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   Gran Combin, cresta ovest, 29 Luglio 2007
Per anni la salita al Gran Combin per questa cresta ha vagato nei miei pensieri. Piano piano la poca attività alpinistica e il tempo che trascorreva hanno insabbiato quel progetto. Fino a quando il post di un forumista (mi pare Zampe), l’anno scorso, lo ha rispolverato dalla mia memoria. Da allora è stato un continuo attendere le condizioni perfette, quelle che per una salita (ma ancor più per una discesa) del genere sono indispensabili affinché tutto vada per il verso giusto. In una mattina di fine luglio tutte quelle condizioni sembrano esserci…






























Passando da Aosta lo osserviamo. E’ molto innevato, proprio come LorenzOrobico ce lo aveva descritto. In particolare la parete sud sembra essere davvero carica. Continuo a ripetermi che è in condizioni perfette, ma so che quella neve, su quel pendio non deve scaldarsi, che servirà essere veloci, cosa che a me raramente riesce. Attraversiamo il Passo del Gran San Bernardo e seguiamo la stradina descritta nelle relazioni. Di posti lungo la strada manco a parlarne, pazienza, allungheremo del necessario il nostro percorso. Tanto di posti al rifugio non ce ne sono e noi abbiamo uno zaino da spedizione con tenda, sacco e scarponi al seguito. Mentre saliamo a passo lento ogni tanto, quando esso si mostra, diamo una spiata al gigante. Verso metà salita incontriamo 4 italiani che scendono. Hanno fatto oggi la cresta e ci dicono sia in buone condizioni anche la discesa sulla Spalla Isler. La notizia ha un effetto incredibile sul morale e il passo senza neanche volerlo si velocizza, le spalle non sentono più il peso dello zaino. In poco più di tre ore siamo al rifugio. Qui di posti per la tenda non ce n’è, quindi continuiamo a salire fino a quando troviamo una bellissima postazione che fa proprio al caso nostro. Piazziamo la tenda, ci prepariamo la cena, anche se è presto, dopodichè facciamo 4 passi verso il rifugio, giusto per vedere la fauna che lo affolla. Otto su dieci sono turisti/escursionisti per i quali l’indomani la sveglia suonerà intorno alle sette…
Torniamo al nostro alloggio e ci infiliamo nei sacchi. Fa molto freddo e tira un fastidioso vento. Le nuvole avvolgono tutto. Quando suona la sveglia sembra che fuori ci siano i lampioni accesi. Apro la tenda ed una magnifica Luna piena illumina il Mont Velan, proprio di fronte a noi. Mentre ci vestiamo sfilano le cordate che puntano a salire la nostra stessa montagna, sai per la cresta che per la normale. Un po’ prestino, o forse siamo noi che siamo in ritardo… vabbè. La temperatura è sottozero e il fornello che scalda l’acqua per il the è una piacevole compagnia. Alle 4:15 partiamo anche noi, attraversiamo l’innocuo ghiacciaio, anche se una losca figura ci terrorizza per un secondo. Si tratta di un coniglietto nano che si muoveva a pochi metri dalla traccia. Sconvolgimenti climatici o alcoolismo animale? L’accesso alla cresta non è così terribile come descritto in alcuni testi, forse anche grazie alla neve che permette una marcia molto efficace. Stiamo bene entrambi e piano piano iniziamo a riprendere e superare le cordate partite tre quarto d’ora prima di noi. E questo è positivo, pensiamo. Meno gente sulla testa = meno sassi sul casco. Quando raggiungiamo finalmente la cresta Il Sole non ha ancora iniziato a fare il suo lavoro quotidiano, in compenso un bel vento gelido soffia da nordovest. Continuiamo a salire agili, senza corda, così possiamo superare ancora tre cordate di tedeschi. Cerchiamo di stare sempre su pilastri e risalti, per cercare la roccia di qualità migliore, perché qui è tutto uno sfasciume con innumerevoli tracce di passaggio. Arriviamo ad un risalto più impegnativo e ci leghiamo. Intanto le armate germaniche ci raggiungono e ci chiedono da dove si salga. Boh, noi stavamo andando a sensazione e qui di spit come da relazione non ce ne sono. Siamo sicuramente fuori via. Ma d’altronde le tracce di passaggio conducono in posti che ci paiono pericolosi e noi abbiamo la necessaria attrezzatura per muoverci con libertà. Loro no, hanno solo rinvii e qualche cordino. Provano a salire prima uno, poi l’altro… poi desistono. “cià, che provo ad andar su io” esclama Lorenz. Pronti via e con un bel movimento su un passo di IV+ boulder passa su. Si volta e fa un ghigno fortemente beffardo ai poveri diavoli che osservavano la scena. Dopo tocca a me salire, mentre a loro tocca tornare indietro ed infilarsi in uno dei canali detritici che infidi solcano la montagna. Continuiamo la nostra salita, fino a quando incrociamo la via di salita spittata. Mischia, e di