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   Monte Ararat (Turchia orientale), 02/05/2014
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Onicer  Vezz      
Gita  Monte Ararat (Turchia orientale)
Regione  Altro
Partenza  Campo base  (3380 m)
Quota arrivo  5137 m
Dislivello  1750 m
Difficoltà  BSA
Esposizione in salita  Sud
Esposizione in discesa  Sud
Itinerari collegati  nessuno
Neve prevalente  Trasformata
Altra neve  Trasformata
Rischio valanghe  1 - Debole
Condizioni  Accettabili
Valutazione itinerario  Eccezionale
Commento Posso quasi dire di non aver fatto in tempo ad addormentarmi che già mi devo svegliare. Sono le 2.00 e metto il naso fuori dalla tenda: le ultime nuvole resistono in cielo, ma è evidente che ci sorriderà presto una bella stellata. Trangugio del tè bollente e ingurgito grassi e carboidrati: saranno preziosissimi fra qualche ora. Alle 2.45 siamo con gli sci ai piedi, pronti per partire. Qualcosa non mi convince: lo zaino sembra umido... è esplosa la bottiglietta con acqua e sali. Ne tiro su un'altra al volo. Fortunatamente il vestiario è asciutto. Ci avviamo.
La traccia, creata dai Tedeschi che ci precedono, sale decisa ma regolare. Le nostre ombre danzano alla luce delle frontali; il silenzio è rotto solamente dallo sfregolio delle pelli sulla neve. E dal mio respiro. Dinnanzi a noi sta Lei, la montagna che ci accoglierà nelle sue braccia; sopra le nostre teste splendono ora miriadi di stelle, alle nostre spalle scintillano le luci della vallata. Dogubayazit è una presenza rassicurante con la sua luminosità: un pizzico di calore anche per i più individualisti tra gli alpinisti.
Il ritmo è volutamente basso, dobbiamo conservare le energie per quando l'aria sarà più rarefatta e il vento ci taglierà la faccia e ci gelerà le mani. D'altra parte dobbiamo ridurre al minimo le pause: quando le nuvole si addenseranno sulla cima dovremo essere in dirittura d'arrivo. Considero le due stelle cadenti come un segnale propizio.
Alle 4.15 raggiungiamo i 3900 m di quota: siamo in anticipo sulla tabella di marcia. Non sono per nulla affaticato. Mangio una barretta. Poco prima delle 5.00 incominciano i primi bagliori. Nell'estrarre la macchina fotografica perdo uno dei due scaldini chimici che tenevo nei guanti. Accidenti. Per ora, comunque, il vento si mantiene leggero e non fa eccessivamente freddo.
L'alba è una magia. Il cielo assume una tinta rosata e si rendono evidenti i dolci profili innevati delle montagne. Ma il vero spettacolo è dato dall'ombra del Gigante che si proietta su fino al cielo. Non posso astenermi dall'immortalarlo con una foto. E uno scatto lo merita anche il contesto dell'ascesa. Sale il vento. Poco dopo le 6.00, raggiungiamo il deposito sci a circa 4300 m. In attesa che il gruppo si ricompatti, ci copriamo e mangiamo qualcosa. Tolgo i guanti per indossare i ramponi e aiuto Gabri che ha difficoltà con i suoi. È il momento chiave della salita: qualcuno mostra i primi segni di cedimento, più che altro psicologici. Mentre Yusuf prosegue sci ai piedi, noi incominciamo a salire la rampa di neve e sassi che ci sovrasta. Mi sento in forma. Scruto i volti e le movenze dei miei compagni per capire chi lo è di meno. Il vento, sebbene non eccessivo per la quota, non dà tregua; il sole che ci illumina quando divalliamo a est dona un piacevole tepore. Sfortunatamente dura troppo poco, spazzato via dalla prima nuvola. Sono solo le 7: è in anticipo. Ma nessuno gliel'ha detto. Beffarda, si inghiotte il sole e la visibilità. Abbiamo da poco superato i 4400, vacillano le speranze di vetta. Vado in testa a battere traccia. Cercando le zone migliori, non si affonda più di tanto.
4500: sono ben coperto, piumino e passamontagna fanno il loro lavoro; sono le mani, al solito, a darmi qualche problemino.
4600: le tanto sperate schiarite non si palesano, la Montagna resta avvolta in una nebbia che rende il tutto uniforme e lattiginoso. Sono pochissimi i punti di riferimento: qualche masso ricamato dal ghiaccio e poco altro. Il ghiaccio ci ricama i volti. Tengo in tasca del cibo, sarà più facile estrarlo quando ne sentirò/sentiremo il bisogno.
4700: le dita cominciano a darmi fastidio, le muovo nel tentativo di mantenerle calde. L'acqua nella bottiglia assomiglia più a una granita. Lucie accusa un inizio di mal di testa. Lo tampona con del cibo e un'aspirina. A pensarci bene, anch'io ho un fastidio, ma è dovuto allo stringere della maschera. A parte questi piccoli fastidi, continuo a stare bene. Manteniamo il gruppo compatto: al contrario di quanto pensassi ieri, è l'unico modo per raggiungere la vetta. E senz'altro il più bello.
4800: ho il fiatone ma vado ancora bene, le gambe non sono più di tanto affaticate. Ho freddo alle mani, quello sì. Mi gioco un sorso di tè caldo.
4900: incrociamo i Tedeschi che rientrano. Parlano di un tratto ghiacciato da superare, infattibile in queste condizioni. Proseguiamo. Siamo più alti del monte Bianco, chi per un motivo, chi per un'altro, stiamo tutti stringendo i denti. La forza reciproca sta nell'avere gli altri accanto. Ai 5000 m, che poi magari son 4990, quando dall'anticima si dovrebbe traversare alla vetta, rinunciamo: non si vede nulla. Yusuf, d'altra parte, è categorico. E pure a me la scelta pare ragionevole. L'unica possibile.

FOTO:
1- Il versante meridionale del monte Ararat (Agri dagi) in uno dei rari momenti sgombri di nubi.
2- A 4100 m, con a fianco l'ombra maestosa della Montagna.
3- Visibilità zero.

Racconto tratto da: "missioneararat.blogspot.it"
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