La decisione d’impeto è presa. Si, buttiamoci anche noi nella mischia. In tutti i sensi, visto ciò che poi sarà. L’imperativo è quello di spezzarla in due giorni questa salita, per godercela meglio e per evitare di doverci attaccare a una flebo al ritorno.
Prenotato dunque al Rifugio Vittorio Emanuele, ci incamminiamo da Pont al sabato pomeriggio con gli zaini stracarichi come non mai. La salita, nonostante il peso esagerato sulle spalle, è resa interessante dalla nutrita presenza di fauna locale e dall’ambiente ampio e selvaggio. Il giorno precedente ha nevicato qui in zona e la cosa rende a tratti un po’ ostico il cammino, tra neve marcia e pantani da attraversare. A duecento metri di dislivello dal Rifugio il manto nevoso si fa costante e tra i presenti c’è chi opta per mettere gli sci, mentre noi proseguiamo a piedi. Sfondando qua e là, un po’ a fatica, portiamo a termine l’opera di giornata. L’affollamento quassù è quello delle grandi occasioni, ma ce lo aspettavamo perché il Gran Paradiso richiama notoriamente tantissimi scialpinisti. Calatici nella parte “Vita da rifugio”, passiamo la serata in attesa di ciò che sarà il giorno dopo, tra curiosità, aspettative e interrogativi, ma soprattutto con le gambe sotto al tavolo.
Trascorsa la notte, il rifugio si anima di un frenetico tran tran creato dalla moltitudine di escursionisti intenti ai preparativi della salita. Affascinante è la vista dei primi che sono partiti, che con le loro pile frontali illuminano il percorso al crepuscolo. Noi saremo tra gli ultimi a incamminarci, seguendo a vista il plotone davanti a noi. Inizialmente il nostro passo è abbastanza regolare, poi sotto la Schiena D’Asino, dove le pendenze si fanno sostenute, siamo più discontinui nella progressione, anche per colpa di qualche pelle di foca un po’ birichina che mal digerisce la neve rigelata. Spuntati al sole la sensazione di freddo che ci aveva accompagnati finora sparisce di colpo, lasciando spazio a quella di caldo. Anche le pelli, dopo una cura ai raggi solari, resuscitano d’improvviso. Con la lingua un po’ penzoloni arriviamo dove l’ambiente si fa a dir poco spettacolare e il ghiacciaio dà il meglio di sé. La vista della cima al di sopra di esso ci conforta, ma per accedere al deposito sci sottostante c’è da sormontare un muro che suona di pianto. La quota si fa sentire e con una certa fatica lo saliamo, giungendo così anche noi nel punto dove lasceremo gli sci a favore di ramponi, piccozza e corda. Una marea di persone è nel frattempo intenta a scendere e salire a piedi dall’ultimo tratto e, un po’ titubanti, anche noi ci avviamo alla volta della Madonnina di vetta. Che però non riusciamo a raggiungere. L’ora si è fatta tarda e i tempi di attesa per affrontare il breve ma affollato traverso sono infatti lunghi. Avremmo inoltre bisogno di più calma per organizzarci con le manovre usando la corda, di cui conosciamo le basi ma che rare volte abbiamo sperimentato sul campo. Ci fermiamo così a un tiro di schioppo dalla cima vera e propria e un po’ mestamente facciamo dietrofront, con quel pizzico di inevitabile delusione per via di quei restanti tre metri di dislivello che ci sono mancati per completare interamente l’ascesa. Peccato che questo ultimissimo tratto non sia attrezzato con corde fisse, che sarebbero a dir poco provvidenziali a semplificarne il suo attraversamento, ma soprattutto per velocizzare le operazioni, vista l’affollata presenza di escursionisti che popola questa montagna.
Tornati al deposito rimettiamo gli sci per affrontare la discesa, ma è ben poco divertente perché l’infinità di passaggi hanno reso i pendii più simili a campi di patate, su cui il piacere della sciata prevale nettamente lo spirito di sopravvivenza. Sopra è il festival della crosta rotta, sotto quello delle gobbe molli. Si è probabilmente salvato solo chi è sceso presto, andandosi a cercare i tratti immacolati su crosta portante. Un po’ provati facciamo ritorno al Rifugio, dove una sosta è d’obbligo. Riprendiamo la discesa questa volta a piedi, sfondando di brutto nella neve marcia e proseguendo più agevolmente dove sparisce.
Facciamo così ritorno all’auto stanchissimi, ma comunque colmi di sensazioni positive che una esperienza così intensa, decisamente al di fuori dell’ordinario e a due passi dal cielo, può dare. Ciò che a freddo rimane è solo soddisfazione e quel senso di esserci arricchiti interiormente di qualcosa che è difficile da spiegare a parole. Vetta o non vetta, neve facile o difficile. E’ tutto il contesto e a essere stato emozionante e indimenticabile. Ma non irrepetibile, perché abbiamo un conto in sospeso con la Madonnina di vetta, che in futuro vorremmo guardare direttamente negli occhi.

Foto 1: ambiente grandioso
Foto 2: l'affollata vetta
Foto 3: a pochi passi dalla Madonnina
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