spit ce ne sono veramente tanti. Un tratto di III con uno spit ogni tre metri, praticamente come in una falesia del Lecchese. Raggiungiamo così il limite dei 4000 metri. Stiamo ancora molto bene e decidiamo di andare avanti a tutta. Percorriamo una specie di traccia ma poi la abbandoniamo in quanto, come al solito, va ad infognarsi in un canale pericoloso. E qua di sassi ne vengono giù. Facciamo sosta a destra del canale al riparo di uno sperone roccioso, mentre attendo il momento giusto per partire. Vado! Attraverso il canale e mi porto sul fianco opposto,su roccia delicata e ripida. Non appena al riparo pianto una protezione e dopo altre due scariche riparto puntando ad uscire ancora a sinistra. Raggiungo una cengia comoda e recupero Lorenz. Quasi sicuramente la linea di salita è li di fronte a me, ancora dentro il canale, dove tra la neve si intuisce una traccia di passaggio, alla faccia della salita oggettivamente sicura. Quel canale con cordate d’avanti e in condizioni di secco dev’essere una roulette russa. Vabbè. Noi abbiamo di fronte uno splendido camino verticale, Parto e in un attimo sono all’ultimo passo. Quasi non capisco come abbia fatto a venir su cosi bene. L’uscita, IV, è priva di buoni appigli, ma i piedi su due tacche mi sollevano fuori. Ho fatto un bel passo, penso a voce alta… “Lorenz, c’è un bel passo qui”, grido al socio. Poi continuo la salita, più facile fino a quando arrivo alla cresta. Il vento è forte, scendo qualche metro e sosto ad un grosso spuntone. Quando arriva Lorenz mi conferma che in effetti il tiro non era banale, sarà stata l’euforia da quota a farmelo passare in scioltezza. Mettiamo i ramponi e percorriamo la bella cresta nevosa che conduce all’ultimo risalto prima della vetta. Lo saliamo per roccia divertente e solida, disseminata di spit grappe e cordoni e in poco tempo raggiungiamo la vetta. Diamo un occhio al Combin de Grafeneire, facciamo due considerazioni e ci fondiamo giù per la discesa. Disarrampichiamo per metà del risalto, poi per evitare di incastrarmi con le cordate che stanno salendo traverso verso la parete sud e appronto una calata in doppia che ci permette di guadagnare parecchio tempo. Per la discesa scegliamo il percorso più sicuro lungo la spalla Isler, anche se la parete sud ottimamente innevata sarebbe una soluzione estremamente veloce. Ma durante la salita abbiamo visto più volte macigni grossi come televisori rotolare giù per la parete, alcuni andando ad invadere anche la spalla. Quando finalmente raggiungiamo una zona più protetta dalle scariche provenienti dalla parte alta incontriamo una guida valdostana con un cliente. E’ simpatico e scambiamo due chiacchiere mentre scendiamo. Quando arriviamo ad un ripido canale ci lascia il passo. Scendiamo rapidamente fino a quando la pendenza cambia ed il ghiaccio affiora. Con calma… culo per aria, becca ben piantata, passo dopo passo raggiungiamo la strozzatura che ci permette di vedere cosa c’è dopo. Neve… perfetto. Intanto la guida, molto più in alto sta calando il suo cliente, ma noi non lo vediamo più. Scendendo la nebbia ci avvolge. Incrociamo la traccia della via comune e la seguiamo. Non è marcatissima come ci aspettavamo. Superiamo un bivio ed incontriamo una guida tedesca con cliente al quale chiedo informazioni. Lo seguiamo, dobbiamo tornare indietro qualche metro. Poi una traversata a mezzacosta su nevai ripidi sui quali si scarica una vera pioggia continua di sassi. Lorenzo mi dice che statisticamente è impossibile non venire colpiti… “Pedala Lorenz, andiamo fuori!!!” Quando raggiungiamo la costola detritica seguita in salita possiamo finalmente tirare un sospiro di sollievo. Tutto è andato per il verso giusto…ehm, quasi tutto, un sasso ha preso in pieno l’orologio di Lorenz spaccandogli il quadrante. Vabbè, meglio l’orologio del polso no? Adesso anche se la visibilità non è delle migliori il percorso da seguire è evidente, ringraziamo il nostro santo protettore per averci fatto incrociare quella guida proprio in quel punto della discesa e scendiamo serafici. Dopo otto ore e cinquantatre minuti siamo di nuovo alla tenda, dove possiamo finalmente mettere mano alle provviste portate a spasso tutto il giorno. Dopo esserci rifocillati a dovere e aver smantellatoli campo base non ci rimane che armarci di pazienza ed affrontare ancora carichi come muli della grande guerra la prima ripida, poi lunga discesa verso la macchina ed il rientro con le varie code in autostrada… stanchi ma estremamente soddisfatti. E quando la prossima volta passeremo da Aosta e lo sguardo andrà nuovamente a nord quel gigante non sarà più un mistero.

Partecipanti: Lorenzo71 ed io
by Domonice